“Le challenge sono delle sfide che si lanciano in rete e che attirano soprattutto i più piccoli. Spesso vengono inviate attraverso le chat o viste nelle piattaforme online. Sono ormai presenti da anni in rete e ciclicamente si rigenerano. Di ‘blackout challenge’ per esempio se ne parlava già nel 2012“. Lo ha spiegato ad Adnkronos la psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Maura Manca parlando del gioco estremo su TikTok, che sarebbe stato fatale per una bambina di 10 anni di Palermo (Morire a dieci anni per una challenge: una sfida estrema su Tik Tok è finita in tragedia per una bimba di Palermo).
Il gioco, come altri simili di questo tipo, non è una novità. Si tratta di prove che oggi si concentrano per lo più su TikTok, “perché è la piattaforma più scaricata al mondo, qualche anno fa erano su YouTube”, ricorda la psicologa. Attenzione, “non vanno sottovalutate neanche le chat di messaggistica come WhatsApp attraverso le quali i bambini si mandano tantissimi contenuti non idonei per i minori”, aggiunge. “Purtroppo all’interno di queste piattaforme, soprattutto su TikTok, navigano troppi bambini che possono entrare in contatto anche con contenuti che non sono in grado di filtrare e di valutare in maniera critica. Il fatto che sappiano usare uno smartphone non significa che abbiano la consapevolezza di quello che stanno facendo – sottolinea Manca -. Non hanno ancora sviluppato la capacità di discernimento, non hanno un senso del limite e rischiano di imitare qualcosa e di non essere in grado di percepirne la reale pericolosità o di capire quando non ci si deve spingere oltre. Per questo non devono accedere ai social network da soli, nonostante poi il limite di età sia 13 anni. Per loro è divertente, fanno parte di una comunità e quando ci si diverte si abbassa il livello di percezione del pericolo”.
I genitori non devono dunque abbassare la guardia e soprattutto “non sottovalutare i potenziali rischi“. Se non conoscono tali sfide in rete, “difficile intervenire prima”, precisa la psicologa. “Pensano erroneamente, e anche ingenuamente, che al proprio figlio non possano accadere cose così terribili. Mai abbassare la guardia, bisogna essere sempre informati sulle mode del momento – esorta Manca -. Oggi i bambini sono bombardati e il rischio potenziale è molto alto. Per questo motivo vanno educati fin da bambini con dei limiti importanti nella navigazione, un monitoraggio continuo delle loro azioni e un’analisi dei contenuti, per portarli a sviluppare una consapevolezza digitale“. Quanto ai social, l’esperta osserva che “per una piattaforma online è impossibile riuscire a bloccare tutti i contenuti potenzialmente pericolosi, per quanto soprattutto TikTok sia attentissimo soprattutto ai minori”.
L’esperto: è un caso mostruoso ma non demonizzare il web
Il caso della bimba di Palermo rimasta soffocata durante un ‘challenge game’ “è mostruoso” ma “il digitale è solo uno strumento ed è più evolutivo e utile che patologico”. Così all’AGI Federico Tonioni, direttore del Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma. “Quello che ha sollecitato questa povera bambina e’ il tipo di gioco in cui si alza sempre di piu’ l’asticella della sfida e si sconfina in gesti perversi di autolesionismo. A 10 anni non si ha il senso del limite, ma chi incappa in questo gioco spesso sente il bisogno di sentirsi piu’ amato“. Lo psicoterapeuta non esclude che la piccola Antonella possa essere stata attratta da questo gioco “per noia legata alle restrizioni per la pandemia. In generale, si registra un forte aumento di casi di autolesionismo in questa seconda ondata. Lo dimostra anche l’allarme lanciato pochi giorni fa dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù“.
Tonioni assicura che non è aumentata la dipendenza da internet, anzi: “I ragazzi vogliono uscire“. Ciò che emerge sempre di piu’ “e’ una cappa di depressione e tristezza”. Lo psicoterapeuta non condanna i social ne’ il web che “soprattutto in questo periodo di lockdown o quasi sono l’unico mezzo con cui noi e i nostri figli possiamo mantenere i contatti e sentirci meno soli. E’ ovvio che parlarsi dal vivo e’ diverso, e che questa impossibilita’ di continuare a strutturare le relazioni in persona e’ motivo di sofferenza”.
Tonioni mette, dunque, in guardia da due pericoli che i genitori devono assolutamente evitare: “La rabbia e la noia”. “Anche quando diamo regole – continua – non bisogna mai farlo per averla vinta sui figli, ma per avviare una trattativa. Trattativa che finisce nel punto reciproco di massimo sforzo. Finisce in un compromesso che fa crescere anche l’adulto“. Spesso – prosegue – sento diktat assurdi, come “non ti alzi da tavola finché non hai finito“. Ma a cosa serve? Perché un bambino quel giorno non puo’ avere meno fame?”. Per Tonioni l’errore piu’ grave e’ quello di reprimere i figli: “Un bimbo che dice no o che dice una bugia e’ uno che si fida dell’amore dei genitori e che sa che puo’ trasgredire. I bimbi piccoli sono tiranni, hanno diritto a pretendere che il mondo giri intorno a loro, li fa sentire amati”.
Non si tratta di vivere senza regole, precisa lo psicoterapeuta: “Proviamo a dire di no e osserviamo cosa succede dall’altra parte. Se un no scatena una tragedia deve partire la trattativa. L’amore si vede anche nella fatica di dire di si’“. Se non si accettano i figli come sono, se non si impara a conoscere anche la loro personalita’, si genera scarsa autostima e frustrazione. “Ho molti ragazzi in cura che si sentono frustrati per aver deluso le aspettative dei genitori e sfogano la rabbia attraverso i giochi sparatutto”. Quanto alla noia, Tonioni avverte: “Un bambino troppo buono, che non fa mai danni, non fa mai preoccupare”, non supera mai limiti, non e’ spontaneo e spesso “si annoia”. Sono problemi che in adolescenza possono sfociare nel ritiro sociale”. Il riferimento e’ a quelli che vengono indicati con il termine giapponese hikikomori. “Questi ragazzi non hanno rapporti sociali, non hanno profili social, si chiudono in camera tutto il giorno e se stanno al pc giocano da soli”.