La didattica a distanza, così come è stata pensata, non è adatta a milioni di famiglie italiane. Anzi, di più: manda in crisi genitori e figli. Per comprenderlo basta capire come funziona e basta immedesimarsi in una qualsiasi famiglia italiana in questo momento storico. Si tratta di video lezioni tenute grazie ad app, come Skype e simili, da docenti che parlano contemporaneamente a tutti gli alunno di una classe, o in alcuni casi anche singolarmente, con tutte le difficoltà che comportano le video chiamate, tra audio che salta e video che a volte, in base alla connessione, lascia a desiderare.
Per uno studente della scuola secondaria di secondo grado – ovvero le superiori – la faccenda è semplice: sono nativi digitali, sono adolescenti e dunque districarsi nei meandri di una videochiamata di gruppo è quanto di più semplice possa essere chiesto loro. Volendo anche gli alunni della secondaria di primo grado potrebbero non avere grandi difficoltà, sebbene sia quella fascia di età molto critica che comprende ragazzini che sono ancora bambini e altri che sono già proiettati verso l’adolescenza, e dunque gli scogli da superare con la didattica a distanza, per i genitori, sono sono pochi. Ma le difficoltà vere, allo stato attuale, sono per i bambini che frequentano le elementari e che, per seguire la didattica a distanza, necessitano della presenza quasi costante dei genitori.
Allo stato attuale gli studenti delle scuole primarie italiane sono in tutti 2.612.538. Ciò significa che oltre due milioni di famiglie sono alle prese con la didattica a distanza. Che c’è di difficoltoso, potrebbe chiedere qualcuno? Beh, se in famiglia si dovesse fare solo quello non ci sarebbe nulla di complicato, ovviamente se i genitori hanno competenze e grado di istruzione giusto per aiutare i propri figli, ma calcolando che molti genitori in questo periodo lavorano in modalità smart working, ecco che si comprende cosa sta accadendo in milioni di case italiane. Io, genitore, devo lavorare utilizzando il mio computer. Mio figlio, che fa terza elementare, deve seguire le lezioni utilizzando un computer. E se di computer in casa ce n’è solo uno? E poi, dopo aver seguito la lezione, chi dovrà spiegare ai bambini ciò che devono fare, se non hanno compreso qualcosa durante la spiegazione dell’insegnante? Il genitore, ovviamente. E quel genitore come fa a lavorare e contemporaneamente a fare da tutor al figlio?
Sembrano quasi domande retoriche ma purtroppo non lo sono e le famiglie italiane nelle quali il caos in questo momento regna sovrano sono troppe. Un periodo non semplice per tutti dovrebbe almeno essere reso più facilmente vivibile da chi ha potere decisionale in tal senso, ma per genitori e studenti è l’esatto contrario: stress e corse contro il tempo fanno quasi rimpiangere la frenesia dei giorni ‘normali’ che ci siamo nostro malgado lasciati alle spalle con la quarantena. Non tutti i bambini sanno utilizzare bene un computer, soprattutto a 6 o 7 anni, e anche a 9 o 10 hanno bisogno di qualcuno che li segua. Ma la confusione su come fare a far quadrare i conti in casa tra smart working e didattica a distanza regna sovrana, tanto più quando vediamo episodi come quello accaduto due giorni fa, quando il Ministro dell’istruzione Lucia Azzolina si è resa protagonista di una scena che ha lasciato a bocca aperta gli assessori regionali alla scuola di tutta Italia. E ovviamente anche i docenti che si stanno reinventando e stanno riformulando il proprio lavoro, pur di dare continuità alle lezioni lasciate in sospeso, nonostante il fatto che fino a questo momento lo Stato non li abbia formati, se non in rari ed eccezionali casi, per tenere lezione a distanza.
“La ministra Azzolina non ha risposto a nessuna domanda e quando abbiamo iniziato a incalzarla sulla fine dell’anno scolastico, sulla ripartenza a settembre, si è alzata e ci ha lasciato davanti a uno schermo vuoto. Sedici assessori sbigottiti. Non avevo mai visto nulla di simile“. E’ questo il racconto dall’assessore all’Istruzione della Regione Lombardia, Melania Rizzoli. Tutti gli assessori alla scuola delle venti regioni d’Italia chiedevano da un mese un incontro: lo hanno ottenuto due giorni fa, ma dopo un’ora di indicazioni critiche e richieste dal territorio, la comunicazione si è interrotta: “Buona giornata a tutti“, ha detto all’improvviso la Azzolina alzandosi e andando via senza risposte e senza spiegazioni. “Sono state più lunghe le prove di attivazione wi-fi che lo scambio sui contenuti“, hanno raccontato i presenti. Cristina Grieco, assessore della Regione Toscana, coordinatrice del videoincontro, ha spiegato che “è stata una riunione surreale, con un’emergenza di questo tipo la ministra non ha sentito l’esigenza di sentirci prima e poi ha eluso le domande in diretta. Siamo persone delle istituzioni e dobbiamo provare ad andare oltre l’episodio, dobbiamo trasformare il rapporto con il ministero in un coinvolgimento costante. Speriamo di riuscirci“.
“Abbiamo chiesto al ministero spiegazioni sulle risorse per la didattica digitale – spiega ancora Melania Rizzoli –, sulla detrazione per le spese delle scuole paritarie, sulle regole per la formazione professionale e, ancora, abbiamo avanzato richieste sugli Istituti tecnici superiori e i fondi per il sistema da zero a sei anni. La ministra ha risposto zero, qualcosa ha accennato il suo dirigente. Speravamo che la Azzolina intendesse avviare, finalmente, un confronto serio e pragmatico. Non è avvenuto e non possiamo che dirci preoccupati e sentirci sconfortati. La scuola italiana è in pessime mani e il rischio che si intravvede e che i nostri giovani pagheranno il conto della totale inadeguatezza di questa ministra. Non sappiamo neppure come si comporterà l’istruzione con gli alunni di materne ed elementari, per loro è più difficile rispetto agli altri portare le mascherine”.
Gli assessori regionali d’Italia sanno che c’è la possibilità che a settembre non si possa tornare a scuola, e in merito hanno chiesto delucidazioni che non sono mai arrivate: “Ci aspettavamo risposte politiche, ma ieri non sono arrivate neppure quelle tecniche“. Assessori, docenti, genitori, alunni: tutti brancolano nel buio. Chi dovrebbe accendere una luce, o quanto meno un lume, brancola più degli altri. E intanto a rimetterci sono i genitori che devono improvvisarsi insegnanti, tralasciando il proprio lavoro e rischiando l’esaurimento nervoso.