“In Lombardia si sono verificate troppe stranezze sui dati nel corso di questi tre mesi: soggetti dimessi che venivano comunicati come guariti andando ad alimentare il cosiddetto silos dei guariti; alternanze e ritardi nella comunicazione dei dati, cosa che poteva essere giustificata nella fase dell’emergenza quando c’erano moltissimi casi ma molto meno ora, eppure i riconteggi sono molto più frequenti in questa fase 2. E’ come se ci fosse una sorta di necessità di mantenere sotto un certo livello quello che è il numero dei casi diagnosticati“: lo ha affermato Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe, ospite di 24 Mattino su Radio 24. “La Lombardia probabilmente ha avuto questa enorme diffusione del contagio in una fase precedente al caso 1 di Codogno e le misure di lockdown, come avevamo chiesto noi all’inizio di marzo, dovevano essere più rigorose e restrittive. Noi avevamo chiesto la chiusura dell’intera Lombardia, un po’ come Wuhan, perché era evidente che quel livello di esplosione del contagio non poteva che essere testimonianza di un virus che serpeggiava in maniera molto diffusa già nel mese di febbraio. Non è stato fatto, sono state prese tutta una serie di non decisioni, come la non chiusura delle zone di Alzano Lombardo e Nembro, che hanno determinato tutto quello che è successo nella bergamasca, e poi una smania ossessiva di riaprire“.
“La nostra grossa preoccupazione è che in questo momento la situazione lombarda sia quella che uscirà per ultima da questa tragedia, perché se si chiude troppo tardi e si vuole riaprire troppo presto, e si combinano anche dei magheggi sui numeri, allora è ovvio che la volontà politica non è quella di dominare l’epidemia ma è quella di ripartire al più presto con tutte le attività, e questo non lascia tranquilli“, afferma il presidente di fondazione Gimbe per il quale “non si sta effettuando un’attività di testing adeguato“. “E’ evidente che i casi sommersi sono 10-20 volte quelli esistenti e se non li vado a identificare, tracciare e isolare questi continuano a girare e contagiare. E’ un cane che si morde la coda: da una parte non si vogliono fare troppi tamponi per evitare di mettere sul piatto troppi casi, dall’altro non identificando questi casi si alimenta il contagio tanto che, secondo la valutazione che pubblichiamo oggi, negli ultimi 23 giorni, dal 4 al 27 maggio, la Lombardia ha il 6% di tamponi diagnostici positivi, e sottolineo ‘diagnostici’ perché se mettiamo al denominatore tutti i tamponi fatti è chiaro che questa percentuale artificiosamente scende. La Liguria è al 5,8%, il Piemonte al 3,8%“.
“Gravissime, offensive e soprattutto non corrispondenti al vero“: così in una nota, la Regione Lombardia commenta le dichiarazioni di Nino Cartabellotta. “In Lombardia fin dall’inizio della pandemia i dati vengono pubblicati in maniera trasparente e inviati alle Istituzioni e alle autorità sanitarie preposte. Nessuno, a partire dall’Istituto Superiore di Sanità, ha mai messo in dubbio la qualità del nostro lavoro che, anzi, proprio l’Iss ha sempre validato ritenendolo idoneo per rappresentare la situazione della nostra regione“. “È dunque inaccettabile – conclude la nota – ascoltare simili affermazioni che ci auguriamo vengano rettificate da chi le pronunciate“.