Il 23 febbraio, ovvero appena dopo la scoperta dei primi casi ufficiali di Covid in Italia a Codogno, è stato emesso il primo provvedimento in emergenza, quello che oggi conosciamo tutti come Dpcm. L’ultimo, invece, è stato emanato il 3 novembre scorso. Sono stati 9 mesi difficili, quasi surreali e che si porteranno dietro strascichi duraturi. In questi nove mesi i provvedimenti varati dal governo, Dpcm soprattutto sono stati ben 19, ovvero una media di due al mese, concentrati in particolare nel primo periodo, diradatisi in estate e tornati con prepotenza e frequenza con l’arrivo dell’autunno.
Ebbene, la ‘genesi’ e il percorso dei Dpcm permette di ricostruire l’andamento dell’epidemia e anche di analizzare la risposta del governo, fermo restando che, fino al momento in cui il virus non scomparirà, dobbiamo aspettarcene molti altri. Il primo è datato 23 febbraio. Ecco cosa accadde: dopo la scoperta di Mattia, il paziente 1 che si scoprì in seguito non essere il primo, vennero poste in quarantena oltre 50.000 persone in 11 Comuni diversi del Nord Italia. Vennero dicharati zona rossa dieci Comuni del Lodigiano e il Comune di Vo’ Euganeo, nel Padovano: chiuse le scuole, sospese tutte le iniziative, stop ai negozi, ai musei, ai luoghi di cultura.
Il lockdown era alle porte, ma il popolo italiano ne era ancora ignaro. Il primo marzo arriva nuovo dpcm: l’epidemia dilagava, gli ospedali lombardi erano al collasso e i decessi aumentavano a vista d’occhio. Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e le province di Pesaro e Urbino e di Savona diventano zone rosse, con lo stop di scuola e università, divieto di pubblico negli eventi sportivi, le prime raccomandazioni per favorire lo smart working ove possibile. In Lombardia e nel Piacentino la stretta è ancora più serrata: sospensione delle attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali. Il resto d’Italia, ancora, quasi non risente delle misure: il provvedimento stabilisce lo stop alle gite scolastiche e la raccomandazione allo smart working.
Ma le cose cambiano in fretta: il 4 marzo è chiaro che la situazione è fuori controllo. Arriva un nuovo dpcm: scuole chiuse in tutta la Penisola (riapriranno solo 9 mesi dopo), e con quelle anche gli stadi. Si stringono le maglie per le visite ai parenti negli ospedali e nelle carceri. Nella notte tra il 7 e l’8 marzo, quando l’indice Rt è stimato addirittura tra 2 e 3 e i contagi (e i decessi) raddoppiano nel giro di tre giorni, arriva il dpcm che prelude il lockdown: per ora si sceglie di chiudere sostanzialmente tutto in Lombardia e in 14 province del Centro-Nord, quelle piu’ flagellate dal virus: Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia, per un totale di 16 milioni di persone.
La fuga di notizie in serata porta all’esodo ormai noto e improvvisato dal Nord al Sud. I Comuni del Bergamasco e del Lodigiano cessano di essere zona rossa, essendolo diventato tutta la regione, decisione successivamente al centro di numerose polemiche (e anche di inchieste). Ma passano solo poche ore: il dpcm del 9 marzo prelude alla chiusura totale, le misure restrittive sono allargate all’intera Penisola, che diventa una gigantesca zona rossa. L’11 marzo e’ il giorno del lockdown. Annunciato da un drammatico discorso di Conte in tv in cui agli italiani è detto che è il momento “di stare lontani per tornare ad abbracciarci in futuro“, il dpcm dal titolo “Io resto a casa” cambia la vita di tutti: non si puo’ uscire se non con la famosa “autocertificazione”, per motivi di lavoro, di salute o per fare la spesa. Tutto il resto è chiuso: negozi, scuole, ristoranti, eventi pubblici di ogni tipo. Le città sono deserte, mentre la corsa dei contagi, nel mesto rito quotidiano del punto stampa in Protezione Civile, non accenna a rallentare. Tra metà e fine marzo è il momento più duro, con la sfilata dei carri dell’Esercito carichi di bare a Bergamo e il Papa che a piedi in una via del Corso spettrale invoca la protezione della Vergine, mentre le vittime sono quasi mille al giorno. Tanto che il 22 marzo arriva una nuova stretta: chiuse anche le attivita’ produttive non essenziali o strategiche. Aperti solo alimentari, farmacie, negozi di generi di prima necessita’ e i servizi essenziali. Nessuno puo’ spostarsi da un Comune all’altro se non per comprovate necessita’.
Il primo aprile arriva un nuovo dpcm: il lockdown prosegue fino al 13 aprile. Il 10 aprile, e anche qui era scontato (sono i giorni del picco di ricoveri in terapia intensiva, oltre 4mila) nuova misura e nuova proroga: il lockdown finirà il 3 maggio. Intanto, finalmente, dal lungo “pianoro” fatto di migliaia di casi e centinaia di morti al giorno si inizia a uscire e inizia la discesa: e’ il momento di provare a ricominciare. Il dpcm del 26 aprile finalmente istituisce la ‘Fase 2’: “Grazie ai sacrifici fin qui fatti – precisa il premier Conte in diretta – stiamo riuscendo a contenere la diffusione della pandemia e questo e’ un grande risultato se consideriamo che nella fase piu’ acuta addirittura ci sono stati dei momenti in cui l’epidemia sembrava sfuggire a ogni controllo”. Ora si puo’ andare a trovare i “congiunti” (con l’infinita querelle su cosa si dovesse intendere con questo termine), andare al parco, dal parrucchiere, negli stabilimenti balneari e fare sport individuale liberamente.
Il 16 maggio nuovo dpcm e nuovo allentamento della stretta: “I risultati epidemiologici sono incoraggianti”, rassicura il premier. Si puo’ uscire liberamente, addio quindi all’autocertificazione. Sono limitati solo gli spostamenti interregionali. Riaprono tutti i negozi, e anche le chiese. E’ il momento della rinascita, che culmina l’11 giugno con un nuovo provvedimento del presidente del Consiglio, che sancisce l’avvio di fatto della ‘Fase 3′: aperti centri estivi per i bambini, sale giochi, sale scommesse, sale bingo, cosi’ come le attivita’ di centri benessere, centri termali, culturali e centri sociali. Riprendono, inoltre, gli spettacoli aperti al pubblico, le sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto, e riparte lo sport professionistico, per ora a livello di allenamenti individuali. Misure che un altro dpcm il 14 luglio proroga fino alla fine del mese, poi fino al 7 settembre e infine fino al 7 ottobre. E’ la fase dell’estate pazza, delle discoteche, del ‘non ce n’è coviddi‘ che tutta Italia saluta con una risata liberatoria. Che dura poco pero’. I casi a settembre iniziano a risalire, tornano a superare quota mille e in poche settimane addirittura quota 10mila, peggio che nella prima ondata. E’ il momento dei nuovi dpcm: il 13 ottobre si inaugura la seconda ondata: le mascherine sono obbligatorie sia all’aperto che al chiuso, tranne ovviamente che a casa propria. E ancora evitare feste, cene con la massimo sei persone, addio al calcetto e teatro e cinema a numero chiuso.
Il 18 ottobre nuova stretta, con la quale i sindaci possono disporre la chiusura di strade e piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, dopo le 21, vieta attività convegnistiche o congressuali, e sagre e fiere di comunita’, consente alle scuole superiori di organizzare attivita’ di didattica a distanza e alle Universita’ di organizzare le proprie attivita’ in base alla situazione epidemiologica del territorio. Ma il virus non aspetta, e i dpcm lo inseguono: il 24 ottobre ne arriva uno ancora piu’ restrittivo: non e’ ancora il lockdown ma e’ abbastanza per assistere a diverse manifestazioni di piazza, anche accese, nelle grandi citta’. Stop a palestre, piscine, centri benessere, teatri, cinema, centri natatori, centri benessere e termali; chiusura dei ristoranti alle 18, incremento della Dad alle superiori e l’invito a non spostarsi, se non per situazioni di necessita’.
Infine, arriva il dpcm numero 19, quello de 3 novembre e quello che stiamo tutti rispettando in questo momento: coprifuoco su tutto il territorio nazionale dalle ore 22.00 alle 5.00 del mattino successivo, Dad obbligatoria nelle scuole superiori, stop ai centri commerciali nei weekend, riduzione del 50% della capienza dei mezzi pubblici. Nasce anche il sistema dei “colori”, con le tre fasce di rischio gialla, arancione e rossa da assegnare settimanalmente alle Regioni in base agli indicatori di monitoraggio. Si sta cercando, come più volte detto dal governo, di evitare un nuovo lockdown nazionale, ma se l’epidemia non rallenta è altamente probabile che la ‘raccolta’ dei decreti diventi più corposa del previsto. Staremo a vedere.