Coronavirus, infettivologo Galli: “Non mi aspetto una grande seconda ondata ma l’Italia fa meno tamponi di altri. Sulla riapertura degli stadi meglio attendere”

"Siamo stupiti delle differenze con altri Paesi che ci stanno attorno. Sbilanciandomi, ritengo che questa possa essere una situazione figlia del grande sacrificio rappresentato dal lockdown"
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“La grande seconda ondata non ce l’aspettiamo. Un rapido peggioramento che ci ponga in condizioni simili a Francia, Spagna, Gran Bretagna dubito, ma credo che sia un’eventualità da contenere. E’ necessario capire cosa succede nelle prossime 2 o 3 settimane”. E’ la visione di Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco – università degli Studi di Milano, intervenuto a un convegno sulla povertà sanitaria e farmaceutica minorile in Lombardia prima e dopo l’emergenza Covid-19, promosso nel capoluogo lombardo da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus, in collaborazione con Federfarma Lombardia. “Quello che è successo dopo il ritorno dalle vacanze lo abbiamo visto e abbastanza capito. Non una cosa bellissima: abbiamo avuto anche un po’ di pazienti che per età presumiamo siano stati infettati da vacanzieri di ritorno, ma non è andata così male come si poteva prevedere. Ora abbiamo però un punto dato dalla ripresa generale che merita attenzione”, avverte.

Adesso cosa succede? “Che pur avendo una condizione infintamente migliore rispetto ai Paesi attorno e rispetto a marzo-aprile, qualche malato in più in ospedale ce lo abbiamo, qualche problema in più nelle terapie intensive negli ospedali hub cominciamo ad averlo, qualche necessità di approntare risorse mettendo le mani avanti anche”. Questo – conclude Galli – non vuol dire che ci aspettiamo la seconda ondata. “Soprattutto nelle aree metropolitane, ci stiamo riassestando. Abbiamo dovuto fare un lavoro di ‘decovidizzazione’ di gran parte dei reparti risucchiati in un gorgo” nell’epoca dell’emergenza Covid-19, “e dobbiamo affrontare una realtà di diffidenza da parte dell’utenza. Uno dei grandi problemi figli del coronavirus è stato proprio questo: il rallentamento e il rinvio di molte procedure sanitarie su patologie correnti. Un rinvio che è stato in parte strutturale, ma in parte legato a paura e riluttanza diffusa. Significa che dopo la decovidizzazione degli ospedali, bisogna far tornare le persone a curarsi”.

“Siamo in un contesto diverso da quello dei Paesi attorno, un contesto veramente diverso. Anche se in fin dei conti facciamo un po’ tanti tamponi in meno rispetto ai Paesi vicini. Questa è una carenza che non siamo ancora riusciti a colmare in modo completo. Non solo facciamo meno tamponi ma, qua e là, c’è un certo ritardo nel dare le risposte ed è opportuno che sia invece più immediata la risposta. Perché questo ritardo implica che si blocchi un’intera famiglia mentre altre no. Ci sono stati correttivi recenti, ma più rapidi siamo a rispondere e meglio è”. Galli torna sul tema dei test rapidi, a lui molto caro: “E’ un dato di fatto che toccherebbe una volta per tutte darsi molto da fare per un’applicazione estensiva di test rapidi, test che sono già disponibili e lo diverranno sempre di più”.

Quanto alla situazione internazionale, “siamo stupiti delle differenze con altri Paesi che ci stanno attorno. Sbilanciandomi – osserva Galli – ritengo che questa possa essere una situazione figlia del grande sacrificio rappresentato dal lockdown, applicato qui in maniera più drastica di quanto fatto altrove. Lockdown che ha consentito non solo una riduzione marcata dell’infezione diffusa nel Paese. Ha bloccato l’ulteriore diffusione nella aree colpite, ma ha tenuto in qualche modo Covid-free o quasi altre aree del Paese meno coinvolte”. “Questo evento può essere stato importante. Se dovessi dare una prima ipotesi, credo sia chiaro”. Come è chiaro, secondo l’esperto, che “questa nostra frizzante estate ha visto molte persone ritenere la partita chiusa con il discorso Covid e ha visto una serie di infezioni legate a momenti di movida diffusa”. Sulle discoteche è arrivato “un segnale pessimo e un segnale di un notevole mancato coordinamento fra le autorità dello Stato. Su questioni di questo genere dal centro dovevano dare meno gradi di libertà e dalla periferia dovevano tenere duro sul no”.

calcio pallone stadio“Sull’apertura degli stadi e’ increscioso dare una posizione, anche perche’ io seguo il calcio con estrema attenzione, e mi piacerebbe anche tornare allo stadio domani, ma credo sarebbe giusto per le prossime due o tre settimane attendere prima di eseguire”. Galli osserva che “ci sono molte altre situazioni in cui vengono convogliate molte persone”, ma “alcune hanno una rilevanza sociale economico-organizzativa di tipo A e altre hanno una rilevanza sociale economico-organizzativa chiamiamola di tipo B”, ma “se concentri 15mila persone in ingresso o in uscita, anche se le diluisci, in qualche posto devono arrivare”, e quindi il problema si pone. Anche perche’ viaggiano su “mezzi pubblici e non privati”, quindi “dobbiamo risparmiarci questo finche’ non siamo piu’ sicuri”, aggiunge Galli. “È quello che penso ma poi magari verro’ smentito da un andamento favorevole”.

coronavirus bambini mascherine“Sappiamo per certo che i bambini sono ben in grado di infettarsi e temo anche ben in grado di diffondere il virus SARS-CoV-2. Nel nostro studio di sieroprevalenza condotto a Castiglione d’Adda abbiamo riscontrato che sotto i 10 anni d’età meno del meno del 10% è risultato positivo per gli anticorpi a posteriori, fra i 90enni il 40%, fra gli ospiti di casa di riposo il 100%, mentre i 40-45enni intorno al 23% rispecchiando esattamente la stessa frequenza della popolazione intera. Viene dunque da sospettare che i bambini siano meno suscettibili, per un discorso forse di meno recettori disponibili. Questo dà un po’ più di fiducia e tranquillità rispetto al fatto che le scuole possono sì essere un ambito rilevante di trasmissione ma ci potrebbe essere una maggiore libertà nel gestire una condizione che non sarà mai perfetta. Perché con questa malattia il rischio zero non esiste. Il fatto che i bambini tendano a infettarsi di meno non lo abbiamo visto solo noi”, aggiunge.

Galli cita lo studio che ha coinvolto quasi tutta la popolazione di Castiglione d’Adda, sottoposta a test pungidito, e in caso di positività a prelievo venoso, e a tampone e sottolinea che il 23% di positivi rilevato complessivamente non “è poi così tanto”. Il dato si è registrato in una delle “città più colpite precocemente da un virus ignoto che ha potuto fare quel che voleva senza che nessuno sospettasse la sua presenza”. Questo “ci dice chiaramente che se uno sta lì ad aspettare l’immunità di gregge, quale altro sacrificio deve andare ad affrontare?” Altra cosa interessante è stata rilevare “il fatto che più del 30% di persone positive per anticorpo è assolutamente asintomatica. Eppure lì dove hanno avuto 80 morti e ambulanze che suonavano in continuazione, lì dove si sono visti portar via un pezzo grosso di comunità l’attenzione ai sintomi è stata alta”. Quindi il dato può essere credibile. Un fenomeno spalmato su tutte le fasce d’età: “Un buon terzo di persone di qualsiasi d’età, anche i 90enni, sono asintomatici. Quanti siano anche buoni o super diffusori non siamo in grado di saperlo”, conclude.

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