“L’indice RT, il rapporto fra positivi e tamponi e il tasso di occupazione degli ospedali sono i parametri che tutto il mondo usa. Ma hanno i loro limiti“: lo ha spiegato, in un’intervista a Repubblica, Alessandro Vespignani, che insegna a Boston alla Northeastern University e si occupa di modelli informatici di diffusione delle epidemie. “Dall’inizio dell’epidemia – ha affermato l’esperto – abbiamo a che fare con dati che lasciano a desiderare. Ma ci rendiamo conto che raccoglierli è un lavoro complesso, e la situazione è dura per tutti. Sappiamo che questi parametri riflettono una situazione che risale ad almeno una settimana prima. Possiamo cercare di ridurre questo ritardo, ma non eliminarlo“.
“L’indice RT in Italia viene calcolato bene. Poi certo, riflette il ritardo fra contagio e notifica dei casi e non sempre raggiunge la granularità territoriale che sarebbe necessaria. Perché le grandi città sono una cosa, le aree rurali un’altra“.
L’RT conta solo i sintomatici “per ragioni tecniche: c’è bisogno di indicare la data di insorgenza dei sintomi. Il problema di RT è che ha margini di errore molto grandi. E se i risultati dei tamponi arrivano in ritardo, diventa un indicatore poco tempestivo“.
In riferimento ai tassi di occupazione degli ospedali, “in Italia tengono conto solo del saldo dei ricoverati. Non calcolano il numero di chi entra e di chi esce. Invece sarebbe importante conoscere i flussi, per capire l’andamento dell’epidemia. La sfida più difficile, con questo virus, è provare a prevederne l’andamento. Se ci si ritrova a inseguire, tutto diventa più difficile“.