Il 2019 si era chiuso con un problema nettamente preponderante in ambito infettivologico: l’antibiotico-resistenza. È di fatto una pandemia silente e poco conosciuta, ma colpisce ospedali e territorio. La Review on Antimicrobial Resistance ha stimato che nel mondo, nel 2050, le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando ampiamente i decessi per tumore (8,2 milioni), diabete (1,5 milioni) o incidenti stradali (1,2 milioni) con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari. Il Covid ha lasciato in ombra questa come altre tematiche, ma la resistenza dei batteri agli antibiotici non è passata in secondo piano, anzi, proprio il Covid, per vari fattori, a partire dal sovraffollamento degli ospedali, ha provocato un aumento della circolazione dei germi resistenti. Per questo l’antibiotico-resistenza è emersa come una delle principali sfide dell’infettivologia in occasione del XIX Congresso SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, presieduto dal Prof. Pierluigi Viale e dal Dott. Francesco Cristini.
“Durante la pandemia abbiamo notato un aumento di germi multiresistenti soprattutto nei pazienti ricoverati nelle terapie intensive – ha sottolineato il Prof. Pierluigi Viale, Direttore Unità Operativa IRCCS Policlinico Sant’Orsola, Bologna, e Presidente del XIX Congresso SIMIT – Questo incremento ci riporta alla tematica più urgente dell’infettivologia prima della pandemia, i batteri multiresistenti. A metà novembre sono usciti i dati europei del 2019, che ancora non risentono dell’effetto Covid: l’evidenza scientifica illustra che il problema è tendenzialmente stabile per quanto riguarda i pazienti gram negativi, in lieve diminuzione per quanto riguarda lo stafilococco aureo e in aumento per l’enterococco resistente alla vancomicina. I dati sono dunque molto simili al 2018: in Europa vi sono quasi 700mila casi di infezioni di germi multiresistenti ogni anno, con oltre 33mila decessi; una quota rilevante, pari a circa 10-11mila casi avviene in Italia. Il nostro è tra i Paesi in cui il fenomeno è più acuto: una spiegazione razionale di una delle incidenze più alte risiede nel fatto che il nostro Sistema Sanitario è tra i più etici al mondo, senza rinunciare mai a dare una chance a ogni paziente, sebbene ciò implichi un costo in termini di elevata ospedalizzazione e di complicanze infettive. In altri termini, possiamo dire che le resistenze dei germi sono un effetto collaterale di un sistema efficiente”.
Le infezioni nosocomiali come moltiplicatore delle infezioni batteriche
L’impegno da parte degli infettivologi per fronteggiare questa emergenza già dilagante è dunque massimo. “Il Piano Nazionale per la lotta all’antibiotico-resistenza prevede che il sistema sanitario lavori applicando i principi di infection control e di antimicrobial stewardship, ormai condivisi in tutto il mondo, al fine di ridurre l’incidenza di infezioni correlate alla assistenza e di migliorare le strategie di utilizzo degli antibiotici – ha evidenziato Francesco Cristini, Direttore della Unità Operativa Malattie Infettive Ospedale di Rimini e Forlì/Cesena AUSL Romagna e Presidente del XIX Congresso SIMIT – L’antimicrobico-resistenza si combatte utilizzando gli antibiotici in modo corretto e prevenendo le infezioni. Per fare prevenzione si deve partire dalle più elementari buone pratiche assistenziali, come il lavaggio delle mani, visto che le infezioni correlate alla assistenza sono il prototipo delle malattie da contatto. I pazienti ricoverati sono portatori di batteri anche multiresistenti e la continua assistenza che ricevono dai sanitari può diventare veicolo nello spostamento dei germi: il lavaggio delle mani diventa così una barriera nel trasporto dei batteri multiresistenti, che possono provocare infezioni soprattutto sui pazienti più fragili. Poi c’è il versante farmacologico: più antibiotici si usano, più i batteri acquisiscono resistenza, per questo bisogna usarli quando realmente c’è bisogno, ossia quando un’infezione batterica è accertata o clinicamente sospetta, e non come pratica di medicina difensiva. Il tema dell’abuso di antibiotici emerge ogni anno con l’epidemia invernale di influenza e si è proposto anche quest’anno per la Covid-19, che sono infezioni virali e per le quali gli antibiotici non servono in prima battuta, ma solo in pazienti ben selezionati che possono avere una infezione batterica, anche sospetta, concomitante. Gli antibiotici devono poi essere usati con durate di trattamento e dosaggi adeguati, evitando sproporzioni rispetto alle reali necessità”.
Le soluzioni: nuovi antibiotici, coscienza civile, impegno trasversale
Per fronteggiare un’emergenza destinata a diventare una delle principali cause di morte, serve un impegno trasversale, che vada anche oltre il contributo della ricerca scientifica. “Sono in arrivo nuovi antibiotici e la ricerca scientifica presto garantirà ulteriori progressi, ma questo non è sufficiente – spiega il Prof. Viale – Avere nuove molecole significa avere più opportunità, ma i nuovi antibiotici non rappresentano la soluzione a tutti i problemi. È anche necessario che gli enti regolatori diano le giuste incentivazioni a chi investe in questa ricerca, che dal punto di vista aziendale può non essere altamente remunerativa, visto che gli antibiotici sono farmaci che si usano per un lasso di tempo breve rispetto ai farmaci per le malattie croniche. In secondo luogo, realizzare antibiotici che vadano a colpire batteri multiresistenti è difficile, anche perché spesso chi ne è affetto sono pazienti colpiti da diverse comorbosità, quindi difficili da inserire nei trial clinici. Inoltre, parte della soluzione risiede nelle mani di ogni cittadino, che deve usare gli antibiotici con grande attenzione: per anni sono stati impiegati con grande frequenza, ma bisogna tenere a mente che ogni antibiotico non interferisce solo con un agente patogeno, ma con tutto l’organismo del paziente. Serve una forte responsabilizzazione dei prescrittori e una deresponsabilizzazione dei pazienti da abitudini come l’autosomministrazione dei farmaci. Il contrasto all’antibiotico resistenza è dunque una partita di cultura medica, di qualità scientifica ma anche di coscienza civile. È una responsabilità di tutti che coinvolge anche i pazienti e necessita di un endorsement politico”.