Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dello Smithsonian’s Global Health Program, che hanno collaborato con i colleghi della Scuola di Medicina Veterinaria dell’Università della California di Davis, del Vanderbilt Vaccine Center presso il Centro Medico dell’Università Vanderbilt e del Ministero dell’Agricoltura, dell’Allevamento e dell’Irrigazione del Myanmar, ha scoperto 6 nuovi coronavirus in diverse specie di pipistrelli della Birmania. Gli scienziati, coordinati dal dottor Marc T. Valitutto, ricercatore presso lo Smithsonian’s National Zoological Park e Conservation Biology Institute, hanno scoperto i nuovi coronavirus dopo aver analizzato 750 campioni fecali e salivari prelevati da diversi pipistrelli del Paese, visitato in varie spedizioni tra maggio 2016 e agosto 2018.Tutti i virus sono stati trovati nei chirotteri che vivono in una grotta chiamata “Linno Cave”.
I sei coronavirus sono divisi in due gruppi: tre sono alphacoronavirus e tre betacoronanivurs. Anche i virus responsabili della SARS (Severe acute respiratory syndrome, sindrome respiratoria acuta grave), della MERS (Middle East Respiratory Syndrome, sindrome respiratoria mediorientale) e della COVID-19 sono betacoronavirus, tuttavia nessuno dei nuovi patogeni sembra essere correlato a quelli responsabili delle patologie. I campioni di guano (escrementi) hanno rappresentato “la maggior parte dei positivi, suggerendo un’importante via di trasmissione”, scrivono i ricercatori nello studio pubblicato sulla rivista scientifica specializzata PloS ONE. “La rilevazione nel guano ha anche implicazioni per la sorveglianza futura, poiché il nostro studio dimostra l’importanza della raccolta non invasiva di guano per la sorveglianza virale, ovviando potenzialmente al bisogno di gestire singoli pipistrelli per il rilevamento”, si legge.
“Una differenza è stata rilevata nei positivi al CoV a seconda delle specie, con i campioni del H. larvatus che hanno rappresentato l’83% dei positivi”. Dei 4 CoV rilevati nello studio, “PREDICT_CoV-90 è stato trovato solo nel S. heathii; e PREDICT_CoV-92, -93, e -96 sono stati trovati sono nel H. larvatus”, scrivono gli esperti.
Valitutto e colleghi ritengono che nei pipistrelli siano presenti migliaia di coronavirus non ancora noti agli scienziati, e parte di essi potrebbe scatenare in futuro nuove pandemie. “Considerate le potenziali conseguenze per la salute pubblica alla luce dell’attività umana in espansione, è necessaria una sorveglianza continua per i coronavirus. Il cambiamento nell’utilizzo della terra probabilmente continuerà ad avvicinare sempre di più le persone ai pipistrelli, aumentando i tassi di incontro e le opportunità per il salto di specie, facilitando la comparsa di virus zoonotici e supportando la necessità della sorveglianza. Storicamente, le attività umane hanno svolto un importante ruolo negli eventi di trasmissione tra specie. Dopo l’epidemia di SARS, i coronavirus sono stati rilevati in numerose specie di pipistrelli nel mondo, come Asia, Africa, Europa, Americhe e Australasia. Crescenti prove sostengono il ruolo dei pipistrelli nella trasmissione dei virus di interesse per la salute pubblica, inclusi SARS-CoV e MERS-CoV. Comprendere la loro ecologia e prevalenza nei loro ospiti naturali può migliorare la nostra capacità di rilevare, prevenire e rispondere a potenziali minacce per la sanità pubblica. Infine, considerati gli essenziali servizi per l’ecosistema forniti dai pipistrelli, gli sforzi della sanità pubblica dovrebbero sostenere misure preventive per proteggere le persone dalla trasmissione delle malattie, consentendo allo stesso tempo la coesistenza delle comunità umane e dei pipistrelli in un paesaggio condiviso”, conclude lo studio.
Al momento non è ancora noto se i 6 virus scoperti siano in grado di compiere il salto di specie (spillover), infettare anche l’uomo e scatenare una pandemia. Nei prossimi mesi saranno condotti studi specifici sui nuovi coronavirus per comprendere quali rischi possano comportare. “Le pandemie virali ci ricordano quanto la salute umana sia strettamente connessa alla salute della fauna selvatica e dell’ambiente”, ha dichiarato il dottor Valitutto, un ex veterinario specializzato in fauna selvatica dello Smithsonian. “In tutto il mondo, gli uomini interagiscono con la fauna selvatica con frequenza crescente, quindi più comprendiamo questi virus negli animali – cosa consente loro di mutare e come si diffondono in altre specie – meglio possiamo ridurre il loro potenziale pandemico”, ha aggiunto lo specialista. “Molti coronavirus potrebbero non rappresentare un rischio per le persone, ma quando identifichiamo queste malattie nelle prime fasi negli animali, alla fonte, abbiamo una preziosa opportunità per indagare sulla potenziale minaccia”, ha aggiunto la dottoressa Suzan Murray, direttrice dello Smithsonian’s Global Health Program. “Attenta sorveglianza, ricerca e istruzione sono gli strumenti migliori che abbiamo per prevenire le pandemie prima che si verifichino”, ha concluso la specialista.