Rigenerare tessuti muscolari gravemente lesionati attraverso la combinazione delle più sofisticate tecnologie. È l’obiettivo della nuova ricerca condotta da ENEA, nell’ambito del progetto ‘SMARTIES’ finanziato dalla Regione Lazio, realizzata in collaborazione con tre università italiane (Tor Vergata, Sapienza e Urbino) e due partner internazionali (National University of Singapore e Sechenov First Medical Universit of Moscow). I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online ‘open access’ Nanomaterials-MDPI (https://www.mdpi.com/2079-4991/10/9/1781).
“La novità di questo studio sta nell’avere coniugato tre filoni di ricerca molto promettenti, ovvero electrospinning, matrice extracellulare e click chemistry – già molto innovativi di per sé – che ci hanno permesso di mettere a punto un sistema all’avanguardia per la rigenerazione del tessuto muscolare e, allo stesso tempo, sostenibile sia per la salute del paziente che per l’ambiente”, spiega Laura Teodori, ricercatrice ENEA e coordinatrice dello studio.
L’electrospinning (o elettrofilatura) è uno dei settori più promettenti delle nanotecnologie; grazie a questa tecnica è possibile produrre ‘scaffold’, ossia strutture tridimensionale ‘intelligenti’ in nanofibra, in grado di guidare la rigenerazione dei nuovi tessuti: sono del tutto simili nell’organizzazione e nella struttura al tessuto ‘nativo’ e rilasciano sostanze bioattive che favoriscono l’accrescimento, la proliferazione e la differenziazione delle cellule che formeranno il nuovo tessuto muscolare. I vantaggi di questo metodo di produzione sono molti e riguardano: la semplicità e l’economicità dell’apparecchiatura, la scalabilità, la possibilità di utilizzare diverse combinazioni di materiali (polimeri naturali e sintetici) e di produrre un’ampia varietà di micro e nanofibre, diverse per dimensioni e forme, con ampie superfici, elevata permeabilità e porosità, in modo da garantire le interazioni cellulari. Ma c’è di più: il suo campo di applicazione è molto versatile e va oltre il settore medicale; infatti, grazie all’elettrofilatura è possibile ‘filare’ materiali hi-tech che possono essere impiegati nell’ambito del risparmio energetico, nel trattamento dei rifiuti oppure, come già è accaduto, per assorbire fuoriuscite di petrolio in mare.
Se finora questi particolari ‘filati’ venivano utilizzati direttamente negli interventi chirurgici per favorire la rigenerazione dei tessuti, ora sono stati ulteriormente elaborati e trasformati in ‘bioink’, ossia in particolari inchiostri che possono essere processati con le più innovative tecniche di manufacturing: a parte l’elettrofilatura per la produzione di scaffold nell’ingegneria dei tessuti, si sta facendo strada anche la bio-stampante 3D per produrre organi artificiali.
“Accanto all’elettrofilatura, l’altra grande novità introdotta dal nostro studio riguarda il materiale di partenza che abbiamo scelto per produrre le nanofibre con cui costruire gli scaffold. Si tratta della componente non cellulare del tessuto, la cosiddetta matrice extracellulare, che presenta molti vantaggi: prima di tutto è priva di cellule, quindi non contiene i componenti immunogenici del tessuto nativo che potrebbero causarne il rigetto, ma al tempo stesso possiede naturalmente molte delle molecole responsabili dei processi rigenerativi come, ad esempio l’adesione cellulare, il differenziamento e l’allineamento delle cellule”, sottolinea Teodori.
L’ultimo tassello che completa il quadro di questa innovativa ricerca sulla rigenerazione dei tessuti è la ‘click chemistry’, un nuovo ‘approccio’ della chimica che, imitando la natura, permette di sintetizzare sostanze complesse in modo semplice e rapido, unendo molecole più piccole. “Nel nostro studio proponiamo la click chemistry per funzionalizzare lo scaffold , ossia per attaccare su questa architettura biomolecole che permettano di aumentarne efficienza e funzionalità e siano in grado di stimolare con successo il processo di rigenerazione dei tessuti. Ma questo può avvenire solo attraverso delle reazioni chimiche – la click chemistry appunto – che rappresenta una novità assoluta nell’ingegneria tissutale, anche se è già utilizzata nella chimica verde per il suo basso impatto ambientale; infatti, prevede semplici condizioni di reazione di partenza, l’utilizzo di reagenti facilmente disponibili e di solventi non tossici e facilmente rimovibili o, addirittura, di nessun solvente”, conclude la ricercatrice.