Dopo oltre 20 anni, la plastica nell’oceano è come nuova: mostra pochi segni di degrado e può creare habitat artificiali

"I detriti di plastica in acque profonde potrebbero essere presenti su scale temporali molto lunghe, per esempio geologiche”, svela un nuovo studio
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L’inquinamento da plastica dei mari è un problema sempre più importante. “Dall’inizio della produzione di massa di polimeri negli anni del 1930, i materiali plastici sono apparentemente indispensabili per l’economia globale, con una produzione mondiale annuale di 359 milioni di tonnellate nel 2018. In Europa, la parte più grande (39,9%) della plastica è utilizzata per il confezionamento a breve termine di prodotti e alimenti. Attualmente, si ritiene che 5-13 milioni di tonnellate di detriti di plastica entrino ogni anno negli oceani, scrivono gli autori di uno studio, pubblicato su Nature, che ha esaminato gli effetti dell’immersione in acque profonde su questo materiale. “Attualmente, la ricerca è dedicata alla degradazione abiotica e microbica della plastica che galleggia vicino alla superficie dell’oceano per un esteso periodo di tempo. Al contrario, gli impatti delle condizioni ambientali nel mare profondo sulle proprietà e sulla rigidità dei polimeri sono praticamente sconosciuti”, scrivono i ricercatori.

plastica mare oceano inquinamentoNello studio, i ricercatori riportano i risultati di oggetti di plastica introdotti nei sedimenti del mare ad una profondità di 4.150 metri nell’Oceano Pacifico orientale oltre 20 anni fa, per la precisione tra il 1989 e il 1996. La datazione è stata fatta in base ad una lattina di Coca Cola trovata dentro un sacchetto: la plastica l’ha conservata così bene da poter leggere ancora l’etichetta e la provenienza. “I risultati del presente studio rappresentano, per quanto ne sappiamo, il primo set di dati che integra in modo affidabile il destino e la funzione ecologica della plastica in un intervallo di tempo di oltre due decenni in condizioni ambientali marine profonde“, scrivono i ricercatori.

inquinamento mare plastica bigI risultati dimostrano chiaramente che la maggior parte dei materiali polimerici non mostra alcun segno apparente di degradazione fisica o chimica. Solo gli strati superficiali polimerici hanno mostrato una ridotta idrofobia, presumibilmente causata dalla colonizzazione microbica. La comunità batterica presente sugli oggetti di plastica differiva in modo significativo da quelle dell’adiacente ambiente naturale per una dominante presenza di gruppi che richiedono forti gradienti di ossidoriduzione (Mesorhizobium, Sulfurimonas) e una notevole riduzione della diversità. La creazione di gradienti chimici sulle superfici polimeriche presumibilmente ha causato queste condizioni. I nostri risultati suggeriscono che la plastica è stabile per lunghi periodi in condizioni di acque profonde e che il prolungato deposito di elementi polimerici sul fondale marino potrebbe indurre una locale riduzione dell’ossigeno all’interfaccia sedimenti-acqua”, si legge nello studio.

Per quanto riguarda i campioni analizzati nel presente studio, è evidente che i percorsi di deterioramento microbico non hanno influenzato la stabilità dei polimeri dopo oltre 2 decenni di sedimentazione in acque profonde. Il cambiamento nell’idrofobia superficiale suggerisce che il deterioramento microbico era limitato allo strato superficiale degli articoli in plastica. È plausibile che, se garantite termodinamicamente, le reazioni di degradazione procederanno a velocità molto bassa. Di conseguenza, i detriti di plastica in acque profonde potrebbero essere presenti su scale temporali molto lunghe, per esempio geologiche, si legge nello studio.

In sintesi, gli oggetti di plastica depositati nei sedimenti hanno impatti ambientali a lungo termine, creando habitat artificiali con forti gradienti chimici. A causa delle proprietà superficiali dei polimeri e dei gradienti chimici, è probabile che prosperino specifiche comunità microbiche, diverse da quelle dell’adiacente ambiente naturale. Considerato il prolungato accumulo dei detriti di plastica sul fondale marino, le aree coperte potrebbero espandersi, mettendo a rischio il funzionamento degli ecosistemi a tutti i livelli trofici”, concludono i ricercatori.

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