“Fare subito tamponi nasofaringei a tappeto“: è l’appello di 150 scienziati che chiedono di garantire una maggior sicurezza nella fase 2 dell’emergenza Coronavirus.
La richiesta iniziale era stata lanciata ai primi di maggio dal virologo Andrea Crisanti, dal sociologo Luca Ricolfi e dal giurista Giuseppe Valditara ed oggi è arrivato ad essere condiviso da 150 esperti. Dopo la missiva – riporta il “Corriere della sera” – alcuni hanno contestato l’efficacia del metodo “a tappeto”, ma ora, a supporto delle tesi dell’appello, arriva un documento redatto, per ‘Lettera 150’, da Francesco Curcio, professore di Patologia generale all’Università di Udine e da Paolo Gasparini, docente di Genetica medica all’Università di Trieste.
“Il tampone nasofaringeo/orofaringeo è l’unico esame che può essere fatto per stabilire il contagio da coronavirus, lo stato di malattia in cui si trova l’infettato e il livello di contagiosità e l’Italia ne ha sinora eseguiti un numero inferiore alle esigenze per ripartire in sicurezza. Serve identificare precocemente il maggior numero possibile di positivi e i loro contatti, evitando che R0 ritorni a valori che porterebbero al lockdown,” spiega il professor Paolo Gasparini. Fare così tanti test è “concretamente possibile perché gli italiani attivi sono 38,6 milioni e si potrebbe realizzare un target di 20 milioni di tamponi, raggiungendo più della metà della popolazione attiva“.
“Ci potremmo focalizzare sulle aree a rischio maggiore – prosegue Gasparini – favorendo il turismo e proteggendo i luoghi di villeggiatura, i porti e gli aeroporti“.
“È indispensabile concentrare i test in 15 giorni, il che significa farne fare 1.330.000 al giorno da personale medico. Ognuno di loro ne può eseguire 100 al giorno e ne servono 13.300“.
“Si potrebbero reclutare i 35 mila specializzandi o i 9 mila medici laureati e abilitati in attesa di una formazione futura“.
In riferimento specificamente ai tamponi “la ditta leader al mondo è italiana e dovrebbe essere in grado di fornirli e poi lavorando in modo manuale si possono processare 96 campioni al giorno per operatore. Quindi servono 13.900 tecnici/biologi da reperire magari tra ospedali e università. Si possono impiegare anche sistemi robotizzati aperti, 24 ore su 24, portando la produttività a 700 campioni per sistema al giorno. Servirebbero 1.900 robot e 3.800 operatori. Per i reagenti, i robot aperti utilizzano quelli prodotti da decine di ditte per le quali, al momento, non esiste difficoltà di reperimento sul mercato Se una parte delle analisi venisse fatta con i robot chiusi, sviluppati esclusivamente per il Covid, si potrebbe arrivare a 7-8 mila campioni al giorno“.
“Per testare 100 soggetti si possono fare 10 pool da 10 persone, riducendo da 100 a 10 le analisi. Se tutti i pool saranno negativi non si dovrà fare altro. Se ci sarà un positivo si dovranno analizzare singolarmente i 10 soggetti per identificarlo. Così, nelle aree a minor diffusione, potrebbero essere sufficienti pochissime analisi per analizzare un gran numero di soggetti“.