La sindrome infiammatoria che i medici delle terapie intensive hanno osservato nei malati più gravi di COVID-19 si chiama “MicroClots“: il nome è stato assegnato da un team dell’ospedale San Raffaele e dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Il riferimento è alla “tempesta infiammatoria che ha come target soprattutto l’endotelio“, la parete interna dei vasi, a livello polmonare, e come conseguenza comporta “manifestazioni trombotiche in una percentuale significativa di casi, che peggiorano il quadro“: l’aveva descritta così nei giorni scorsi Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare del San Raffaele.
Le osservazioni degli esperti dell’Irccs milanese sono pubblicate sulla rivista ‘Critical Care and Resuscitation’.
“Non è da oggi che diciamo che non ci troviamo di fronte alla classica polmonite, ma a qualcosa di più complesso e differente, molto più sistemico“, aveva spiegato Zangrillo.
MicroClots sta per “Microvascular Covid-19 lung vessels obstructive thromboinflammatory syndrome”.
Si potrebbe parlare di “una sorta di sindrome endoteliale progressiva a partenza polmonare“, spiega all’Adnkronos Salute Giovanni Landoni, professore che coordina l’attività di ricerca in anestesia e rianimazione nell’Irccs e nell’ateneo. Il virus, ricostruisce il docente, “entra nei polmoni, negli alveoli. Qui in qualche modo, in un arco temporale lungo che può durare parecchi giorni, causa un danno che è già sul versante ematico. L’edotelio viene in qualche modo interessato e scatena una sindrome trombotica, scatena la coagulazione“. Landoni racconta che il fenomeno osservato con i colleghi è “veramente peculiare, mai riscontrato in quadri polmonari simili“. Questo “aiuta a capire che esistono fasi diverse di malattia“. “C’è il malato con la febbricola che sta a casa e per lui avremmo tanto bisogno di avere un antivirale mirato. Poi c’è il malato che comincia a star male e arriva in pronto soccorso: verosimilmente questo paziente si trova nella fase dell’infiammazione e per lui ci sono tanti antinfiammatori che stiamo studiando. Poi c’è il malato che – per motivi genetici, per una predisposizione o per sfortuna, lo vedremo – evolve in MicroClots, cioè ha una manifestazione della malattia in senso propriamente trombotico. Ormai se ne parla tanto: questa è la fase che sarebbe bene prevenire o trattare con anticoagulanti o antiaggreganti, quale opzione sia più indicata andrà definito“.
“Abbiamo visto più di 800 polmoniti gravi e più di 110 malati ricoverati in terapia intensiva – afferma Landoni – e avendo mantenuto anche le altre attività abbiamo potuto ricevere tutta una serie di feedback da parte di colleghi cardiologi, cardiochirurghi, chirurghi vascolari, ematologi, internisti, radiologi, coagulologi. Ognuno da punti di vista diversi ci ha fatto convergere su questa storia. E adesso, un po’ a pezzi, la pubblicheremo tutta“.
La sindrome infiammatoria trombotica che evolve causando trombi nei polmoni può progredire e arrivare a “coinvolgere anche il letto microvascolare del cervello e altri organi vitali, portando a insufficienza multipla e morte“, spiegano gli autori. Capire la sequenza di eventi che si innescano, sottolineano, può aiutare a spiegare le particolarità osservate sui malati. “Vediamo carenze di ossigeno nel sangue così marcate e non giustificate dall’impegno polmonare“, rileva Landoni. “Alcuni dei pazienti gravi hanno polmoni morbidi, ma non passa il sangue. Si riescono a ventilare, ma il sangue non riesce a passare. Vediamo persone con una saturazione molto bassa che avvertono un malessere limitato rispetto alla gravità della situazione. E’ un rompicapo e piano piano stiamo mettendo insieme i pezzi per decifrarlo“.