Davanti al pallone tutti normali, l’impresa di Crazy for football

Salute. L'impresa di 'Crazy for football', davanti al pallone tutti 'normali'. L'entusiasmo del ct Zanchini: "partiti come Armata Brancaleone, poi riusciti in un miracolo"
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Davanti al pallone ci sono solo giocatori. Una convinzione che ha trasformato la legge 180 (Basaglia) e le sfide sul campo in ‘Crazy for football’: la Nazionale italiana di calcio a 5 formata solo da pazienti psichiatrici, che nel 2018 ha vinto il campionato del Mondo in un torneo giocato a Roma da circa 150 giocatori con problemi di salute mentale, con 9 nazioni rappresentate. Un sogno folle? Non per la Regione Lazio, che guarda all’integrazione con un approccio multidimensionale. “‘Crazy for football’ e’ un progetto importante e proseguira’ con il sostegno della Regione, perche’ sport e sociale camminano di pari passo nelle nostre politiche”, sottolinea Alessandra Troncarelli, assessore alle Politiche Sociali. La nuova frontiera, dunque, diventa “lo sport come strumento straordinario di integrazione e di riscatto sociale”, le fa eco Roberto Tavani, delegato allo Sport del presidente della Regione Lazio, in apertura del webinar Ecos su ‘Lo sport contro il disagio psicosociale: aspetti clinici e relazionali’.

Ma com’e’ nata ‘Crazy for Football’?

“Nel gennaio 2006 eravamo l’armata Brancaleone e nel giro di un mese abbiamo radunato una settantina di ragazzi, pazienti psichiatrici, provenienti dai circoli italiani”, racconta il ct Enrico Zanchini. “Abbiamo scelto i migliori 11 e siamo andati a giocare il mondiale in Giappone, vincendolo. Poi siamo riusciti in un miracolo: organizzare un mondiale e far venire a Roma le nazionali. In squadra abbiamo dei veri e propri giocatori, al di la’ del fatto che siano schizofrenici, depressi e bipolari”.
Depressione, bipolarismo, ansia e non solo. Sono tanti i disturbi mentali che colpiscono ogni anno 870 milioni di persone nel mondo. Lo sa bene Santo Rullo, psichiatra e ideatore di ‘Crazy for football’, e con lui la riabilitazione in Psichiatria e’ partita dal confronto di sacro e profano, salute mentale e calcio: “Da questo connubio nel 2004 nacque la prima squadra composta da persone con problemi di salute mentale, a cui segui’ il documentario per rendere l’esperienza collettiva. In quello stesso anno ‘Newsweek’ dedico’ un articolo allo sport come terapia per la malattia mentale. Articolo poi ripreso anche dalla Figc”. La maglia della Nazionale e’ “sempre stata per noi un simbolo di lotta allo stigma- sottolinea lo psichiatra- grazie alla parte motoria, lo sport di squadra influenza fortemente la funzionalita’ sociale. Questo e’ il nostro assunto di base”, soprattutto perche’ “l’autostigma, che spesso coinvolge le persone con disturbo psichico – precisa lo specialista – ne aumenta anche la sedentarieta’ e l’estraniamento”. Lo sport, tuttavia, non e’ l’unico modo per affrontare la patologia mentale. Il consiglio di Francesca Cirulli, ricercatrice del Centro per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto superiore di sanita’, e’ di “agire sia sulla complementarieta’ degli interventi nel momento della presa in carico, che di individuare la tipologia di sport in base alle diverse patologie, per rendere gli interventi mirati e adattati al singolo individuo”.

Alla base di tutto deve esserci pero’ piu’ cultura e una rete territoriale capace di prevenire e intercettare i disturbi mentali, che spesso emergono in adolescenza. “Questo e’ un momento della vita pieno di opportunita’, ma anche di grande fragilita’, e’ un nervo scoperto della nostra societa’. Lo abbiamo visto in occasione della gestione della Pandemia, chi e’ stato marginalizzato di piu’ sono proprio gli adolescenti. Non bisogna allora creare solo una cultura dello sport, ma anche una cultura della rete che coinvolga la famiglia, la scuola e i servizi”. Su questi ultimi, in particolare sullo stato del patrimonio infrastrutturale, che interviene Andrea Abodi, presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo: “Bisogna pensare a tutte le opportunita’ di frequentazione degli impianti sportivi, considerando le persone nella loro diversa normalita’, agilita’ e abilita’. È fondamentale che la banca abbia nella sua agenda tutto il sostegno possibile per rendere questi luoghi decorosi, ospitali, accessibili e inclusivi. Ci vuole una relazione stabile e nobile con tutte le fasce della diversa socialita’, dal terzo settore sportivo al vertice”. Fortunatamente in questa lotta allo stigma sociale il mondo dell’informazione giochera’ la partita. ‘Crazy for football’ gode, infatti, del sostegno della Rai: “La nostra intenzione e’ aiutarvi, sostenervi e supportarvi. In questo c’e’ la disponibilita’ di tutta l’azienta”, assicura in conclusione Giovanni Parapini, direttore di ‘Rai per il Sociale’. “L’inclusione e’ alla base di tutto per noi. La Rai e’ vicina al progetto della nazionale ‘Crazy for football’, che rientra nel perimetro delle nostre attivita’ e competenze. La nostra intenzione e’ aiutarvi, sostenervi e supportarvi e c’e’ la disponibilita’ di tutta l’azienda”. Lo dichiara Giovanni Parapini, direttore Rai per il sociale, nel corso della diretta Facebook, organizzata dall’associazione Ecos, dal titolo ‘Lo sport contro il disagio psicosociale: aspetti clinici e relazionali’.
Abbracciando in pieno il progetto della nazionale di calcio a 5 ‘Crazy for Football’, il direttore ha evidenziato che “la Rai si e’ dotata da agosto di una nuova direzione ‘Rai per il sociale’, e nella parte ‘Sociale e diritti umani’ rientra il progetto della vostra nazionale. Gia’ oggi- conclude Parapini- e’ possibile vedere, sul sito rai.it, il programma settimanale dedicato al sociale di tutte le reti Rai”.

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