Coronavirus, ecco le vere “zone rosse” e “arancioni” in base ai criteri scientifici

Coronavirus e "zone rosse", riflessioni scientifiche
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Nei giorni scorsi il presidente del consiglio Conte ha annunciato che alla base di provvedimenti  di lock-down, attribuzioni di colori, rosso, arancione e giallo, vi siano specifici criteri scientifici. I criteri più rilevanti presi in considerazione sarebbero, sintetizzati: espansione del contagio, densità abitativa, carenze strutturali e di personale, ossia non vi sono strutture e personale o, se vi sono, sono giusto al limite per far fronte a un’ampia richiesta di assistenza e di cure. Non sembrerebbero propriamente criteri scientifici: i primi sono rispettivamente  una constatazione e uno stato di fatto, mentre l’inadeguatezza strutturale e di personale si palesa una colpevole carenza che oggi diviene la causa primaria di allarme e di chiusura.

Facciamo una premessa e fughiamo ogni dubbio: un problema sanitario c’è e questo è fuori discussione. È un problema dell’Italia e un problema mondiale. Non è un problema di quest’anno 2020, un “due-zero due-zero” che sa di particolare,  che si presta anche nella visione numerica a qualcosa di esoterico ma, di fatto, che non ha comportato alcuna novità nell’emergenza sanitaria, se non altro perché questa è già pendente da alcuni anni. Possiamo tranquillamente dire che da quando è iniziata, di fatto, l’azione del patogeno Covid-19 in Italia, sia trascorso esattamente un anno, poiché i rilievi sierologici hanno dimostrato che esso fosse presente in Italia già da novembre-dicembre 2019 (anzi alcune indagini di screening su malati di tumore, hanno evidenziato la presenza del virus in Italia addirittura dall’estate 2019) e, al compimento dell’anno, non vi sono stravolgenti dati in riferimento alla morbosità, mortalità rispetto al quinquennio precedente. Andando più nel dettaglio, i mesi di novembre e dicembre 2019, in termini di mortalità, sono trascorsi assolutamente nella norma. Mancano all’appello ancora i dati di tre mesi, ossia di settembre, ottobre e questo novembre 2020 poiché ancora non elaborati dall’Istat. Tuttavia, si hanno evidenti ragioni per ritenere che in settembre e buona parte di ottobre non vi siano state grosse anomalie in termini di incidenza del patogeno, se non in maniera crescente nella seconda parte di ottobre e in questa prima di novembre. Volendo chiudere il cerchio di una stagione virale che mediamente va da autunno a autunno e passando per i mesi più esasperati invernali-primaverili poi per quelli mediamente più tranquilli tardo primaverili-estivi, possiamo affermare con evidenza di numeri che questo anno pandemico in Italia si sta chiudendo con circa 40.000-50.000 morti in più rispetto alla media degli anni precedenti. Questi sono dati Istat, anzi quelli Istat di inizio settembre e fino a tutto Agosto, sarebbero ufficialmente per 37.000 morti in più; noi ci spingiamo fino a 50.000, considerando che manca il computo di questi mesi autunnali oramai alla fine, ma consci di esserci spinto in eccesso con la stima, poiché, appunto, settembre e ottobre 2020 sono trascorsi in gran parte senza particolare enfasi in fatto di morti e aggressività del patogeno. Se fosse questa la cifra di morti in eccesso, naturalmente con tutto il rispetto e questo sempre e a prescindere delle persone che lasciano questo mondo, così anche se le morti fossero 10.000 in più ( fino a 60.000 in più rispetto al quinquennio precedente visto che il trend è crescente dal 2015 e con il passare degli anni), in linea di massima constateremmo che non vi sarebbe una grossa oscillazione rispetto alla media delle fluttuazioni di morti che sta riguardando l’Italia e il mondo intero da almeno cinque anni a questa parte. Lo ribadiamo ancora: nel 2015 ci sono state, in Italia, 50.000 morti in più rispetto al quinquennio precedente; a seguire, nel 2017, 33.750 morti in più rispetto all’anno precedente; in questo 2020, +37.000, rispetto al quinquennio precedente per ora, poi verifichiamo la cifra più precisa fino a novembre 2020. 30.000/40.000/50.000 morti verosimilmente finali,  possono sembrare cifre importanti ma, in realtà, rapportate alla totalità della nostra popolazione, incidono nell’ordine dello 0,1% e, appunto, ricorrenti negli ultimi anni, quindi non una novità. Questo dato che ci dice? Dice che, fortunatamente, non siamo di fronte a un’azione virale particolarmente pericolosa, nè di fronte a un evento nuovo. Questo sulla base dell’incidenza percentuale sulla mortalità, ma anche sulla morbosità visto che il patogeno in 95 persone su 100 si mostra senza particolari sintomi, magari patogeno solo particolarmente contagioso. Altra cosa, invece, è l’incapacità delle nostre strutture sanitarie (sottolineiamo che in questa sede si prende in riferimento l’Italia come è ovvio che sia, ma il discorso vale per tante altre parti del mondo, poiché siamo tutti nella stessa barca, salvo naturalmente le dovute eccezioni per maggiori meriti di alcuni paesi virtuosi) e del nostro personale sanitario di far fronte a una crescita esponenziale da alcuni anni a questa parte di malesseri, malanni e anche esasperazione virale ( perché no ).  Allora, un criterio scientifico serio sarebbe stato, come anche è stato per taluni centri di ricerca preposti a studiare il clima, l’ambiente e il nesso con la morbosità-mortalità, indagare e studiare il perché di morti in eccesso rispetto alla media da cinque anni a questa parte. Sarebbe stato, appunto, ma nulla è stato fatto nel nostro paese. Per ben due anni 2015/2017 ci sono stati morti sospette in più e nessuno ha indagato sul perché. Probabilmente 30.000/40.000/50.000 morti in più sono una cifra irrisoria al punto da non essere attenzionata. A questo punto sarebbe legittimo chiedersi anche: come mai 50.000 morti in più nel 2015 e i quasi 34.000 in più nel 2017, di cui, ricordiamo, ben 23.000 in più nel solo mese di gennaio 2017,  non hanno fatto tutto il clamore che invece i 37.000 morti in più di quest’anno, fino a settembre 2020, hanno fatto? Ma, ritornando al filone precedente, se fosse stata fatta un’analisi più attenta sarebbe venuto fuori un balzo di circa 100.000 morti in più in Italia nell’ultimo quinquennio, rispetto al decennio precedente e questo qualche pulce nelle orecchie avrebbe dovuto metterla. Naturalmente per chi ha indagato con metodo scientifico -questo sì-  la faccenda, una ragione e l’unica, a ora, incontrovertibile, c’è: un’importante accelerazione del cambiamento climatico planetario dopo l’episodio di Nino 2015. Esasperazione anticiclonica autunnale-invernale, aumento significativo esponenziale della temperatura terrestre con i cinque anni più caldi da quando sono iniziate le osservazioni, tutti registrati dal 2015 al 2020. Inevitabile deterioramento dei bassi strati atmosferici con elevata concentrazione di inquinanti, particolati fini, umidità in eccesso e, di conseguenza, anche ambiente ideale affinché i patogeni stagionali possano divenire più aggressivi per l’organismo umano. Sì, siamo convinti che questo problema non finirà con il verosimile adattamento al corpo umano del virus incriminato, piuttosto, ahinoi, continuerà. Alla luce di questo pensiero non c’è spazio per negazionisti: anzi, è nostro convincimento che il problema oltre a esserci è paradossalmente ancora più grave dell’azione di un virus, poiché questo sarebbe destinato verosimilmente a scomparire o ad adattarsi all’organismo umano, limitando fortemente la sua azione nociva; le ragioni nocive di tipo climatico-ambientale, invece, potrebbero continuare e ancora per anni. Potrebbero esserci degli alti e bassi e ciò in funzione dell’andamento della circolazione invernale-autunnale; potrebbe essere verosimile che per qualche anno le morti e anche l’incidenza della morbosità potrebbero tornare in media o anche sotto la media, poi è altrettanto verosimile che si riproporrebbero balzi in avanti in presenza di particolari, ulteriori esasperazioni anticicloniche in questo che è un ciclo climatico a favore di esasperazioni calde. Oggigiorno il vero problema è la carenza di strutture e personale sanitario per far fronte a una complicazione di tipo climatico-ambientale in prima battuta, in via subordinata di tipo virale. Se si fosse preso atto prima di questo problema, e amministratori attenti avrebbero dovuto prenderne atto consultandosi con esperti di settore, si sarebbero predisposte le strutture e si sarebbe anche allargato il personale in misura tale da potervi fare fronte. Tutto questo non si è fatto e ora per correre ai ripari, si chiude. L ’unica ragione per cui si chiude è perché vi è una carenza, inadeguatezza dell’apparato strutturale sanitario. Ma almeno che non si continuasse a commettere errori, che poi si riverserebbero anche sull’economia del paese, aggravando oltremodo la situazione, nel frattempo impegnandosi a incentivare strutture e personale perseguendo criteri scientifici veri. Se è possibile far continuare una vita quasi normale su alcune aree, si renda possibile farlo.

Nella mappa a corredo dell’articolo, sono evidenziate aree rosse e in arancione. Queste sono quelle italiane a maggiore sensibilità di tipo climatico ambientale (non tutte le aree rosse e arancio, più o meno individuate per province, poiché vi sarebbero anche alcuni settori provinciali a minor impatto, ma sarebbe stato troppo dispersivo dettagliare) e dove anche un’azione virale normale stagionale può divenire particolarmente aggressiva, soprattutto per le persone deboli, anziane, con malattie pregresse e immunodepresse. Naturalmente con priorità sulle aree rosse si potrebbe intervenire, all’esigenza anche chiudendo,  ma soprattutto potenziando strutture e personale perché non solo quest’anno, ma probabilmente chissà per quanti anni ancora, potrebbe continuare un’emergenza di morbosità-mortalità in eccesso come quella evidenziata negli ultimi cinque. Naturalmente si potrebbe intervenire altresì, su queste aree, in forma collaterale, nel cercare di arginare il problema, per quanto possibile, a monte, ossia limitando in maniera drastica l’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti e, magari, provvedendo anche, nei mesi autunnali-invernali e in previsione di particolari esasperazioni anticicloniche, a spostare le persone più deboli, anziane, con malattie pregresse e immunodepresse su aree a minor impatto meteo-climatico ambientale. Medesima attenzione, con qualche rilassamento in più, anche sulle aree colorate in arancio, ugualmente sensibili a esasperazioni di tipo climatico-ambientale, tuttavia in misura minore rispetto alle aree in rosso, quindi con restrizioni meno pesanti, ma con macchina sanitaria, in termini strutturali e di personale, decisamente potenziata e resa efficientemente funzionale alle crescenti esigenze. Attenzione, ma certamente più rilassatezza e vita quasi normale, con le dovute cautele che oramai sono divenute abitudinarie nella vita di tutti noi, anche senza chiusura, sulle rimanenti aree in bianco ( il giallo lo bandiamo, già vi è parecchio di intrigato in questa faccenda). Insomma, chiudere lì dove potrebbe esserci rischio effettivo e le chiusure potrebbero essere anche preventive in funzione di previsioni meteo-climatiche-ambientali, possibili oggigiorno. Invece preservare una vita normale, fatte salve le attenzioni di rito, sulle aree dove il rischio è minimo, anche se su queste dovesse registrarsi una espansione virale in termini di positività:  la sola presenza di un virus, senza co-fattori climatici-ambientali o cumunque questi ridotti, è dimostrato, non incide in modo pericoloso sulla salute. Su tutte le aree bianche, la chiusura può essere tranquillamente risparmiata. I lock-down perlomeno alla rinfusa, non vogliamo dire indiscriminati, così come sanciti, sono indice di incapacità, di approccio errato, di caparbietà, di mancato riconoscimento scientifico a quella parte di scienza seria che pure pulsa nel mondo e non si vuole pensare, poi, che possano essere frutto di deviate ideologie geo-politiche. Alcune osservazioni, tuttavia, sono pur legittime: come si può negli anni 2020 pensare di usare il metodo del terrore, sperando di arginare una crisi sanitaria? Come si può non pensare che propinando terrore e morte, non si vada a incidere sulla psiche delle persone in misura tale da indurle a un ricorso presso strutture ospedaliere semplicemente per paura al primo raffreddore, ancorchè per effettive complicanze fisiche, tant’è che il 70% dei ricorsi in ospedale è codice verde, ossia senza patologie preoccupanti, solo con tanta paura? Come si può non pensare che seminando tanto terrore, i medici di base non abbiano a loro volta tanta paura al punto da sottrarsi a quello che è un dovere fondamentale di fungere da filtro primario e prioritario verso le persone che hanno esigenze di tipo sanitario e che questa loro sottrazione possa contribuire a intasare i presidi ospedalieri? Come si può non pensare che, in una emergenza sanitaria, la politica del terrore non può che peggiorare lo stato di fatto? Non si può non pensare tutte queste cose. E’ come se si scegliesse di spegnere un incendio pompando benzina.  Eppure una scellerata politica di terrore è stata messa in atto e continua a essere messa in atto. Il dubbio dell’innesto di una componente geo-politica su una emergenza climatica-ambientale-sanitaria, magari anche già nota e appositamente strumentalizzata, è più che legittimo.

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