Quel ramo della Croce del Nord che volge agli Frb

«Al momento sono pronti per l’uso 8 cilindri, anche se per le osservazioni riportate nel nostro articolo ne abbiamo utilizzati solo 6»
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Quando pensiamo a un radiotelescopio, la prima immagine che ci si presenta alla mente – complice Jodie Foster in Contact, in ascolto con le cuffie fra le antenne del Vla – è quella di un’enorme parabola che punta verso il cielo. E in effetti è proprio così che è fatta la maggior parte dei grandi radiotelescopi. Ma non tutti. Alcuni di loro, più che a un gigantesco piatto, fanno pensare a uno stendipanni di formato industriale: filari d’acciaio che s’estendono per centinaia di metri nella campagna, incendiandosi al tramonto quando il Sole riverbera sui loro sottilissimi cavi metallici. È così che si presentano alla vista due fra i principali protagonisti al mondo della caccia ai fast radio bursts: il canadese Chime e l’australiano Molonglo. Quest’ultimo, recentemente riadattato per essere usato come prototipo di Ska, in origine – quando ancora si chiamava Molonglo Cross Telescope – era un radiotelescopio a bracci perpendicolari sensibile ai 408 MHz: dunque praticamente identico, per concezione e frequenza di funzionamento, alla Croce del Nord della Stazione radioastronomica di Medicina dell’Inaf. Ebbene, presto i due potrebbero tornare a essere radiotelescopi gemelli: anche la Croce del Nord, infatti, si sta sottoponendo a un lifting – illustrato il mese scorso sulle pagine di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – che dovrebbe ammodernarla in modo significativo e portarla, nell’arco di pochi mesi, a essere in grado di captare i fenomeni più misteriosi degli ultimi anni: i fast radio bursts (Frb), appunto, o lampi radio veloci.

In alto, veduta aerea della Stazione radioastronomica di Medicina. In primo piano la Croce del Nord, con i suoi due rami perpendicolari. In basso, schema dei “cilindri” di cui è costituita che formano il ramo nord-sud. Fonte: N. Locatelli et al. Mnras, 2020

Dal punto di vista “architettonico” la Croce del Nord, come il vecchio Molonglo Cross Telescope, è costituita da due bracci perpendicolari disposti a forma di ‘T’: il ramo est-ovest (EW arm, la barra verticale della ‘T’) è un’unica antenna lunga 564 metri, mentre il ramo nord-sud (NS arm, la barra orizzontale della ‘T’), lungo in totale 625 metri, è costituito da 64 antenne parallele – i cosiddetti “cilindri”. L’opera di riconversione allo studio dei fast radio bursts riguarderà – almeno inizialmente – quest’ultimo ramo soltanto, ed è già iniziata.

«Al momento sono pronti per l’uso 8 cilindri, anche se per le osservazioni riportate nel nostro articolo ne abbiamo utilizzati solo 6», dice Gianni Bernardi, ricercatore all’Inaf Ira di Bologna e coautore dello studio pubblicato su Mnras. «L’estensione in corso da 8 a 64 cilindri permetterà di usare l’antenna non solo per studiare Frb già noti e localizzati ma anche, potenzialmente, per scoprirne di nuovi».

«L’upgrade dei 64 cilindri del ramo nord-sud dovrebbe terminare entro il 2023», aggiunge un altro dei coautori, Germano Bianchi, anch’egli all’Inaf Ira di Bologna, «ma già per la fine di quest’anno ne avremo 32 funzionanti. Quanto all’investimento economico, poiché in modo del tutto indipendente già stiamo ristrutturando l’antenna per un altro progetto sugli space debris, l’unico vero costo è quello per le workstation che eseguono il processing degli Frb: parliamo di circa 30mila euro, investiti dall’Istituto di radioastronomia dell’Inaf di Bologna».

Un investimento modesto, dunque, se rapportato alle prospettive scientifiche che si apriranno. Molto più impegnativo sarebbe invece il “restauro” del ramo est-ovest, che richiederebbe consistenti operazioni di manutenzione meccanica e la sostituzione delle linee focali, così da renderle omogenee con quelle del ramo nord sud. Senza contare che, pur a fronte d’un radicale miglioramento nella localizzazione del segnale – che passerebbe dai gradi agli arcominuti – il carico in termini di calcolo per il backend sarebbe enorme. Insomma, almeno in questa prima fase, a inseguire gli Frb dalla Pianura padana non sarà una ‘T’ ma una ‘I’. I primi risultati – quelli pubblicati su Mnras – sembrano comunque promettenti.

Gianni Bernardi (Inaf Ira di Bologna)

«È vero che per ora non abbiamo ancora visto alcun Frb, ma è perché abbiamo appena cominciato. Il nostro è al momento uno studio pilota», sottolinea Bernardi, «la dimostrazione della fattibilità di un concetto. D’altronde, la Croce del Nord non nasce come strumento per osservare transienti veloci. Ma negli ultimi anni è stato fatto molto lavoro per trasformare il backend, con due obiettivi. Primo, arrivare a disporre di un sistema di acquisizione che potesse formare un beam del telescopio puntato in una direzione, acquisire dati e campionarli alla risoluzione temporale che necessaria per gli Frb, dunque sotto al millisecondo. Secondo obiettivo era allargarne la banda di acquisizione, che era inizialmente molto stretta – circa 4 MHz attorno ai 408 MHz. E l’ampiezza della banda di acquisizione non è importante solo per la sensibilità, ma anche perché quelli degli Frb sono segnali “dispersi”, e questa dispersione ha una caratteristica dipendenza in frequenza [ndr. vedi grafico qui sotto]. Dunque coprire una frequenza più ampia ti dà la possibilità, per esempio, di distinguere tra segnali impulsivi celesti e segnali impulsivi dovuti, invece, a interferenze».

Gli impulsi degli Frb vengono “dispersi” dal materiale presente tra le galassie, con l’effetto di rallentare maggiormente le frequenze più basse rispetto a quelle superiori. Fonte: E. F. Keane et al. 2016

Per verificare se queste due migliorie – sistema d’acquisizione veloce e allargamento della banda – effettivamente funzionano, il team della Croce del Nord ha atteso al varco un tipico segnale transiente veloce, sotto molti punti di vista simile a un fast radio burst ma assai più prevedibile, e dunque più facile da imbrigliare: una pulsar.

«Inizialmente, al fine di calibrare le osservazioni della Croce, abbiamo osservato Cas A, una radiosorgente brillante e ben nota», spiega il primo autore dell’articolo, Nicola Locatelli, dottorando dell’Università di Bologna e associato all’Inaf di Bologna. «Ma il primo vero test per lo strumento è stato quello di rintracciare gli impulsi della pulsar B0329+54 durante i 25 minuti circa attorno al suo transito allo zenit sopra Medicina. La potenza del segnale con cui abbiamo registrato questi impulsi, per molti versi simili a quelli degli Frb, ci ha permesso di quantificare in dettaglio le potenzialità – in termini sensibilità – che avrà Croce quando la attiveremo per la vera e propria caccia agli Frb, sia per la sola parte attualmente disponibile, che, in previsione, per il futuro utilizzo di tutto il braccio nord-sud».

Nicola Locatelli (Univ. Bologna e Inaf), primo autore dello studio pubblicato su Mnras. Crediti:. Sara Braggio

«In realtà, comunque, la caccia agli Frb è già iniziata: nel mese scorso», ricorda Locatelli, «la Croce del Nord è stata infatti utilizzata, in contemporanea con il Sardinia Radio Telescope (Srt) e altri telescopi ottici e X, per monitorare un Frb noto per la sua periodicità nel ripetersi. Srt ha avuto fortuna (vedi Pilia et al., 2020), riuscendo a vedere l’Frb 180916 ripetersi alla frequenza di 328 MHz – dunque molto simile ai nostri 408 MHz. La Croce del Nord, invece, essendo uno strumento ad azimut fissato non poteva purtroppo vedere quella parte di cielo in quei preziosi istanti. Saremo più fortunati in futuro, ma intanto abbiamo mostrato di essere pronti».

Fonte: Marco Malaspina

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