Con la dichiarazione d’Indipendenza sottoscritta da tutti i rappresentanti del Congresso, il 4 luglio 1776 nascono ufficialmente gli Stati Uniti d’America. Oggi, 4 luglio, negli Usa si celebra l’Indipendence Day, la più importante festività nazionale. I 13 stati dell’Unione sconfissero la Gran Bretagna nel 1781, ma ci volle il 3 settembre 1783 per ottenere il riconoscimento da parte degli inglesi. La Rivoluzione Americana (1775-1783) iniziò quando i rappresentanti delle 13 colonie nordamericane del regno britannico cercarono più autonomia all’interno dell’Impero.
I FATTI
La Rivoluzione Americana era iniziata nell’aprile del 1775 e le colonie inizialmente non chiedevano la completa separazione dal regno britannico. Chiedevano maggiore autonomia dall’Impero, ma i britannici e lo stesso re Giorgio III trattarono i coloni americani come ribelli e nemici. Fu così che il 2 luglio del 1776, nella State House di Philadelphia, i rappresentanti delle 13 colonie votarono per rompere pubblicamente i legami con la madrepatria. Si scelse poi il 4 luglio per i festeggiamenti, ovvero due giorni dopo, quando i membri del Congresso firmarono la versione finale della Dichiarazione d’Indipendenza, redatta prevalentemente da Thomas Jefferson, avvocato della Virginia e in seguito 3° Presidente degli Stati Uniti tra il 1801 e il 1809. Tra le affermazioni più celebri della dichiarazione d’Indipendenza vi sono sicuramente queste: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali” e che hanno “alcuni diritti inalienabili”, tra i quali, “la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”.
Scriveva con lungimiranza John Adams – futuro secondo presidente statunitense e delegato del Massachussets al Congresso – in una lettera rivolta alla moglie e datata al 3 giugno di quell’anno: “Il secondo giorno di luglio del 1776 sarà l’evento più memorabile della storia dell’America. Sono portato a credere che sarà celebrato dalle generazioni future come una grande festa commemorativa. Dovrebbe essere celebrato come il giorno della liberazione, attraverso solenni atti di devozione a Dio Onnipotente. Dovrebbe essere festeggiato con pompe e parate, con spettacoli, giochi, sport, spari, campane, falò ed illuminazioni, da un’estremità di questo continente all’altra, oggi e per sempre”.
Il 4 luglio rappresenta quindi per gli Usa una data cruciale, ma anche una coincidenza: sia Adams che il suo amico e rivale Thomas Jefferson, entrambi protagonisti assoluti della Rivoluzione e dell’Indipendenza, morirono lo stesso giorno, proprio il 4 luglio 1826, ovvero, nel cinquantesimo anniversario della Dichiarazione.
COME SI ARRIVO’ ALL’INDIPENDENZA
Nella seconda metà del 700 crebbe l’insoddisfazione nei confronti delle tasse imposte dall’Inghilterra alle sue 13 colonie e il malcontento aumentò per via dell’emanazione, da parte della Corona, dello Stamp Act, il pagamento di un bollo per giornali, atti legali, documenti commerciali e simili. Proprio in questa occasione nacque la formula “no taxation without representation” (nessuna tassa senza rappresentanza), con la quale i coloni si rifiutarono di pagare la tassa senza una loro rappresentanza nel Parlamento inglese. Lo Stamp Act venne abolito ma sostituito con le tasse sulle merci che i coloni importavano dall’Inghilterra.
Nel 1770, tra le varie tasse, sopravviveva solo quella sul thè ed è proprio quest’ultimo che fu al centro di una delle azioni più famose: il Boston Tea Party, in occasione del quale i commercianti americani assalirono le navi che portavano il thè negli Stati Uniti, gettando il carico in mare. La situazione si inasprì maggiormente e la guerra vera e propria scoppiò nel 1775, quando si verificò il primo scontro tra le milizie volontarie delle 13 colonie (New Hampshire, Massachussetts, Rhode Island, Connecticut, New Jersey, New York, Pennsylvania, Maryland, Delaware, Carolina del Nord e del Sud, Virginia e Georgia) e le truppe inglesi.
Nel corso del Secondo congresso continentale, il 2 luglio 1776, venne approvata una risoluzione d’indipendenza dalla Gran Bretagna sotto proposta di Richard Henry Lee. La risoluzione ebbe larghissima adesione da parte del Congresso, che la tramutò in una vera e propria Dichiarazione d’Indipendenza. La Commissione dei Cinque, incaricata di preparare un bozza della Dichiarazione già dal precedente 11 giugno 1776, stilò anche un documento in cui si spiegava quali erano le ragioni che avevano portato all’Indipendenza. La commissione era composta da cinque influenti personaggi dell’epoca: John Adams del Massachusetts, Benjamin Franklin della Pennsylvania, Thomas Jefferson della Virginia, Robert R. Livingston di New York e Roger Sherman del Connecticut.
Il governo britannico non accettò, ovviamente, di buon grado la risoluzione, perché l’indipendenza significava perdere un avamposto commerciale prezioso e molto ricco. Fu così che si arrivò ad una guerra civile, la Guerra d’Indipendenza Americana. L’esercito americano, guidato da George Washington, sconfisse gli Inglesi nel 1781, anche se per attendere l’indipendenza definitiva si dovrà aspettare il 1783, con il Trattato di Versailles. Ma è dal 4 luglio 1776 in poi che gli Americani festeggiano la festa di indipendenza nazionale, seguendo un rituale preciso che solitamente si realizza con la partecipazione alle parate mattutine proposte dalle grandi città. Gli uffici federali, le poste e le banche restano chiusi, mentre nelle basi militari, a mezzogiorno in punto, vengono sparati tanti colpi di pistola quanti sono gli Stati appartenenti agli Usa e viene messo in atto il saluto militare, il cosiddetto “Salute to the Union”, che ricorda le primissime celebrazioni dell’Independence Day del 1777, quando vennero sparati 13 colpi di pistola, una volta al mattino ed un’altra al tramonto a Bristol, nel Rhode Island. Di sera, invece, in tutte le città americane vengono sparati i fuochi d’artificio, sulle note dell’inno americano “The Star-Spangled Banner”, seguiti da milioni di statunitensi con la mano sul cuore.
10 COSE DA SAPERE SUL GIORNO DELL’INDIPENDENZA
Ecco 10 fatti poco noti sugli eventi che portarono alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti il 4 luglio del 1776, messi nero su bianco da Stephen Conway, docente dell’University College London:
- L’indipendenza non era l’obiettivo iniziale degli americani Quando iniziò la rivoluzione nel 1775, le colonie cercavano più autonomia all’interno dell’Impero britannico e non la completa separazione, ma i ministri britannici e il re respinsero le richieste.
- Giorgio III non stava cercando di imporre un regime tirannico nelle colonie. Il re esortò sempre i suoi ministri alla moderazione e non li incoraggiò a seguire una linea dura. Nel 1775, Giorgio III deluse gli americani schierandosi con il suo governo. Ma il monarca vide la guerra come la lotta per i diritti del parlamento, non come un tentativo di aumentare il suo potere.
- Per gli schiavi, i britannici rappresentavano la libertà e non gli americani. La retorica della rivoluzione presentava gli americani come accaniti difensori della libertà e i britannici come la minaccia a quella stessa libertà. Ma per le persone ridotte in schiavitù nelle colonie, erano i britannici a rappresentare la libertà e non gli americani. Nel novembre del 1775, Lord Dunmore, l’ultimo governatore reale della Virginia, offrì la libertà alle persone ridotte in schiavitù che lo aiutarono a sopprimere la ribellione. In seguito, migliaia di schiavi accorsero nelle fila britanniche per tutta la guerra. Le azioni di Dunmore potrebbero aver aiutato la causa rivoluzionaria nel sud, dove molto proprietari conservatori reagirono malamente al suo indebolimento del sistema di schiavitù.
- I britannici stavano per vincere la guerra nel 1776. Nell’estate del 1776, l’esercito britannico inflisse una grande sconfitta alle forze americane nella battaglia di Long Island, nota anche come Battaglia di Brooklyn. I britannici allora occuparono New York City e inseguirono i resti dell’esercito americano nel New Jersey fino al fiume Delaware. Entro la metà di dicembre, molti ufficiali britannici ritennero che la ribellione fosse sull’orlo del collasso. Ma poco dopo Natale, Washington contrattaccò coraggiosamente, rivitalizzando gli spiriti degli americani e assicurandosi la continuazione della guerra. I contemporanei accusarono il Generale Howe di non aver colto l’opportunità di reprimere la ribellione quando era stato possibile.
- Un notevole numero di americani bianchi rimase leale alla corona britannica. Il conflitto fu più una guerra civile. Le stime variano, ma probabilmente circa un quinto dei coloni bianchi rifiutò la completa rottura con la Gran Bretagna. Molti di loro opposero resistenza alle richieste del parlamento britannico di tassare le colonie, ma non potevano sopportare il rifiuto del legame con la corona britannica. Alcuni di loro presero le armi al fianco dei britannici e molti migrarono in Canada alla fine della guerra, fornendo le base per la sua popolazione anglofona.
- Il governo francese aiutò i ribelli americani quasi dall’inizio della guerra. Alcuni politici francesi temevano l’esempio che una ribellione coloniale di successo avrebbe potuto offrire ai loro possedimenti oltreoceano, ma l’idea principale a Parigi era che la Francia avrebbe dovuto sfruttare le difficoltà della Gran Bretagna. Meno di un anno dopo l’inizio della guerra, il governo francese decise di sostenere gli americani. I ribelli ricevettero prima armi e munizioni francesi. Questi rifornimenti furono seguiti da ingenti flussi di denaro, che continuarono per tutta la guerra.
- Quando la Francia intervenne formalmente nel 1778, la guerra divenne una lotta globale. I francesi entrarono in guerra nel 1778, trasformando una guerra che era iniziata come una lotta in e per l’America in qualcosa di più grande. I britannici e i francesi si scontrarono in ogni area del globo in cui erano in competizione: nelle Indie occidentali, nell’Africa occidentale e in India. Ma soprattutto per i britannici, l’intervento francese minacciò i territori nazionali con l’invasione. Mentre i britannici distribuirono le forze per affrontare le sfide di questa guerra più ampia, le loro possibilità di recuperare le colonie ribelli diminuirono notevolmente.
- Spagnoli e olandesi si unirono alla guerra nel 1779 e 1780. L’intervento francese fu molto difficoltoso per i britannici, ma la situazione si complicò ulteriormente con l’ingresso in guerra degli spagnoli come alleati dei francesi nel 1779. Le flotte spagnole e francesi combinate disarmarono la Royal Navy. Nell’estate del 1779, un’armata franco-spagnola controllò la Manica. Solo le malattie a bordo della navi alleate e i disaccordi tra gli ammiragli francesi e spagnoli impedirono un’invasione. Alla fine del 1780, anche l’Olanda si unì al conflitto. Nonostante da sola ponesse una piccola minaccia per i britannici, il suo coinvolgimento estese ulteriormente la portata geografica della guerra, rendendo la lotta in America una considerazione secondaria per i politici britannici.
- La marina francese fu responsabile della sconfitta britannica in America. L’intervento francese rese la posizione britannica in America molto più vulnerabile. Fino al 1778, l’esercito britannico poté contare sul dominio della Royal Navy. Ma quando i francesi si unirono alla guerra, la loro marina costituì una minaccia immediata. All’inizio, i francesi e gli americani non riuscirono a coordinare le loro operazioni, ma a Yorktown, in Virginia, vi riuscirono perfettamente nell’autunno del 1781. L’esercito britannico del Generale Cornwallis fu intrappolato dalle truppe americane e francesi e isolato dalla marina francese. La resa di Cornwallis pose fine alla guerra in America.
- I britannici emersero dalla guerra più forti di quello che erano nel 1781. La battaglia di Yorktown avrà anche messo fine al conflitto in America, ma non alla guerra più ampia. Nell’aprile del 1782, la flotta britannica sconfisse i francesi e gli spagnoli nelle Indie occidentali, salvando la Giamaica dall’invasione. Il presidio di Gibilterra, assediato dal 1779, resistette fino alla fine dei combattimenti, sostenendo ripetuti tentativi da parte di spagnoli e francesi di appropriarsene. Questi trionfi rafforzarono la mano britannica nelle negoziazioni di pace e significarono un risultato non così disastroso come immaginato subito dopo Yorktown. I britannici mantennero i loro benefici di impero (un grande mercato di esportazioni e accesso ad importanti materie prime) senza dover pagare i costi amministrativi e della difesa.