Coronavirus e “bufale ambientali”: il COVID-19 portato dal 5G? “La cosa non sta in piedi nemmeno appoggiandosi a un traliccio”

Coronavirus e 5G, il prof. Butti: "Questa bufala anche piuttosto stupida ha infettato la rete come un virus per un discreto periodo di tempo"
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L’origine, le conseguenze sanitarie e gli impatti sociali di Covid-19 presentano svariati profili rilevanti dal punto di vista ambientale. Di questi mi occupo nell’articolo, cercando di distinguere gli aspetti sui quali vi sono indicazioni scientifiche abbastanza consolidate, da quelli nei quali ancora discorriamo di ipotesi, da quelli infine sui quali sono state dette e scritte vere e proprie “bufale”.
Infine, accennerò alle indicazioni che la pandemia e le misure di lockdown hanno offerto in merito alla situazione ambientale (preesistente) di molte aree del nostro Paese ed alle misure che sarebbero necessarie e possibili – nel medio e lungo termine – per migliorarla. Anche da questo punto di vista, Covid-19 si sta rivelando non soltanto una grave malattia, ma anche un fenomeno rilevante per molti aspetti della vita sociale diversi da quello sanitario“: questo l’argomento al centro dell’analisi pubblicata sulla pagina Facebook “Pillole di Ottimismo“, nata dalla collaborazione di numerosi esperti e con la direzione scientifica del virologo Guido Silvestri, della Emory University di Atlanta.

Luciano ButtiIl prof. Luciano Butti firma un approfondimento relativo alla relazione tra COVID-19 e ambiente. Di seguito il post integrale:

BUFALE AMBIENTALI SUL COVID-19: NON E’ STATO ‘PORTATO’ DAL 5G
Wuhan, Milano, New York: aree tutte dove Covid-19 ha colpito duramente, molto più duramente che altrove.
Ma Wuhan, Milano, New York sono anche aree dove le sperimentazioni dei nuovi tipi di antenne necessarie per il 5G sono molto avanzate.
Quale occasione migliore, per chi ignora del tutto la differenza fra causalità e correlazione, per sostenere che – magari – sono state le onde del 5G ad aver portato o agevolato il contagio? Lo hanno scritto diverse persone sui social, ed alcuni “studiosi” – di cui uno purtroppo italiano – hanno persino provato a parlarne su una Rivista scientifica (che non merita di essere menzionata: l’articolo è stato comunque quasi subito ritirato).
Peccato che la cosa non stia in piedi nemmeno appoggiandosi a un traliccio: perché le onde in questione non potrebbero “trasportare” alcun virus, perché sappiamo abbastanza bene quale invece è stata l’origine del contagio, ed infine perché abbiamo ormai indicazioni serie in merito alle svariate ragioni specifiche per cui determinate aree sono state colpite più di altre.
Eppure questa bufala anche piuttosto stupida ha infettato la rete come un virus per un discreto periodo di tempo.
Ebbene, no, non sono state le onde del 5G a trasportare il virus né a rafforzare le conseguenze del contagio.
Chiarito questo, possiamo passare a questioni più serie.

COVID-19 E BIODIVERSITA’. DISCUSSIONE
Come è noto, la circostanza che uno o più “salti di specie” da parte di patogeni (zoonosi) siano implicati nelle genesi del contagio è più che un’ipotesi: come del resto è stato spiegato anche in questa pagina di ‘Pillole’. Questi fenomeni sono sempre esistiti ed hanno modellato il nostro rapporto con i patogeni ed anche con il nostro stesso genoma.
Possiamo tuttavia aver involontariamente favorito il salto di specie mediante lo sviluppo disordinato delle città e delle attività economiche in alcune aree del mondo? O forse anche mediante comportamenti che hanno inciso sulla ‘biodiversità’? E quanto i nostri comportamenti hanno inciso?
Si tratta di domande alle quali non siamo oggi in grado di fornire una risposta sicura.
Tuttavia, come osservano Walter Lucchesi, Ilaria Baglivo, Costanza Maria Cristiani e Paolo Bonilauri in una ‘Pillola’ dedicata alla zoonosi dal titolo provocatorio (“Il pipistrello è innocente. Soluzioni condivise”), “la diapositiva non è a fuoco se non si considera l’impatto dell’uomo. Una delle ragioni fondamentali per l’incremento di epidemie negli ultimi decenni e’ proprio l’erosione degli habitat che costringono gli animali a vivere a sempre più’ stretto contatto con l’uomo” Inoltre, gli allevamenti intensivi – benché in regola assai ben controllati – nonché “la mancanza di regole di igiene in mercati dove animali vengono esposti anche vivi sui banconi del mercato dove le loro secrezioni si mischiano al cibo, sono un motivo di preoccupazione non solo per la nostra salute ma anche per il rispetto della specie animale in genere, e l’ecosistema. … La soluzione deve quindi passare da una presa di coscienza che certe pratiche, molto comuni in Asia, ma non solo, infatti diffuse in tutto il mondo, debbono essere modificate, e in alcuni casi cessate, perché non etiche e pericolose per l’intera umanità”.
Più in generale, il prof. Massimo Clementi, nel suo ultimo libro divulgativo scritto con Aliana Liotta e dedicato proprio alla “rivolta della natura”, ha avanzato un’ipotesi complessiva – – ancora però priva di riscontri scientifici pienamente documentati – circa la possibile influenza dell’inquinamento sui contagi.
Del resto, mancando ovviamente la possibilità di effettuare agevolmente prove sperimentali di significato univoco, è estremamente difficile comprendere in profondità i meccanismi antropici che influenzano le varie specie viventi.
Va inoltre sempre ricordato che la questione non può essere impostata nei termini di un presunto, necessario, “ritorno alla natura”. L’azione dell’umanità sulla terra è infatti ovviamente tale da influire sulla biodiversità; ciò che rileva è la direzione e il controllo di queste modifiche, che andrebbero monitorate e controllate.
Insomma, un tema aperto, certamente da approfondire, ricordando anche che ogni azione tendente a migliorare il nostro rapporto con l’ecosistema è per molte ragioni auspicabile anche a prescindere dalle tematiche relative alla zoonosi ed al contagio. Non vi è perciò oggi davvero alcuna ragione per non agire nella direzione indicata.

INQUINAMENTO URBANO E POLVERI SOTTILI: ‘DIFFUSORI’ DEL VIRUS E/O IMPORTANTE CAUSA DI CO-MORBILITA’?
smog cinaL’assai forte diffusione e letalità del virus in alcune aree del mondo caratterizzate da forte inquinamento urbano ha portato alcuni centri di ricerca – e molte persone – a chiedersi se fra tale inquinamento e la forte diffusione (o la forte letalità) del virus vi possa essere una relazione causale.
Si sono al riguardo ipotizzati due possibili meccanismi, che possono essere sintetizzati come segue.
Un primo meccanismo, tale da incidere soprattutto sulla diffusione del virus, prevederebbe che il particolato sottile (PM 10 e PM 2,5) possa funzionare da vettore (carrier) del virus. L’ipotesi muove dalla dimostrata idoneità del particolato a fungere da vettore di alcuni inquinanti, ad esempio alcuni microinquinanti organici altamente tossici. Va anche ricordato che le polveri sottili (soprattutto PM 2,5) sono notoriamente in grado di penetrare all’interno del sistema respiratorio raggiungendo gli alveoli polmonari. La possibile funzione di “carrier” del particolato fine rispetto al virus venne ipotizzata in un position paper del marzo 2020 della Società italiana di medicina ambientale (SIMA). In questa prospettiva, significativi sono i risultati di alcuni test diretti sul particolato, che sembrerebbero confermare l’ipotesi che esso possa fungere da vettore (ovviamente dovendosi ancora valutare anche quantitativamente – attraverso calcoli probabilistici – ciò che questo potrebbe eventualmente significare in termini di probabilità del contagio).
Questo genere di ipotesi scientifiche è attualmente oggetto – come è giusto sia – di dibattito scientifico e di accesa discussione. Da più parti si è sottolineato che la covarianza fra condizioni di scarsa circolazione atmosferica, formazione di aerosol secondario, accumulo di particolato in prossimità del suolo e diffusione del virus non comporta necessariamente un rapporto di causa-effetto (così ad esempio si è espressa la Società italiana di aerosol). Il tema merita sicuramente approfondimenti, mentre nulla può ritenersi dimostrato allo stato attuale.
Un secondo e ad oggi meglio dimostrato meccanismo ipotizza che la pregressa esposizione prolungata agli inquinanti atmosferici possa influenzare negativamente – anche in modo pesante – le conseguenze e i tassi di mortalità di infezioni polmonari da virus respiratori, come il coronavirus. In questo senso si sono pronunciati due studi: in modo più deciso, una ricerca dell’Università di Harvard e – in modo più problematico, come ipotesi di ricerca – un assai approfondito studio di due Agenzie regionali pubbliche di protezione ambientale e di due Università italiane.
Del resto si tratta di una conclusione del tutto ragionevole, alla luce di quanto sapevamo per certo ben prima che il coronavirus iniziasse a disturbare la nostra tranquillità.
Sapevamo infatti già – ma ce ne preoccupavamo purtroppo assai poco – che i principali componenti dell’inquinamento atmosferico (particolato fine – PM10 e PM 2,5 -, biossido di azoto, biossido di zolfo e ozono) sono un fattore importantissimo di aumento della mortalità (morti premature) legato essenzialmente al rischio di aggravare o sviluppare tre tipi di malattie:
– Malattie del sistema respiratorio (in particolare asma bronchiale, soprattutto nei bambini, polmonite, broncopatia cronica ostruttiva);
– Malattie cardiache (infarto, ictus e trombosi);
– Malattie tumorali riguardanti il polmone.
Come è noto, per passare dalla correlazione alla causalità occorrono studi molto approfonditi, condotti per lungo tempo e con modalità tali da consentire di escludere i principali fattori di disturbo delle correlazioni numericamente riscontrabili.
In attesa di tali studi, tuttavia, l’ipotesi che l’inquinamento possa aggravare in modo massiccio le conseguenze di virus respiratori di per sé aggressivi va considerata molto seriamente. Pertanto, qualsiasi strategia volta a contenere l’inquinamento diviene, in prospettiva, con elevata probabilità doppiamente utile.

LA DIFFICILE GESTIONE AMBIENTALE DELLE MASCHERINE E DELL’AUMENTATO USO DI PLASTICA MONOUSO
La rapida diffusione del contagio ha portato alla produzione ed uso di un enorme quantitativo di dispositivi di protezione individuale, principalmente mascherine nonché (in questo secondo caso spesso senza evidenze serie dell’utilità) guanti.
Per dare un ordine di grandezza, si consideri che il Commissario all’Emergenza ha parlato di 10 milioni di mascherine che sarebbe necessario utilizzare QUOTIDIANAMENTE nelle scuole. Non è mio compito in questa sede interrogarmi sulla ragionevolezza di un così generalizzato utilizzo di mascherine nelle scuole. E’ tuttavia evidente che, trattandosi di dispositivi spesso monouso o comunque da sostituire periodicamente, la quantità di rifiuti in plastica improvvisamente aggiuntasi ai già rilevanti quantitativi precedentemente da gestire è enorme.
Si aggiungano la possibilità che si tratti di materiale infetto e la tendenza (ovviamente deplorevole) di molte persone ad abbandonare guanti e mascherine nell’ambiente.
E’ perciò comprensibile la complessità del problema di gestione ambientale che abbiamo di fronte, a seguito della pandemia.
Sino a questo momento, tale problema è stato affrontato principalmente attraverso una serie di provvedimenti normativi, non sempre fra loro coordinati: circolari dei Ministeri dell’Ambiente e della Salute, linee guida e pareri dell’Istituto Superiore di Sanità e del Sistema delle Agenzie ambientali, moltissime deliberazioni di Giunte regionali.
Occorre ora un salto di qualità: cittadini e operatori hanno necessità di poche regole uniformi, cautelative ma non ossessive, e spiegate in modo chiaro anche sui media.

INSEGNAMENTI CHE POSSIAMO TRARRE DA COVID-19 PER MIGLIORARE LA GESTIONE AMBIENTALE
Oggi, la drammatica vicenda del coronavirus offre un’occasione importante per ripensare complessivamente alla mobilità nelle nostre città. Perché nemmeno la mobilità urbana, dopo il virus, potrà più essere ‘pensata’ come se la vicenda in cui siamo ancora immersi non fosse avvenuta.
Le nostre Agenzie ambientali sono da sempre attente ai gravi danni alla salute generati dall’inquinamento urbano. E’ perciò evidente che esse abbiano approfittato” delle anomale (e – speriamo – irripetibili) condizioni di lockdown per acquisire dati aggiuntivi su questo preoccupante fenomeno.
Secondo uno studio di ARPA Lombardia dell’aprile 2020, “Le misure messe in atto per fronteggiare l’emergenza hanno certamente determinato una riduzione delle emissioni derivanti in particolare dal traffico veicolare, che sono più evidenti analizzando le concentrazioni degli inquinanti legati direttamente al traffico – NO, benzene e in parte NO2”. Tuttavia, “Nel bacino padano, la riduzione rilevata per il particolato è influenzata in modo significativo dalla presenza della componente secondaria. Infatti, si è osservato che le drastiche riduzioni di alcune sorgenti non sempre hanno impedito il superamento dei limiti, pur contribuendo a ridurne l’entità. Ciò evidenzia in modo chiaro la complessità dei fenomeni correlati alla formazione, trasporto e all’accumulo di particolato atmosferico e la conseguente difficoltà di ridurre in modo drastico i valori presenti in atmosfera in situazioni ordinarie”.
Da quanto osservato dall’Agenzia ambientale emerge in modo evidente come la riduzione importante dell’inquinamento urbano – indispensabile per la protezione della nostra salute – possa ottenersi se, e soltanto se, tutte le fonti di tale inquinamento vengono ridotte e meglio gestite: il traffico, le emissioni degli impianti riscaldamento, infine quelle industriali ed agricole.
E dunque occorre un rinnovato entusiasmo per le buone pratiche ambientali relative a tutte queste potenziali fonti di inquinamento atmosferico.

Bibliografia:
ARPA (Agenzia Ambientale) della Lombardia, Qualità dell’aria in Lombardia durante l’emergenza Covid-19, una prima analisi, Aprile 2020
Baldini et al, Valutazione del possibile rapporto tra l’inquinamento atmosferico e la diffusione del SARS-CoV-2, 2020 (studio di diversi autori appartenenti ad ARPA Marche, ARPA Emilia-Romagna, Università Politecnica delle Marche, Università di Bologna): https://www.snpambiente.it/…/inquinamento_covid19_arpae_arp…
IAS (Italian Aerosol Society), Informativa sulla relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del COVID-19, 20 marzo 2020. http://www.iasaerosol.it/…/arti…/96/Nota_Informativa_IAS.pdf
Harvard University, COVID-19 PM2.5. A national study on long-term exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States (Updated April 24, 2020): https://projects.iq.harvard.edu/covid-pm
Liotta e Clementi, La rivolta della natura, La Nave di Teseo, 2020
Lucchesi, Baglivo, Cristiani e Bonilauri, Pipistrelli e COVID19: Il rischio di volare alto, in Pillole di ottimismo, 28 giugno 2020
Mantovani, Il fuoco interiore. Il sistema immunitario e l’origine delle malattie, Mondadori, 2020.
Marrone, Addio alla natura, Einaudi, 2011.
Sima (Società Italiana di Medicina Ambientale), POSITION PAPER: Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione, marzo 2020: http://www.simaonlus.it/…/COVID19_Position-Paper_Relazione-…

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