“A far saltare il sistema di tracciamento ha contribuito anche la pretesa che i pediatri certificassero ogni rientro a scuola, anche dovuto solo a uno starnuto. Per poterlo fare i molti pediatri hanno scelto di ricorrere – e come dar loro torto – a un tampone per ogni minimo raffreddore. Un eccesso di zelo a cui sono stati costretti dalle scelte amministrative, e che ora riduce gran parte del meridione a non avere a disposizione i tamponi che – ora sì – sarebbero così fondamentali per il tracciamento e il contenimento del virus”, Rosario Cavallo, pediatra dell’Associazione Culturale Pediatri (Acp) lancia l’allarme dalla Puglia ma include buona parte del Paese. “Presto le cose peggioreranno ulteriormente se non eliminiamo la burocrazia inutile che permette di inasprire i vincoli, interpretandoli in modo ancora più stringente e del tutto inutile o dannoso“.
Tra gli esempi di criticità segnalati dai pediatri, succede per esempio che al momento in quasi tutta Italia si richieda loro di attestare la riammissione in comunità dei bambini che sono stati in isolamento fiduciario. “Ma se la Asl chiama il bambino per un tampone, al termine di 14 giorni di quarantena, e il tampone è negativo, in che modo la certificazione di un pediatra può creare valore aggiunto? L’unico risultato della richiesta di questo certificato per la riammissione in comunità è allungare le fila fuori dalla porta del suo ambulatorio, in questo momento in cui si fatica già così a dedicare a ogni paziente il tempo che meriterebbe”, continua Cavallo.
Di più. Ci sono in Italia, al momento, ad esempio in Puglia e Basilicata, scuole materne che pretendono il certificato medico per attestare il reinserimento di un bambino anche se si è assentato per motivi familiari, senza alcun motivo di salute, mettendo in pratica interpretazioni personali (ma tollerate da asl e provveditori) della normativa ministeriale che invece recita diversamente. Di qui, la necessità che le comunicazioni governative siano più chiare, leggibili, esaustive e univocamente comprensibili. “Segnaliamo come ulteriore esempio che quando si indica il limite dei giorni oltre il quale scatta l’obbligo del certificato per il rientro, ci sono Istituti che non tenendo in alcun conto il patto di collaborazione scuola-famiglia, non fidandosi delle dichiarazioni dei genitori, considerano sempre nel conto il sabato e la domenica”.
ACP è consapevole che chi governa le emergenze debba poter sviluppare le proprie strategie. Vorremmo però suggerire qualche proposta per rafforzare le capacità del territorio di contrastare la diffusione del virus, sperando che ciò possa contribuire a tenere aperte le scuole dove cresce il futuro del nostro Paese. Per cui segnaliamo la necessità di:
- Prestare maggiore attenzione alla comunicazione, rendendola meno soggetta a interpretazioni.
- Riconsiderare utilità e gestione di certificati scolastici palesemente non necessari, allineando l’Italia a nazioni più avanzate. Liberare quindi i pediatri di quegli aspetti burocratici che è possibile ridurre, in modo che possano dedicare maggior tempo ed energie ad affrontare la pandemia in corso.
- Condividere indicazioni cliniche che aiutino a riconoscere i pochi casi in cui sia effettivamente utile e appropriato richiedere un tampone molecolare negli studenti
- Individuare i settori in cui potrebbe essere più utile il nostro affiancamento ai servizi in sofferenza, dando subito le disposizioni per un breve trail di formazione per un nostro impiego. Per esempio, suggeriamo di affiancare i dipartimenti di prevenzione per il tracing; di rendere effettiva l’assistenza a domicilio per i sintomatici lievi anche con implementazione della telemedicina; di poter utilizzare i tamponi rapidi da effettuare nel distretto.
- Assicurare una maggiore responsabilizzazione nei vari passaggi, per evitare ingiustificabili differenze nelle erogazioni dei servizi.
Si tratta di proposte pratiche, facilmente realizzabili, a basso costo, allineate alle evidenze scientifiche e anche al buon senso.