Dall’Artico la data dell’eruzione che sconvolse la civiltà Maya in Centro America

Uno studio recente ha permesso di datare con precisione questa eruzione intorno al 431 d.C., grazie al ritrovamento di frammenti di cenere all’interno di una carota di ghiaccio estratta in Groenlandia
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Nel 431 d.C., quasi 1590 anni fa, la civiltà Maya fu sconvolta dalla violenta eruzione esplosiva del vulcano Ilopango, situato nell’attuale El Salvador. L’eruzione devastò il territorio nel raggio di circa 50 chilometri attorno al vulcano, ma le ceneri disperse nell’atmosfera si depositarono a scala planetaria (Figura 1)“, si legge in un articolo a cura di Dario Pedrazzi, Antonio Costa e Iván Sunyé-Puchol pubblicato su INGVvulcani.

Ilopango è un vulcano caratterizzato da una grande caldera centrale, del diametro di circa 10 chilometri, originatasi 1.8 milioni di anni fa a seguito di forti eruzioni esplosive (Figura 2). Fa parte dell’Arco Vulcanico di El Salvador che, con un totale di 21 vulcani, rappresenta uno dei segmenti più attivi dell’Arco Vulcanico dell’America Centrale.

Figura 2 – Vista dal lato nord del lago calderico dell’Ilopango. Sullo sfondo si osserva il Vulcano San Vicente. Fotografia di Dario Pedrazzi.

L’eruzione del 431 è stata denominata “Tierra Blanca Joven”, TBJ, per il caratteristico colore biancastro dei depositi, e si sviluppò in varie fasi (Figura 3).

Figura 3 – Schema stratigrafico dell’eruzione TBJ. Fotografie di Dario Pedrazzi e Iván Sunyé.

La fase iniziale determinò la formazione di flussi piroclastici densi e diluiti (miscele di gas e ceneri caldissime che scorrono veloci lungo i fianchi del vulcano, Unità A0, C, D, E in figura 3) alternati a una colonna eruttiva che raggiunse i 30 km di altezza (Unità A e B, figura 3). Nella seconda fase, l’intensità dell’eruzione raggiunse il suo apice, in concomitanza con il collasso calderico associato  alla violenta espulsione di enormi volumi di materiale piroclastico (Unità F, figura 3). Si formarono così flussi piroclastici densi che scorrevano al suolo e inglobavano una gran quantità d’aria che si espandeva risalendo verso l’altro e trascinava con sé particelle di cenere fine. In questo modo si formò una nube di gas e ceneri, che riuscì ad innalzarsi fino a raggiungere la stratosfera e da cui ricaddero al suolo cenere lapilli (Unità G, figura 3).

In prossimità della caldera di Ilopango, la deposizione al suolo del materiale eruttato ha prodotto strati di cenere dello spessore di alcuni metri ma la ricaduta al suolo dei materiali trasportati dal vento ha interessato anche paesi limitrofi come Guatemala, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Messico, dove sono stati trovati depositi di alcuni centimetri di spessore.

Uno studio recente ha permesso di datare con precisione questa eruzione intorno al 431 d.C., grazie al ritrovamento di frammenti di cenere all’interno di una carota di ghiaccio estratta in Groenlandia, a oltre 7.000 km di distanza dal centro eruttivo (Figura 1). L’appartenenza di queste ceneri all’eruzione TBJ è stata dimostrata in base alla composizione chimica del vetro vulcanico, come un’impronta digitale che permette di correlare i depositi di ogni singola eruzione e il vulcano di provenienza.

La datazione precisa è stata ottenuta grazie a metodi applicati alle carote di ghiaccio, basati sull’individuazione di livelli di riferimento che permettono di far corrispondere a un particolare segnale un evento passato di cui è nota la datazione (gli elementi più idonei per questo tipo di analisi sono i solfati di origine non marini e il trizio). Questo metodo ha consentito di affinare notevolmente le datazioni della TBJ effettuate in precedenza con il metodo della dendrocronologia e del carbonio-14 su resti di alberi presenti nei depositi dell’eruzione in prossimità del vulcano.

Figura 4 – Nelle fotografie in alto, ritrovamento all’interno del deposito dell’eruzione di un tronco utilizzato per la datazione. In basso, ubicazione dell’affioramento di depositi vulcanici (stella gialla) a nord della città di San Salvador (SS: San Salvador; CI: Caldera di Ilopango). Fotografie di Iván Sunyé.

Prima della datazione della cenere rinvenuta in Groenlandia, l’incertezza legata alla data di questa eruzione era di centinaia di anni. In particolare, le analisi con il metodo del carbonio 14 sono state effettuate su campioni di un albero di mogano (famiglia Meliaceae) leggermente carbonizzato, trovato nei depositi dei flussi piroclastici dell’eruzione della TBJ, a circa 25 km a nord-ovest da Ilopango. Per la datazione con il metodo del carbonio-14 sono stati prelevati dei pacchetti di anelli, rappresentanti 5 o 10 anni, lungo due sezioni dal centro del tronco al bordo della corteccia (Figura 4).

Lo studio delle carote di ghiaccio ha consentito anche altre valutazioni interessanti, tra le quali la stima del contenuto di zolfo di origine vulcanica nella nube eruttiva. Una volta che questa ha raggiunto la stratosfera, i composti dello zolfo (in particolare l’acido solforico) possono alterare il clima del pianeta. Lo studio evidenzia, infatti, una diminuzione delle temperature globali di circa mezzo grado negli anni successivi all’eruzione.

Con un modello 3D che descrive la propagazione dei materiali eruttati in atmosfera, sono state inoltre stimate la dispersione delle ceneri e l’altezza della colonna eruttiva, che ha raggiunto i 45 chilometri di quota, da cui i prodotti vulcanici sono stati trasportati per oltre 7.000 km, fino a latitudini polari.

Gran parte di questa ricerca è stata realizzata attraverso le informazioni ottenute durante tre campagne condotte in El Salvador, durante le quali sono stati analizzati e cartografati i depositi della TBJ in un’area di oltre 200.000 km2.

Il volume totale di magma espulso durante questa eruzione fu di circa 55 km3. Uno strato di cenere spesso almeno mezzo centimetro ha ricoperto aree vaste più di 2 milioni di chilometri quadrati dell’America centrale e si ritiene che il cielo in questa regione sia stato oscurato per almeno una settimana. Questa eruzione fu più di 50 volte più violenta di quella del Mount Saint Helens avvenuta nel 1980. Si è stimato inoltre che i flussi piroclastici ebbero un volume 10 volte maggiore di quello generato dai flussi della famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Secondo la nuova e più precisa datazione, l’eruzione della TBJ ebbe luogo durante il primo periodo Maya classico (300-600 d.C.), un momento di generale espansione di questa cultura in tutta l’America centrale come dimostrato dalla presenza di insediamenti nell’area (Figura 5).

Figura 5 – a) Suolo alla base dei depositi TBJ con segni di lavorazione Maya (surcos de cultivo), indicativo della presenza della popolazione nei luoghi prima dell’eruzione. Fotografia di Iván Sunyé. Siti archeologici di: b) Joya de Cerén, c) San Andrés e d) Tazumal. Fotografie di Dario Pedrazzi. In basso ubicazione delle località citate in figura.

L’eruzione avrebbe causato la morte di ogni essere umano entro un raggio di circa 50 chilometri dal vulcano, e lo spopolamento in prossimità della caldera di Ilopango per decenni. Tuttavia, l’eruzione TBJ non sembra aver avuto un impatto così marcato e diretto sulle popolazioni Maya insediate in altre zone, come per esempio si è osservato in alcuni siti archeologici che furono ripopolati velocemente in seguito all’eruzione (località Joya de Cerén, San Andrés e Tazumal, figura 5).

In passato si riteneva che l’eruzione della TBJ fosse stata responsabile di un decennio insolitamente freddo nell’emisfero settentrionale intorno al 540 d.C. Oggi questa data appare in contrasto non soltanto con la nuova datazione, ma anche rispetto a nuove evidenze archeologiche, che suggeriscono un’improvvisa interruzione della produzione delle ceramiche Maya all’inizio del primo periodo classico della cultura Maya (antecedente al 450 d.C.).

La caldera di Ilopango è attualmente in fase quiescente e l’ultima eruzione è avvenuta nel 1879, con la formazione dei duomi lavici delle Islas Quemadas attualmente visibili al centro del lago calderico (Figura 6).

Figura 6 – Parte emersa delle Islas Quemadas, i duomi lavici corrispondenti all’ultima attività della caldera di Ilopango nel 1879, Fotografia di Iván Sunyé.

Attualmente circa 3 milioni di persone vivono in un raggio di 30 chilometri intorno alla caldera, in un’area che potrebbe essere  direttamente colpita, in futuro, da una nuova eruzione simile a quella della TBJ. Questi studi sono parte integrante dei lavori necessari a valutare la pericolosità vulcanica della regione e suggerire strategie utili alla mitigazione dei rischi“, conclude l’articolo.

Bibliografía
Le Scienze, 29 settembre 2020, El Salvador, scoperta la vera data della misteriosa e colossale eruzione della Tierra Blanca Joven che sconvolse la civiltà Maya.
Pedrazzi, D., Sunye-Puchol, I., Aguirre-Díaz, G., Costa, A., Smith, V. C., Poret, M., … & Gutiérrez, E. (2019). The Ilopango Tierra Blanca joven (TBJ) eruption, El Salvador: volcano-stratigraphy and physical characterization of the major Holocene event of Central America. Journal of Volcanology and Geothermal Research377, 81-102.
Smith, V. C., Costa, A., Aguirre-Díaz, G., Pedrazzi, D., Scifo, A., Plunkett, G., … & McConnell, J. R. (2020). The magnitude and impact of the 431 CE Tierra Blanca Joven eruption of Ilopango, El Salvador. Proceedings of the National Academy of Sciences.
Suñe-Puchol, I., Aguirre-Díaz, G. J., Dávila-Harris, P., Miggins, D. P., Pedrazzi, D., Costa, A., … & Gutiérrez, E. (2019). The Ilopango caldera complex, El Salvador: Origin and early ignimbrite-forming eruptions of a graben/pull-apart caldera structure. Journal of Volcanology and Geothermal Research371, 1-19.
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