Orso M49, il Consiglio di stato boccia il ricorso degli animalisti: l’animale resta nella prigione del Casteller

Il consiglio di Stato respinge il ricorso ma i giudici richiamano la Provincia Autonoma di Trento: “non garantirgli un habitat naturale significa maltrattarlo e renderlo più aggressivo”
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L’orso M49 resta in prigione. Oggi, 19 gennaio, è stata depositata la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso in appello promosso da LNDC Animal Protection avverso la sentenza dello scorso maggio del TAR di Trento. Per il Consiglio di Stato, la Provincia Autonoma di Trento (PAT) ha legittimamente utilizzato la procedura d’urgenza per ordinare la cattura e la  captivazione permanente dell’orso M49, nonostante il parere contrario espresso a più riprese dall’ISPRA e dal Ministero dell’Ambiente. Nella stessa sentenza, il Consiglio di Stato ha però ammonito la PAT: “Deve assicurare all’esemplare posto in captivazione un habitat il più vicino possibile a quello naturale, per non costringere tale esemplare a vivere in uno stato di abbrutimento”.

“Merita di essere sottolineato il passaggio – commentano gli avvocati Michele Pezone – Responsabile Diritti Animali LNDC e Paolo Letrari, che hanno seguito la vicenda giudiziaria – in cui lo stesso Consiglio di Stato, per contenere la portata negativa di questa decisione, afferma che il fatto che il provvedimento urgente sia stato in questo caso ritenuto legittimo non significa che in generale la PAT possa procedere con atti di tal genere, che eludono la procedura normativa che impone il parere favorevole preventivo del Ministero dell’Ambiente”.

“Spiace dover rilevare – proseguono gli avvocati Pezone e Letrari – che il Consiglio di Stato non abbia accolto le argomentazioni che evidenziavano l’illegittimità, proprio nel caso specifico, della procedura d’urgenza seguita in assenza di un pericolo concreto. Parimenti non è stata accolta la tesi prospettata dalla difesa della LNDC secondo cui, con la reiterazione seriale delle cosiddette ordinanze contingibili e urgenti (a partire dal 2012 e prima ancora del caso tristemente noto di Daniza), la Provincia Autonoma di Trento ha di fatto attuato “autonomamente” una politica di controllo degli orsi sul proprio territorio in violazione dell’art. 117 della Costituzione, in relazione ai principi fissati dagli artt. 12 e 16 della Direttiva Habitat, come interpretati dalla recente sentenza della Corte di Giustizia UE n. Sentenza del 10 ottobre 2019, che ha stabilito che: “sebbene l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva «Habitat» autorizzi gli Stati membri a derogare alle disposizioni dei suoi articoli da 12 a 14 nonché del suo articolo 15, lettere a) e b), una deroga adottata su tale base è subordinata, nei limiti in cui consente a detti Stati membri di sottrarsi agli obblighi inerenti al regime di rigorosa tutela delle specie naturali, alla condizione che non esista un’altra soluzione valida e che tale deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni delle specie interessate nella loro area di ripartizione naturale”.

Questo passaggio è estremamente significativo. In Trentino, infatti, le rimozioni dei singoli esemplari per supposti motivi di “sicurezza pubblica” possono avvenire a prescindere da ogni seria e obbiettiva valutazione del danno globale portato allo stato di conservazione della colonia ursina che si è voluto reintrodurre nell’habitat alpino italiano.E c’è di più. Con amarezza, LNDC fa notare l’incidentale richiamo fatto in sentenza alla necessità di evitare che gli orsi catturati vengano detenuti in condizioni di disagio e sofferenza come quelle che sono state riscontrate presso la struttura del Casteller e a cui, a tutt’oggi, non è stato posto alcun rimedio. Scrivono infatti i giudici del Consiglio di Stato: Preme peraltro al Collegio evidenziare, prima di concludere, che la possibilità ex lege riconosciuta al Presidente della Provincia di catturare e tenere in captivazione permanente specie protette non esonera lo stesso dall’assicurare all’esemplare posto in captivazione un habitat il più vicino possibile a quello naturale, per non costringere tale esemplare a vivere in uno stato di abbrutimento che, oltre a sostanziarsi in forme di maltrattamento, finisce per rendere ancora più aggressivo il plantigrado”.

La LNDC, preso atto di questa pronuncia del Consiglio di Stato, lungi dal condividerne le motivazioni, ha dato incarico ai suoi legali Michele Pezone e Paolo Letrari di valutare la possibilità di portare il caso avanti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

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