“Due approcci molto promettenti su cui si fonda molto del mio ottimismo sulla possibilità che una eventuale seconda ondata di COVID-19 possa essere gestita molto meglio della prima, in Italia come negli USA“: il virologo Guido Silvestri, della Emory University di Atlanta, ha dedicato un post di approfondimento, sulla sua pagina Facebook, agli anticorpi monoclonali e al plasma convalescente.
Ecco il post:
“ANTICORPI MONOCLONALI E PLASMA CONVALESCENTE
Vi ricordate i vari anticorpi monoclonali neutralizzanti contro COVID-19? Sono quelli chiamati con sigle impossibili da ricordare, e che io ho ribattezzato Brenno, Dodi, Paolone, Silvietta, Pino, etc.
Adesso ce ne sono altri quattro “in forno”, prodotti da un team dell’Università di Toronto guidato da S.S. Sidhu in collaborazione con alcuni ricercatori italiani (Maria Capobianchi, Giuseppe Novelli, PPP ed altri). Anche questi anticorpi monoclonali hanno una notevole potenza neutralizzante contro SARS-CoV-2 in vitro e sono in corso di studio in vivo. Naturalmente pure loro hanno dei nomi ostici (15031, 15032, 15033, e 15034), ed io ho pensato che per noi potrebbero essere il Quartetto Cetra. Scherzi a parte, si tratta di un’ottima notizia.
Come detto altre volte, questi anticorpi monoclonali sono diretti contro la proteina S1 di SARS-CoV-2 e sono in grado di neutralizzare con grande potenza la capacità del virus di legarsi, tramite la proteina S1 stessa, al suo recettore cellulare ACE2, in un processo che rappresenta il primo passo per infettare la cellula ospite. Molti ritengono che questi anticorpi monoclonali che neutralizzano SARS-CoV-2 abbiano ottime chances di funzionare negli esseri umani esattamente come (alcuni di loro) hanno già funzionato nei topi e nelle scimmie.
Per cui, per questi anticorpi monoclonali, c’è uno scenario che a me piace immaginare — con un po’ di sano ottimismo — per una prossima, probabile ondata di COVID-19. E’ quello di una persona che sviluppa i sintomi, va al pronto soccorso, si fa una bella flebo di Brenno o della Dodi (pardon, di CB6 o di BD-368-2) e se ne torna a casa protetto dalle complicanze più gravi dell’infezione.
Naturalmente tutto questo dovrà essere RIGOROSAMENTE VERIFICATO da studi clinici controllati eseguiti per dimostrarne l’efficacia (l’ho scritto in maiuscolo per “neutralizzare” i soliti cretinetti che mi fanno dire cose che non ho detto 🙂 ). Ma, ripeto, le chances di successo sono alte, e per questo rinnovo il mio invito a chi di dovere – Ministero della Salute, CTS, ISS, AIFA, Regioni, etc – a seguire con molta attenzione i risultati di questi studi clinici ed a prepararsi alla potenziale necessità di un rapido approvvigionamento.
Ricordo anche che la terapia con anticorpi monoclonali è complementare, non alternativa, a quella con il PLASMA CONVALESCENTE. Quest’ultima è una terapia dai notevoli vantaggi (solido razionale fisio-patologico, costi relativamente bassi, minima tossicità, e last but not least l’entusiasmo dei donatori) ma anche alcuni svantaggi importanti (disponibilità limitata, difficile standardizzazione, rischio almeno teorico di contrarre infezioni). Ovviamente anche per il plasma convalescente, come per gli anticorpi monoclonali, vale la regola secondo cui l’efficacia deve essere comprovata da studi clinici controllati.
Insomma, si tratta di due approcci molto promettenti su cui si fonda molto del mio OTTIMISMO sulla possibilità che una eventuale seconda ondata di COVID-19 possa essere gestita molto meglio della prima, in Italia come negli USA. Dispiace solo che qualcuno, per motivi che a me sfuggono, insista nel creare una “contrapposizione” tra anticorpi e plasma, promuovendo strane teorie complottiste e paventando conflitti d’interesse che non sussistono (soprattutto nel caso di colleghi che studiano anticorpi monoclonali diretti contro altri virus).
Ed ecco qui il pre-print di Sidhu et al.:
https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.06.05.137349v2?fbclid=IwAR0ber8Cj2pJY6Xip9OmF6Mh8mZgFXfdqfNr2JKrpYX4M9aFDnDt_hebWPI”