L’epidemia “ha colpito quasi 240mila persone e causato poco meno di 35mila decessi. Il numero di casi Covid-19 segnalati in Italia è massimo a marzo (113.011), con il picco registrato il 20 del mese, e poi inizia a diminuire; ad aprile i casi segnalati sono 94.257. Il calo è proseguito ancora più marcatamente nei mesi di maggio e giugno“: lo ha rilevato l’Istat nel suo Rapporto annuale 2020. Una delle conseguenze più drammatiche dell’epidemia è l’incremento complessivo della mortalità. Dal 20 febbraio al 30 aprile 2020 sono stati oltre 28.500 i decessi di persone positive al Covid-19; il 53% (15.114) è deceduto entro il mese di marzo, il restante 47% nel mese di aprile (13.447). Tuttavia, “si tratta di dati ancora parziali, in quanto riferiti ai soli casi di deceduti dopo una diagnosi microbiologica di positività al virus“.
L’epidemia di Coronavirus in Italia ha avuto un impatto “tragico” sull’aumento della mortalità, con pochissimi precedenti nella storia del Paese: “Escludendo i periodi bellici, un importante rialzo di mortalità si è osservato, negli oltre 70 anni trascorsi dal secondo dopoguerra ad oggi, unicamente in un paio di occasioni. La prima nel 1956, con circa 50 mila morti in più, concentrati nel periodo invernale; la seconda volta nel 2015, con un incremento di analoghe dimensioni su base annua (+50 mila), anche in questo caso in buona parte al diffondersi di virus influenzali in epoca invernale, cui si sono associati gli effetti letali di un’estate particolarmente torrida.”
Il clima in Italia
In riferimento invece all’andamento climatico, l’Istat ha rilevato che negli ultimi 40 anni si è osservata una tendenza all’aumento della temperatura media globale sulla terraferma. Per l’Italia tale valore è stato di +0,38°C ogni 10 anni.
Nel 2018 le anomalie della temperatura media sono risultate particolarmente spiccate, con una deviazione verso l’alto di 1,7° rispetto al periodo 1961-1990.
A differenza delle temperature, l’andamento delle piogge non evidenzia un trend chiaro a causa di una notevole variabilità spaziale e temporale, con l’alternarsi di periodi di assenza di piogge e fenomeni intensi. Le variazioni del deflusso medio annuale dei principali corsi d’acqua italiani, registrate tra il 2001 e il 2019 rispetto al valore medio del periodo 1971-2000, mostrano andamenti sensibilmente diversi. Solo per l’Adige i cambiamenti nel tempo sono stati trascurabili (-0,2%); per il Tevere si è registrato un calo del 15,9%, per il Po di circa il 10%; per l’Arno, invece, si è avuto un aumento del 14,5%.
Le perdite idriche
In Italia il volume di perdite idriche totali nella rete di distribuzione dell’acqua, ottenuto come differenza tra i volumi immessi e i volumi erogati, è nel 2018 di 3,4 miliardi di metri cubi, corrispondenti a una dispersione giornaliera di 9,4 milioni di metri cubi, pari a 156 litri per abitante.
Tra i Paesi dell’Unione europea, da circa venti anni l’Italia mantiene il primo posto, in termini assoluti, nella graduatoria del prelievo di acqua per uso potabile da corpi idrici superficiali e sotterranei. Anche il valore pro capite è tra i più alti della Ue. L’84,8% del prelievo nazionale di acqua per uso potabile deriva da acque sotterranee (48,9% da pozzo e 35,9% da sorgente), il 15,1% da acque superficiali (9,8% da bacino artificiale, 4,8% da corso d’acqua superficiale e 0,5% da lago naturale) e il restante 0,1% da acque marine o salmastre. Per la prima volta negli ultimi venti anni, spiega ancora il dossier, nel 2018 si riducono i prelievi per uso potabile (-2,7% rispetto al 2015).
Salute e ambiente
Nel periodo 2008-2017 le emissioni di particolato (Pm10), che hanno effetti dannosi sulla salute, hanno registrato una riduzione del 22%.
Il flusso delle polveri è costituito per l’86% da quelle più sottili e pericolose (PM2,5). Le attività che ne emettono in maggiore misura sono quelle delle famiglie: 56% nel 2017. L’industria, che emette il 13% del PM10 (di cui il 74% di PM2.5), nel periodo ha ridotto le proprie emissioni in tutte le attività più inquinanti (-41%).
Salute e longevità
Oggi gli ultra 80enni in Italia sono oltre 4,3 milioni e costituiscono il 7,2% della popolazione italiana. La sopravvivenza di queste generazioni è un successo per il welfare del nostro Paese, che da tempo si colloca tra i paesi più longevi al mondo. Le donne che quest’anno hanno 80 anni possono aspettarsi di viverne almeno altri 10 e i loro coetanei maschi poco meno di 9. “Gli indicatori sulla dimensione qualitativa della sopravvivenza” mostrano negli anni un aumento della vita media in buona salute. Negli ultimi 10 anni, gli anziani a 65 anni hanno guadagnato più di un anno di speranza di vita in buona salute (da 5,6 nel 2009 a 7,3 nel 2019). Le donne a 65 anni possono aspettarsi di vivere in buona salute almeno il 30% degli anni che restano loro, gli uomini più del 40%. Per le persone ottantenni, questa prospettiva si riduce solo di poco, scendendo al 23,6% dei 10 anni che restano ancora da vivere per le donne e al 33% dei 9 anni per gli uomini.