Con un manoscritto dal titolo “E’ tempo di considerare la possibilità che la Covid-19 si trasmetta attraverso l’aria”, 239 scienziati di 32 Paesi hanno chiesto un maggiore riconoscimento del ruolo della diffusione aerea del nuovo Coronavirus e della necessità per i governi di attuare misure di controllo.
Il documento è stato pubblicato su “Clinical infection disease“, è stato redatto da due ricercatori, l’australiana Lidia Morawska e l’americano Donald K. Milton, ed è stato firmato da altri 239 scienziati di ogni parte del mondo, tra cui ingegneri che hanno studiato i flussi di particelle nell’aria.
La suddetta possibilità cambierebbe tutto: indispensabili sarebbero le mascherine, perché il distanziamento non basterebbe, e la revisione dei sistemi di ventilazione soprattutto sui mezzi di trasporto, uffici, scuole per minimizzare i rischi. Secondo gli esperti che hanno redatto il manoscritto, le prove del potenziale rischio infezione “airborne” ci sono e l’OMS dovrebbe prenderle in considerazione.
“Stiamo collaborando con molti dei firmatari della lettera. Ci sono evidenze su questo tema e crediamo di dover essere aperti e studiare queste evidenze per comprenderne le implicazioni sulle modalità di trasmissione e sulle precauzioni da prendere. Ci sono alcune specifiche condizioni in cui non si può escludere la trasmissione aerea, soprattutto in luoghi molto affollati, chiusi. Ma le evidenze vanno raccolte e studiate,” ha sottolineato Benedetta Allegranzi, responsabile tecnico dell’OMS sul controllo delle infezioni, in conferenza stampa a Ginevra, rispondendo a una domanda sulla lettera. “Da aprile – ha precisato Maria Van Kerkhove, a capo del gruppo tecnico per il coronavirus dell’OMS – stiamo collaborando con molti degli esperti che hanno firmato questa missiva. Sono esperti in varie discipline, come l’ingegneria, che ci potranno aiutare ad esempio nel comprendere l’importanza della ventilazione negli ambienti. Stiamo studiando e tenendo in considerazione ogni possibile via di contagio, quella aerea, quella via aerosol, quella da madre a figlio. Questo è un patogeno respiratorio ma non escludiamo nessuna possibilità, continuiamo a studiare le evidenze“.
Dunque, secondo gli scienziati, la possibilità che il Covid-19 possa diffondersi per via aerea (aerosol) – ovvero attraverso particelle molto piccolo che restano sospese per aria per lunghi periodi di tempo e possono essere trasmesse a distanze superiori ad un metro – è sottovalutata dall’OMS, la cui guida afferma che il virus viene trasmesso principalmente attraverso goccioline respiratorie e contatto.
La squadra di ricercatori internazionali ha constatato che la SARS-CoV-2 può trasmettersi, infettando più persone, sia tramite le goccioline più grosse che vengono ad esempio prodotte quando si starnutisce (già noto) sia da quelle più piccole e più leggere – che si formano quando si parla – capaci quindi di attraversare uno spazio.
Fino a questo momento l’OMS aveva ribadito a più riprese che il virus non è generalmente aerobico, sostenendo al contrario che il Covid-19 non si trasmette per via aerea che in certe condizioni estreme, come ad esempio nel corso di una serie di procedure mediche nelle quali si generano degli aerosol.
Lo studio dei 239 scienziati rimette proprio molti criteri in discussione, anche se gli stessi specialisti mettono in chiaro che la scoperta non deve essere motivo di panico in quanto, ha spiegato il virologo Bill Hanage, dell’università di Harvard, “si ha troppo spesso l’assurda concezione che un virus aerobico sia presente continuativamente nell’aria a causa di goccioline sospese intorno a noi che possano infettarci per diverse ore e che queste goccioline corrano per le strade, si infilino nella buca delle lettere e si intrufolino dappertutto nelle nostre case“. Ovviamente così non è: il rischio di contagio di cui si parla è relativo soprattutto agli spazi chiusi e in tal senso il nuovo studio si pone come messa in guardia all’OMS, in quanto sarebbe chiaro che le mascherine – al contrario di quanto sostenuto finora – sarebbero necessarie anche negli spazi al chiuso a prescindere dal distanziamento sociale.
Se il coronavirus permane nell’aria e non solo nelle “goccioline”? L’ipotesi che cambierebbe tutto, dalle mascherine all’aria condizionata
In merito alla questione si è espresso anche l’infettivologo Massimo Galli, direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, secondo cui la potenzialità della trasmissione via aerea, al di là delle prove, va considerata, per giocare d’anticipo. “Innanzitutto – spiega – capiamoci su cosa si intende per airborne, perché per me è già airborne, ovvero si trasmette per via aerea. Comunque, secondo il manoscritto in questione, significa che c’è una trasmissione del virus per via aerea ipotizzata a una distanza importante, e favorita dal ricircolo dell’aria. Il nuovo coronavirus è airborne significa che si trasmette anche nell’aria, e che può raggiungere distanze ben più vaste di un metro o due, secondo le canoniche prescrizioni. Quindi si mette l’accento su un argomento importante, anche se fosse lontano dall’essere provato. Una vasta parte della comunità scientifica fatta di tecnici competenti in campi diversi ha sollevato la questione della possibilità di una trasmissione del virus a distanze maggiori di quelle definite dagli attuali provvedimenti di distanziamento. Viene posta la questione che in ambienti chiusi, anche il ricircolo stesso possa essere responsabile di una veicolazione delle goccioline a distanza ben maggiore di quella considerata oggi. Per questo motivo c’è la necessità di riprendere in considerazione la questione”.
I ricercatori avvertono che alcuni studi hanno dimostrato “al di là di ogni ragionevole dubbio” che le particelle virali sono rilasciate mentre respiriamo, parliamo, starnutiamo o tossiamo in micro-droplets, piccole abbastanza da rimanere sospese nell’aria e mettere a rischio di essere esposti al contagio ad una distanza ben superiore a uno-due metri da una persona infetta. Galli cita il caso degli Amoy Gardens, un grande complesso di appartamenti privati ad Hong Kong durante l’epidemia di Sars nel 2003: a differenza di un tipico focolaio virale che si diffonde dal contatto da persona a persona, in questo caso si diffuse principalmente nell’aria, a causa di alte concentrazioni di aerosol virali che dagli impianti di ventilazione dei bagni (il virus Sars era presente ad alte concentrazioni nelle feci) si diffondevano agli appartamenti vicini. E sul caso del focolaio di Covid-19 in un gigantesco mattatoio del Nordreno-Westfalia, Galli ha aggiunto: “Il sospetto che qualche elemento ambientale in più possa aver interferito mi è venuto, stiamo aspettando altri riscontri“.
Secondo i ricercatori, per ridurre il rischio di una trasmissione per via aerea nel caso in cui il nuovo coronavirus fosse airborne, è necessario garantire una efficace ventilazione, fornendo aria esterna pulita e minimizzando la ri-circolazione dell’aria, particolarmente in uffici pubblici, ambiti lavorativi, scuole, ospedali e case di riposo per anziani; fare attenzione ai sistemi di filtraggio, consigliato anche l’uso di luci ultraviolette germicide; evitare il sovraffollamento specie nei mezzi di trasporto pubblici ed edifici pubblici. “In sintesi – sottolinea Galli – un ritorno a una serie di raccomandazioni piuttosto restrittive che la dicono lunga comunque sulla preoccupazione generale di tecnici e scienziati che l’epidemia subisca una nuova impennata, specie nei Paesi come gli USA dove l’infezione è ancora estremamente diffusa, e c’è anche il problema dell’uso eccessivo dell’aria condizionata. E’ evidente la preoccupazione per quei Paesi dove la circolazione del virus è elevata, ma non ce ne dobbiamo dimenticare nemmeno noi. Ci stiamo preoccupando di tante cose ma questa per ora non l’abbiamo affrontata. Cosa succede con l’aria condizionata d’estate? E’ qualche cosa che non abbiamo probabilmente sviscerato a sufficienza; e anche: cosa succede, specie negli uffici pubblici e nei luoghi di lavoro, per il riscaldamento d’inverno? Anche questo comporta delle movimentazioni dell’aria in locali chiusi”.
“Questa cosa va presa in considerazione seriamente, non si può far finta che non esista. Stiamo già discutendo tra tecnici, anche più competenti di me, la possibilità di dover considerare con attenzione la questione. Lo studio dei due ricercatori comparirà sulla Clinical Infection Disease, che è una signora rivista e che questo emerga come presa di posizione su una importante rivista scientifica corredata da così tante firme di esperti e tecnici è un segnale forte”, afferma Galli. Sulle nuove regole che sarebbe necessario seguire, come mascherine sempre nei luoghi chiusi, indipendentemente dalle distanze, Galli afferma: “In determinate situazioni è una extrema ratio, perché di fatto tenere la mascherina per tutto il periodo lavorativo, ad esempio, non è una cosa applicabile con uno schioccar di dita. Il punto è che una problematica di questo genere comporta la revisione di una quantità infinita di impianti, in una quantità infinita di Paesi, in una quantità infinita di città; un po’ in tutto il mondo comporta una rivalutazione dell’efficacia, efficienza e sicurezza di una quantità infinita di impianti: è abbastanza intuibile che ci sarà parecchio da fare se se ne vorrà tenere conto”.