Clima, esperto: “Più cicloni tropicali nel 2020 rispetto alla media, nello scenario peggiore, eventi estremi in aumento in Europa”

"Ci si aspetta, in scenari di clima più caldo, una atmosfera più stabile che inibisce la formazione di sistemi convettivi, quindi una riduzione del numero medio di cicloni tropicali"
MeteoWeb

Enrico Scoccimarro, ricercatore della Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, spiega all’Adnkronos quali proiezioni è possibile fare tenendo conto delle evoluzioni del clima a seguito del riscaldamento globale. “In termini di eventi estremi di precipitazione quello che risulta dai nostri ultimi studi in Fondazione Cmcc, relativamente al continente europeo, è una proiezione di aumento delle precipitazioni medie nella parte Nord del dominio e una riduzione nel Sud del Continente (Mediterraneo, Spagna, Italia, Turchia, Grecia). Dalle proiezioni di precipitazione media emerge infatti un dipolo: più acqua al Nord meno acqua al Sud. Una spaccatura che interessa parzialmente anche l’Italia: se a Nord la tendenza è verso più precipitazioni, al Centro e al Sud ci sia aspetta una riduzione delle stesse”, spiega il climatologo.

Al di là delle previsioni sulle quantità d’acqua legate alle precipitazioni medie, però, quello che emerge è che “gli eventi estremi di precipitazione risultano in aumento secondo gli scenari peggiori indipendentemente dalla posizione in Europa. Cioè sia a Sud che a Nord ci aspettiamo un aumento degli eventi estremi di precipitazione: quindi anche sulle regioni dove la media annuale stagionale e annuale di precipitazione tenderà a calare (tra cui Centro e Sud Italia), gli eventi estremi aumenteranno, concentrando la quantità di pioggia su periodi più brevi“. Questo “è consistente con l’aumentata quantità di acqua che può risiedere in atmosfera in un ambiente più caldo, aumentando il volume disponibile per i singoli eventi di convezione profonda”.

Credit: NASA/Chris Cassidy

Questa stagione 2020, ancora in piena evoluzione (la stagione dei cicloni tropicali in Atlantico parte il primo giugno e finisce a fine novembre) ha contato un numero abbastanza alto di cicloni tropicali: se in sei mesi ce ne sono in media 15, già adesso, a fine agosto, abbiamo raggiunto la 13esima tempesta tropicale, un record nella serie storica di questo bacino”. Questa condizione, spiega Scoccimarro, “è legata a condizioni atmosferiche e oceaniche favorevoli alla formazione delle tempeste tropicali e ci aspettiamo che questa tendenza continui anche grazie al fatto che stiamo andando verso una fase dell’oscillazione Enso (El Nino Southern Oscillation) favorevole (La Nina) allo sviluppo di tali sistemi nel bacino Atlantico principalmente associata a bassi valori di vertical wind shear ovvero ridotta differenza di velocità del vento tra gli strati alti e bassi dell’atmosfera”.

Quando parliamo di uragani, “parliamo di cicloni tropicali ovvero fenomeni atmosferici che si formano in determinate condizioni nella fascia che va mediamente dai 7-8 gradi Nord ai 30 gradi Nord di latitudine: è infatti necessario avere una temperature dell’oceano sufficientemente alta (non possono formarsi quindi troppo a Nord) e una forza di Coriolis non nulla (all’equatore è uguale a 0) per permettere l’innesco della rotazione del sistema”. “Uragani e tifoni sono la stessa cosa dal punto di vista fisico ma assumono il nome di tifoni nel Pacifico occidentale mentre nell’Atlantico si parla di uragani – chiarisce il climatologo – L’intensità si misura in base all’intensità del vento alla superficie: quando hanno una velocità superiore ai 33 metri al secondo vengono definiti uragani nell’Atlantico o tifoni nel Pacifico. Poi ci sono le varie classi da 1 a 5 in base alle diverse soglie della velocità del vento: a partire da 33 metri al secondo (categoria 1) fino a superare i 70 metri al secondo (categoria 5), quindi oltre i 250 km/h“.

Da subito l’uragano Laura è stato paragonato a Katrina perché Katrina colpì le stesse zone del Golfo del Messico e molta enfasi è stata posta sul fatto che era anche più intenso di Katrina ma bisogna stare attenti ad un elemento: cioè che l’impatto e i relativi danni dipendono da come sono gestiste le coste. Laura non ha caratteristiche particolarmente diverse dai cicloni che ci aspettiamo per questa stagione, l’unica anomalia che possiamo riscontrare è che si è intensificato abbastanza in fretta“, chiarisce Scoccimarro. Più in generale, “quando arrivano a terra i cicloni tendono a spegnersi perché perdono la loro ‘benzina’ (il calore contenuto nell’oceano) quindi proseguono su terra riducendo l’intensità tanto più in fretta quanto più in fretta l’uragano lascia la regione oceanica. Poi possono tornare sull’oceano e reintensificarsi, ma non sembra il caso di Laura“.

Dunque quando “arrivano alla costa i cicloni fanno danni per certo numero di ore quanto più restano vicini ad essa prendendo energia dall’oceano: quanto più i venti e le precipitazioni sono forti, tanto più fanno danni. Quindi non è importante solo l’intensità dell’evento, ma anche il tempo di permanenza su una determinata area, che dipende principalmente dalla velocità di spostamento del ciclone. Se il vento è la causa del 10% circa delle morti indotte da uragani, tale valore sale a 30% per le piogge e quasi 50% per le inondazioni causate dal forte vento che raggiunge la costa”, rimarca il ricercatore ricordando anche che “potenziali impatti sono possibili anche sulle infrastrutture energetiche”.

Ciclone TinoGrazie ai modelli numerici di simulazione del clima moderni, come quello sviluppato dalla Fondazione Cmcc, che prendono in considerazione diversi scenari potenziali di emissioni di gas serra e restituiscono le relative proiezioni delle condizioni climatiche, è possibile investigare come l’attività ciclonica può cambiare in scenari di clima futuro. “Quello che si evince dai nostri lavori in Fondazione e dalla letteratura degli ultimi dieci anni è che ci si aspetta, in scenari di clima più caldo, una atmosfera più stabile che inibisce la formazione di sistemi convettivi, quindi una riduzione del numero medio di cicloni tropicali su scala globale. D’altra parte ci si aspetta un aumento dell’intensità degli stessi, facilitato dall’aumento della quantità di calore contenuta nell’oceano. Insomma, se ne formeranno di meno ma più intensi con relativo aumento di vento e precipitazioni associate“, conclude.

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