“Il mercurio è un metallo che ha affascinato l’uomo sin dall’antichità. Veniva impiegato come veleno, come unguento disinfettante e persino come elisir di lunga vita. L’Inghilterra vittoriana (XVIII secolo), patria della moda settecentesca, usava impiegare il mercurio nella fabbricazione di cappelli e cilindri in feltro. Ma i vapori sprigionati da tale metallo allo stato liquido erano altamente tossici e creavano numerosi casi di avvelenamento con danni alle cellule nervose di chi ne entrava in contatto (la cosiddetta ‘sindrome del cappellaio’). Da qui gli atteggiamenti di irritabilità, fino all’incapacità di padroneggiarsi e dare ai propri discorsi un senso compiuto.
Per denunciare la situazione delle fabbriche di cappelli in Inghilterra, lo scrittore inglese Lewis Carroll introdusse tra le pagine del capolavoro ottocentesco Alice nel paese delle meraviglie, lo stravagante personaggio del ‘Cappellaio Matto’. Le stranezze e i discorsi senza senso di questa figura coniugavano in sé elementi di fantasia e una realtà storica ben nota già alla metà del XVIII secolo. Non è infatti un caso che, nell’Inghilterra di quei tempi, il detto Mad as an hatter! che in italiano si traduce Matto come un cappellaio! fosse ampiamente diffuso.
Col tempo si è poi scoperto che i vapori di mercurio possono essere rilasciati in atmosfera, oltre che dal suo impiego nelle attività antropiche (artigianato, industrie, inceneritori di rifiuti, etc), anche da specifiche sorgenti naturali“: è quanto si legge in un approfondimento pubblicato sul blog INGVvulcani, a firma di Emanuela Bagnato.
“Tra le sorgenti naturali, particolare importanza riveste il processo di degassamento vulcanico. È noto infatti, che i vulcani rilasciano in atmosfera una vasta gamma di elementi e composti chimici sia durante le fasi di intensa attività eruttiva che nei periodi di quiescenza. I gas vulcanici, oltre ad essere costituiti da specie maggiori quali CO2, H2O, SO2, H2S, alogeni e gas nobili, contengono in quantità minori anche metalli pesanti (elementi che hanno un’elevata densità ed un grande numero atomico), potenzialmente tossici e dannosi per l’ecosistema terrestre. Tra questi, il mercurio (Hg). Diverse stime riportano che il mercurio rilasciato nelle emissioni vulcaniche è per il 90% costituito dal mercurio elementare gassoso (Hg0). In questa forma, una volta in atmosfera, il mercurio vi resta per lunghi tempi di residenza (variabili da sei mesi a due anni) durante i quali viene trasportato lontano dalla sua sorgente originaria di emissione.
La principale problematica ambientale legata al mercurio atmosferico riguarda tuttavia quello che accade una volta che tale elemento si deposita in ambiente acquatico. Qui, nella sua forma organica (metilmercurio), il mercurio si accumula nei tessuti molli dei pesci (‘bioaccumula’) e può quindi entrare a far parte della catena alimentare (‘biomagnifica’) giungendo fino all’uomo.
Una documentata testimonianza del ruolo dei vulcani come potenziali sorgenti di mercurio per l’atmosfera terrestre ci giunge da uno studio condotto dal Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS) nel 2002.
I risultati ottenuti su 97 campioni di ghiaccio prelevati dal ghiacciaio dell’Upper Fremont, in Wyoming, hanno evidenziato un aumento della concentrazione di Hg all’interno dei campioni di ghiaccio che coincideva con tre importanti eventi vulcanici, avvenuti in altre zone del mondo, ovvero l’eruzione del 1980 del Mount St. Helens, quella del 1883 del vulcano Krakatau e infine, la famosa eruzione del 1815 del Tambora.”
Numerosi studi, prosegue l’esperta, “hanno evidenziato che l’input a scala globale di Hg da parte dell’attività vulcanica e geotermale rappresenta una delle maggiori sorgenti di Hg per l’atmosfera terrestre. Anche a scala locale un vulcano può rappresentare una sorgente puntuale di inquinamento per l’ecosistema terrestre; basti pensare all’Etna, alla sua posizione geografica e alla quantità di persone che abitano nelle aree limitrofe. L’Etna di per sé è un grande emettitore di SO2 (circa 2000 tonnellate/giorno), rappresentando una sorgente di inquinamento atmosferico per l’intera area del Mediterraneo e per l’Europa.
È stato stimato che l’Etna emette annualmente circa 5 tonnellate di Hg durante le sue fasi di degassamento quiescente. Queste quantità, confrontate con le tonnellate di zolfo o di anidride carbonica emesse dallo stesso vulcano, sembrano trascurabili. In realtà, i flussi di emissione di Hg da parte dell’Etna potrebbero essere di gran lunga più elevati se si considera che questo valore si riferisce ad una fase di degassamento passivo del vulcano stesso e non tiene conto di eventuali incrementi durante le fasi eruttive.
In passato il contributo del vulcanismo attivo come potenziale sorgente di Hg è stato a lungo sottovalutato. I database presenti in letteratura che racchiudono i valori delle emissioni di Hg globale da parte del vulcanismo attivo presentano diverse incertezze e incongruenze.
Recentemente, è stato proposto un valore di emissione di Hg a scala globale da parte del degassamento vulcanico a condotto aperto in fase di quiescenza pari a 76 ± 30 tonnellate/anno. Di questa stima, 56 tonnellate/anno rappresentano il contributo di Hg cumulativo da parte di soli 13 vulcani. Tuttavia, se si pensa alla enorme quantità di aree vulcaniche attive distribuite sulla superficie terrestre (il 99% distribuite lungo i limiti di placca, ovvero nelle aree di subduzione e nelle aree di dorsale) e a quante ancora non sono state investigate in termini di emissioni di Hg, viene lecito pensare che questi valori siano fortemente sottostimati e limitino il reale apporto del degassamento terrestre sul budget globale di Hg in atmosfera. Ancora meno investigate sono le aree idrotermali, in cui si riportano valori di flusso di Hg variabile da 8,5 a 60 tonnellate/anno, su scala globale.
Da quanto esposto, se ne deduce che: (i) sebbene siano stati riconosciuti più di 1300 vulcani attivi sulla superficie terrestre, solo un numero esiguo di essi è stato investigato in termini di emissione di Hg; (ii) veramente poco si sa sul contributo di Hg da parte dell’attività vulcanico/idrotermale sottomarina, per ovvie difficoltà logistiche; (iii) la maggior parte delle misure riportate a oggi sui flussi di Hg sono state effettuate durante fasi di quiescenza dei vulcani investigati e (iv) infine, solo pochi vulcani sulla superficie terrestre sono stati realmente monitorati in situ in termini di emissione di Hg, a causa della difficile accessibilità ai siti di indagine.”
“Milioni di persone popolano le aree limitrofe i vulcani attivi della Terra; oggi, nonostante l’interesse per le ricerche sul mercurio di origine vulcanica, mancano ancora tanti tasselli per definire quantitativamente il rischio associato a tali emissioni in maniera concreta e definitiva, anche ai fini della creazione di scenari futuri,” conclude l’esperta.