In uno studio diretto e coordinato da Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Brescia e Consiglio Nazionale delle Ricerche, un gruppo di ricercatori ha registrato una significativa diminuzione nei deflussi del bacino pre-lacuale del fiume Adda, a fronte di una diminuzione molto più contenuta delle precipitazioni dal 1800 ad oggi. Il fenomeno è inquadrabile nel contesto generale del forte cambiamento climatico che sta interessando il territorio italiano. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista International Journal of Climatology.
Lo studio mette a confronto le precipitazioni mensili sul bacino pre-lacustre del fiume Adda, stimate a partire dal 1800, con gli afflussi idrici giornalieri in entrata al lago di Como e in uscita dallo stesso, due serie di dati rispettivamente rilevati dal 1845 ad oggi. Da questo confronto è emerso che, a fronte di una riduzione delle precipitazioni statisticamente poco significativa (5%), le portate dell’Adda sono diminuite, negli ultimi due secoli, del 20% circa.
Le precipitazioni mensili sul bacino del fiume Adda, dall’inizio del XIX secolo ad oggi, sono state ricostruite grazie ad un innovativo metodo, sviluppato da Alice Crespi nel corso del suo dottorato di ricerche in Scienze Ambientali condotto presso l’Università degli Studi di Milano, che consente di sfruttare al meglio un archivio di dati ricchissimo in termini di numero di stazioni di osservazione. Per quanto riguarda gli afflussi idrici al lago di Como, ricostruiti grazie ad una convenzione di ricerca tra l’Università degli Studi di Brescia e il Consorzio dell’Adda, questa serie di dati idrometrici rappresenta la più consistente per le Alpi italiane ed una delle più lunghe al mondo.
«Il confronto tra le due serie di dati – spiegano il prof. Maurizio Maugeri dell’Università degli Studi di Milano e il prof. Roberto Ranzi dell’Università degli Studi di Brescia, tra i principali autori dello studio – mostra che le portate dell’Adda hanno subito un decremento molto più significativo rispetto alle precipitazioni. Questa notevole differenza è parzialmente dovuta all’effetto della crescita delle temperature che ha causato più forti perdite per evapotraspirazione. Oltre che per effetto del riscaldamento, l’evapotraspirazione sembra essere aumentata anche a causa dell’espansione delle aree forestali avvenuta nel periodo in esame, effetto dell’inselvatichimento dei pascoli e delle aree agricole montane. Il contributo della forte fusione dei ghiacciai, invece, ha attenuato solo molto parzialmente la riduzione delle portate in ingresso al lago di Como».
L’analisi delle serie degli afflussi idrometrici al lago ha inoltre mostrato che, contrariamente a quanto si sente spesso affermare, gli episodi caratterizzati dalle portate più elevate sono diventati progressivamente meno frequenti. Questo decremento è stato determinato dalla costruzione di un grande numero di invasi per la produzione di energia idroelettrica che consentono, in momenti di forti precipitazioni, di esercitare un’azione di mitigazione delle portate di picco. Così, se prima della costruzione di questi invasi le portate in ingresso al lago di Como sono arrivate anche a superare i 2500 m3/s, negli ultimi quarant’anni esse non hanno più superato i 2000 m3/s, valore che non è stato raggiunto neppure nell’evento del luglio 1987, l’alluvione della Valtellina. Gli stessi invasi hanno anche modificato in modo significativo la stagionalità delle portate, riducendo gli afflussi estivi ed aumentando quelli invernali.
Le pubblicazioni scientifiche che descrivono nel dettaglio queste ricerche sono consultabili ai siti web https://doi.org/10.1002/joc.6614 e https://doi.org/10.1002/joc.6678.