Il virus dell’HIV torna a far paura: in Italia 18 mila persone hanno l’AIDS e non lo sanno, nuove diagnosi rallentate dalla pandemia

In Italia è aumentato il rischio di trasmissione del virus dell'HIV perché le diagnosi di AIDS sono sempre più tardive
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“Oggi calcoliamo che circa 18 mila persone in Italia vivono con l’infezione da Hiv e non sanno di essere infetti. Vuol dire che si devono cercare nuove strategie per far emergere il sommerso, per far sì che queste persone possano essere diagnosticate rapidamente e non avvenga ciò che sta abitualmente avvenendo, cioè una diagnosi tardiva che comporta mille problematiche in termini di salute per il paziente e di sanità pubblica, perché questo vuol dire aumentato rischio di trasmissione della malattia“. Così l’infettivologo Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), oggi durante l’evento online di premiazione dei vincitori di ‘Devs for Health’, progetto italiano di Open Innovation in Hiv, promosso e organizzato da Gilead Sciences insieme a pazienti e medici. L’iniziativa che ha il patrocinio di Simit e di 15 associazioni pazienti attive nell’area dell’Hiv, ‘dà la caccia’ a soluzioni innovative da mettere in campo nella lotta all’Hiv. Per Andreoni è questa una delle azioni fondamentali: trovare nuove strategie. Perché c’è “ancora da lavorare” su due aspetti per migliorare la situazione: “Screening e qualità di vita”, elenca lo specialista. “Ancora oggi c’è la stigmatizzazione e discriminazione dei pazienti è un problema reale che deve essere superato. E anche sul fronte della cronicizzazione della malattia e dell’invecchiamento dei pazienti, su quello che vuol dire essere trattati con tanti farmaci. Ci sono ancora tante problematiche sulla qualità di vita, su cui bisogna ottenere qualche passo ulteriore in avanti”. 

“La possibilità di fare ricerca e sviluppare progetti è fondamentale. Questa è una malattia nata 40 anni fa e che in 40 anni ha raggiunto successi incredibili. Mi piace ricordarlo in un momento come questo“, in cui si fa i conti con una pandemia. “Siamo passati da una letalità del 90% nel giro del primo anno dalla diagnosi a una malattia cronica che si riesce a curare, grazie alla ricerca e allo sviluppo di farmaci eccezionali che ci permettono di assicurare ai pazienti oggi una vita simile a quella delle persone sieronegative”. Andreoni ricorda “la sigla U=U (Undetectable=Untransmittable), nata negli ultimi mesi per indicare che non rilevabile equivale a non trasmissibile. Significa che chi è ben curato non trasmette più la malattia. C’è un ritorno a una vita normale“. Ma ora “la ricerca deve andare avanti, ci sono ancora tante sfide da vincere. L’Organizzaizone mondiale della sanità (Oms) ha posto obiettivi importanti da raggiungere entro il 2030: avere il 90% delle persone con l’infezione diagnosticate, il 90% delle persone diagnosticate deve iniziare i trattamenti e il 90% raggiungere il successo virologico, il controllo del virus. Un quarto obiettivo è stato aggiunto ed è far sì che il 90% delle persone che vivono con l’infezione abbia una buona qualità di vita. Noi abbiamo raggiunto il secondo e il terzo obiettivo ma sul primo e sull’ultimo c’è ancora da fare”.

Con la pandemia di Covid-19 “c’è stato un rallentamento nell’identificazione delle nuove infezioni da Hiv, ci sono stati rallentamenti anche nel monitoraggio dei pazienti già diagnosticati. In questo periodo in cui siamo stati tutti limitati e alcuni toccati più da vicino dal coronavirus Sars-CoV-2 abbiamo visto stravolgere l’attività soprattutto dei medici, quella che era la routine e l’impostazione che era stata data al supporto della diagnosi, del trattamento e del follow up dei pazienti”. Così Cristina Le Grazie, direttore Medico di Gilead Sciences Italia. “La lotta non è finita – sottolinea oggi durante l’evento online di premiazione dei vincitori di ‘Devs for Health’, progetto italiano di Open Innovation in Hiv, promosso e organizzato da Gilead Sciences insieme a pazienti e medici – E’ importante avere strumenti che facilitino e supportino il lavoro dei medici e i pazienti, ci vogliono competenze nuove, soprattutto quelle digitali. Abbiamo pensato fosse giusto lavorare insieme a chi ha queste competenze, per un percorso di open innovation”. Oggi la premiazione dei team e dei progetti selezionati, al termine dell’hackathon online che si è tenuta dal 15 giugno al 5 luglio. Ora il prossimo passo saranno le 5 giornate di bootcamp in cui i team continueranno a lavorare con medici e pazienti.

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