I 10 terremoti noti più violenti nel mondo: dal “Grande Terremoto Cileno” M. 9.5 nel 1960 al sisma del Tibet M. 8.6 del 1950

"Il sisma noto più violento, a livello mondiale, è quello di Valdivia (M = 9,5), che colpì il Cile Meridionale il 22 maggio 1960", spiega l'Ing. Alessandro Martelli
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È passato quasi inosservato il forte terremoto, di magnitudo M = 6,9÷7,0, che, sabato scorso, alle 20:36 locali (le 0:36 di domenica in Italia), ha colpito l’Antartide, con ipocentro ad una profondità di 15÷20 km ed epicentro a 55 km da Elephant Island e 215 km ad est della base cilena Presidente Eduardo Frei Moltalva“, afferma l’Ing. Alessandro Martelli, luminare di fama internazionale ed esperto di sistemi antisismici, già direttore ENEA. “Ciò è dovuto principalmente al fatto che l’area colpita è quasi disabitata (vi sono soltanto stazioni di ricerca, anche di altri vari paesi, a King George Island e Clarence). Infatti, il terremoto (pur se percepito dalla popolazione anche nel sud dell’Argentina e del Cile, in particolare a Ushuaia, a nord di Capo Horn) non ha causato gravi danni, non avendo neppure innescato alcun maremoto significativo (diversamente da quanto le autorità cilene avevano temuto, allarmando la popolazione dell’America Latina e facendo evacuare la loro base Frei e le altre stazioni di ricerca dell’area).

Gli effetti del terremoto del 1908 fra Reggio Calabria e Messina

Però, che cosa sarebbe accaduto se questo terremoto si fosse verificato in un’area ad elevata densità di popolazione, come, ad esempio, l’Italia? La sua magnitudo è stata sì inferiore a quella del sisma di Messina e Reggio Calabria del 28 dicembre 1908 (di magnitudo momento Maw = 7,2), che causò almeno 86.000 vittime, ma è stata paragonabile a quella dell’evento dell’Irpinia del 23 novembre 1980 (di magnitudo momento Mw  = 6,9), che uccise almeno 2.914 persone (ma forse molte di più).

Vale la pena di ricordare che terremoti pure molto più violenti di quello di sabato scorso hanno già colpito, nel mondo, altre aree. In alcune di esse, ben più densamente popolate rispetto all’Antartide, tali eventi hanno causato enormi danni e migliaia di vittime. L’Italia, come ho già avuto modo di sottolineare, di terremoti disastrosi ne ha subiti parecchi, con magnitudo stimate che, in tempi storici hanno raggiunto il valore di M = 7,7 (evento della Val di Noto dell’11 gennaio 1693, che  causò almeno 60.000 vittime). Però sono 22 i terremoti conosciuti ancora più violenti che hanno già colpito altri paesi: per sottolinearne gli effetti (in relazione, soprattutto alla densità di popolazione), vale la pena citarne alcuni (i primi 10 per magnitudo), verificatisi in aree, appunto, più o meno densamente popolate. È da notare che a molti di essi sono seguiti devastanti maremoti, che hanno fortemente contribuito ad aumentare il numero di vittime.

Fig. 1 – Il terremoto di Valdivia (Cile) del 22 maggio 1960, M = 9,5

Il sisma noto più violento, a livello mondiale, è quello di Valdivia (M = 9,5), che colpì il Cile Meridionale il 22 maggio 1960 e che è noto come “Il Grande Terremoto Cileno” (Figura 1). Esso provocò un maremoto con onde alte fino a 25 m, che raggiunsero diverse località dell’Oceano Pacifico, tra cui le Isole Hawaii e pure l’Arcipelago Giapponese. Le vittime furono circa 3.000 vittime e gli sfollati ben 2.000.000.

Al terremoto di Valdivia segue, per violenza, quello di Prince William Sound (M = 9,2)che si verificò in Alaska, in uno stretto di mare circondato da montagne e situato 80 km a sud di Anchorage, il 28 marzo 1964 (Figura 2). Anche questo sisma, oltre a provocare ingenti danni nei centri abitati e più di 100 vittime, causò uno maremoto, che, spingendosi verso sud, raggiunse le coste della California.

Fig. 3 – Il terremoto di Sumatra (Indonesia) del 26 dicembre 2004, M = 9,1

Terzo, per magnitudo, risulta essere il sisma di Sumatra (M = 9,1)con epicentro 160 km a est dell’isola indonesiana, verificatosi il 26 dicembre 2004 (Figura 3). Come è noto, esso innescò un violentissimo maremoto, che investì l’intero Oceano Indiano, seminando morte e distruzione dalle coste africane fino a quelle del sud-est asiatico. Le vittime furono oltre 200.000, i dispersi furono diverse decine di migliaia, ed ingenti, ovunque nelle zone colpite, furono i danni.

Al quarto posto, ma solo per violenza, occorre annoverare il terremoto della Kam?atka (M = 9,0)che colpì questa penisola dell’estremo oriente della Russia (altamente sismica, ma scarsamente popolata) il 4 novembre 1952 (Figura 4). Esso pure provocò un imponente maremoto, che raggiunse diverse località dell’Oceano Pacifico. I danni furono ingenti ma (almeno stando a quanto riportato) non vi furono vittime.

Fig. 5 – Il terremoto di Tohoku (Giappone) dell’11 marzo 2011, M = 8,9÷9,0

Di magnitudo appena inferiore (Mw = 8,9÷9,0) fu il terremoto di T?hoku, avvenuto l’11 marzo 2011, con epicentro a 130 km al largo della costa del Giappone Settentrionale (nella prefettura di Miyagi, a 130 km ad est di Sendai), ed ipocentro a 30 km di profondità (Figura 5). Si trattò del sisma più violento mai registrato nell’area. Durò circa 6 minuti e fu seguito da numerose forti scosse (di magnitudo M = 7,0, 7,4, 7,2, oltre ad una quarantina successive di M > 5). Pure questo terremoto innescò un maremoto, con onde alte fino a 10 m, che si abbatterono sulle coste nord-orientali del Paese ad una velocità di circa 750 km/h. Esse causarono i danni più ingenti, nonché il maggior numero delle quasi 15.900 vittime accertate (i feriti furono oltre 5.300 ed i dispersi risultarono quasi 4.500). La situazione fu ulteriormente aggravata da quanto accadde nella centrale nucleare di Fukushima Dai-chi: infatti, soprattutto a causa del maremoto, fusero i noccioli dei reattori 1, 2 e 3 della centrale (si guastò il sistema di raffreddamento ed avvenne il rilascio  materiali radioattivi).

Fig. 6 – Il terremoto dell’Ecuador e della Columbia del 31 gennaio 1906, M = 8,8

Di magnitudo M = 8,8 fu, poi, il terremoto dell’Ecuador e della Columbia del 31 gennaio 1906, il cui epicentro fu al largo della costa dei due paesi (Figura 6). Esso produsse un maremoto con onde alte oltre 5 m, che causò ingenti danni lungo le coste dei due paesi, radendo al suolo la cittadina di Río Verde (nella provincia di Esmeraldas) e danneggiando gravemente López de Micay (in Colombia). Il maremoto sconvolse anche numerose località di altri paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico e causò la maggior parte delle vittime (da 500 a 1.500, stando alle stime).

Fig. 7 – Terremoto di Maule (Cile) del 27 febbraio 2010, M = 8,8

Della stessa magnitudo M = 8,8 fu anche il terremoto di Maule (Cile) del 27 febbraio 2010 (Figura 7). L’epicentro fu al largo della costa, a circa 115 km a nord-est di Concepción, la seconda città cilena per abitanti. L’evento provocò danni in numerose città del Paese, con crolli di edifici nella stessa capitale, Santiago del Cile. La scossa fu avvertita distintamente anche in Argentina, fino a Buenos Aires. Le vittime accertate furono oltre 450 e circa 2.000.000 furono gli sfollati.

Fig. 8 – Il terremoto di Sumatra (Indonesia) del 28 marzo 2005, M = 8,7

Con epicentro a 200 km a nord dalle coste dell’isola di Sumatra (Indonesia),  il 28 marzo 2005 (cioè a breve distanza di tempo dai già citati disastrosi terremoto e maremoto del 2004), si verificò un secondo sisma violentissimo (M = 8,7, Figura 8). Le vittime accertate furono circa 1.300 (ma potrebbero esser state molto di più), in massima parte abitanti dell’isola occidentale di Nias.

Di pari magnitudo (M = 8,7) fu il terremoto delle Isole Rat (Alaska) del 4 febbraio 1965 (Figura 9). Tali isole sono situate in una zona fortemente sismica, ma non sono abitate. Pertanto, il terremoto, pur avendo provocato un maremoto con onde alte fino a 10 metri, non provocò né vittime, né danni ingenti.

Fig. 10 – Il terremoto di Assam (India) e del Tibet del 15 agosto 1950, M = 8,6

Terminiamo questa rassegna dei 10 terremoti noti più violenti, a livello mondiale, ricordando il terremoto di Assam e del Tibet del 15 agosto 1950 (M = 8,6, Figura 10). Tale evento, con epicentro nei pressi di Rima (Tibet), devastò sia il Tibet che la regione di Assam, nel nord dell’India. Molte furono le distruzioni nei centri abitati ed oltre 1.500 le vittime.

Da quanto sopra riassunto risulta evidente che, oltre alla violenza (cioè, alla magnitudo) del terremoto, sui suoi effetti (in termini sia di vittime che di danni) incidono in modo determinante anche altri fattori: non solo l’eventuale innesco di un maremoto, ma pure la densità della popolazione nell’area colpita e le tecniche di costruzione ivi utilizzate. In Giappone, ad esempio, grazie all’ampio uso di efficaci tecnologie antisismiche, in occasione del terremoto di Tohoku del 2011 non fu la pur violentissima scossa dell’11 marzo a provocare tante vittime e tanta distruzione, bensì il devastante maremoto da essa innescato (così come già era accaduto in occasione degli eventi di Sumatra del 2004). Circa poi l’importanza della densità della popolazione e delle tecniche costruttive utilizzare, basti poi notare che il terremoto che risulta aver causato il maggior numero di vittime è stato, sino ad ora, quello che colpì Haiti il 12 gennaio  2010 (Mw = 7,0). Infatti, tale evento, sebbene sia stato di magnitudo nettamente inferiore rispetto a quelli prima menzionati, causò quasi 300.000 morti (stimati), 300.000 feriti e circa 1.000.000 di sfollati. Tutto ciò in un piccolo Stato.

Leggendo quanto ho sopra ricordato dovrebbe risultare evidente a tutti la necessità e l’urgenza di attivare corrette politiche di prevenzione sismica anche in Italia, così come si fa, ad esempio, in Giappone: rispetto a questo Paese i terremoti che ci hanno colpito sino ad ora sono meno violenti, ma la densità di popolazione è elevata anche in tante aree italiane ad elevato rischio sismico e le tecniche costruttive antisismiche da noi adottate sono ancora, troppo frequentemente (anche se non sempre), assai meno efficaci di quelle (invece largamente) utilizzate in Giappone”, conclude Martelli.

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