“Ci sono le condizioni per uscire ma non ci riesco”: l’ombra del lockdown anche sul fenomeno “hikikomori”

"Con il lockdown si è verificato un ulteriore scollamento tra il tempo dentro e il tempo fuori, tra quello che viene definito il kairos e il Kronos"
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Ci sono le condizioni per uscire ma non ci riesco. Esco, ma voglio rientrare”. Cos’è successo agli adolescenti italiani? “Di solito i più giovani erano gli ultimi a chiamarmi per ritornare in terapia, questa volta hanno iniziato subito dopo ferragosto, tornando proprio al tema che avevamo lasciato a luglio”: a dirlo è Rosy Ingrassia, psicoanalista Cipa – Istituto Meridionale e membro del progetto dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) ‘Ritirati ma non troppo. Un aiuto per le famiglie’, dedicato alla ricerca sul fenomeno del ritiro sociale e al sostegno psicologico dei nuclei familiari. Iniziato durante il lockdown, il progetto è ripartito venerdì 11 settembre.

“Con il lockdown si è verificato un ulteriore scollamento tra il tempo dentro e il tempo fuori– continua l’analista- tra quello che viene definito il kairos e il Kronos. La quarantena ci ha messo dentro un tempo interno profondo ma che se non sai addestrare, se non sai usare, se non sai vivere pienamente come un tempo di conoscenza, diventa un vuoto”.
Ecco che luci e ombre della reclusione domestica dettata dalla pandemia si sono riversate anche sul fenomeno hikikomori: “La quarantena ha fatto sentire per certi versi i ragazzi ritirati sociali più normali, avendo trovato una sintonia con chi viveva questa condizione e poteva comprenderli. Alcuni di loro sono usciti dalle stanze, hanno avuto una maggiore integrazione, altri invece hanno mostrato una maggiore scissione”.

Ci vuole tempo per ritornare al tempo esterno, “per ritrovare di nuovo questa sintonizzazione tra le emozioni che abbiamo vissuto durante il periodo della reclusione e quelle del tempo esterno– aggiunge Ingrassia- ci vuole tempo anche per capire il tempo esterno che tempo è, e il tempo interno che tempo è diventato”. Il 9 marzo scorso “eravamo tutti in una vita normale, poi il 10 mattina tutti chiusi dentro casa. Ma è stato anche vero il contrario: a maggio tutti avevamo questo desiderio enorme di ritornare alla vita di sempre, però la vita di sempre non è stata la vita che noi avevamo lasciato”.

Con gli hikikomori c’è solo il tempo interno. “Loro mangiano e vivono dentro le stanze. I loro letti diventano i palcoscenici della loro vita, ci trovi di tutto”. Per questo motivo con loro si potrebbe optare anche per l’home visiting: “Se la società cambia anche la psicoanalisi deve avere il coraggio di interrogarsi su come andare verso le nuove condizioni psichiche. Jung diceva che quando una terapia non funziona, di solito si dice che il paziente non è adatto per la terapia. Forse dovremmo chiederci: ma il terapeuta che terapia sta pensando per quel paziente? Personalmente ho attuato l’home visiting perché in quel caso era necessario che io lo facessi, in altre situazioni è anche possibile fare incontri via Skype, ma non c’è una soluzione unica. A volte si parte dall’home visiting per arrivare a Skype secondo un processo di conoscenza, altre volte è il contrario. Gli psicodinamici non hanno ricette”, conclude Ingrassia.

Oltre ai gruppi di terapia messi a disposizione delle famiglie, l’IdO ha creato anche quattro gruppi di ricerca sul fenomeno Hikikomori, composti da 6 specialisti ognuno. I temi di indagine, che abbracciano tutta la condizione di isolamento sociale, sono: i miti; il ruolo genitoriale; la psicopatologia; e infine il trauma.

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