Sebbene l’area complessiva toccata dagli incendi su scala globale sia rimasta relativamente statica nell’ultimo ventennio, il fenomeno interessa sempre piu’ le foreste e meno le praterie. Una nuova ricerca, condotta dal Guardian e basata sui dati delle aree bruciate contenuti nel database globale delle emissioni di incendio (Global Fire Emissions Database) e della NASA, svela che, come conseguenza dei cambiamenti climatici ma non solo, gli incendi si spostano in modo preoccupante verso nuovi ecosistemi non colpiti in precedenza, distruggendo i polmoni verdi e producendo inquinamento atmosferico. L’analisi è stata condotta in collaborazione con il professore Michael Humber dell’Universita’ del Maryland e la School of Earth and Environmental Sciences dell’Universita’ di Cardiff.
Tra i fattori che contribuiscono a questi cambiamenti, gli esperti individuano il riscaldamento globale, che sta creando le condizioni di una vera e propria polveriera nelle foreste, e la conversione della terra, che sta trasformando le praterie in campi agricoli, agglomerati urbani e strade. Le cause e le conseguenze sono ancora in fase di studio, ma gli scienziati temono che questo spostamento immetta piu’ anidride carbonica nell’atmosfera dalle foreste, erodendo nel contempo la bio-vitalita’ unica delle praterie, che sono piu’ adatte al fuoco. “Dall’inizio degli anni 2000, stiamo assistendo a un calo degli incendi nei prati, che dominano i numeri globali. Allo stesso tempo, c’e’ un aumento di alcuni focolai davvero preoccupanti ed estesi, come gli Stati Uniti occidentali, che diversi studi hanno collegato al cambiamento climatico“, ha riferito Niels Andela, esperto di telerilevamento all’Universita’ di Cardiff.
Se il fenomeno non e’ ancora ben visibile ovunque, alcune parti del mondo, come Australia, California, foresta amazzonica ed Europa meridionale, sono le più colpite. In Australia lo scorso anno la stagione degli incendi e’ stata eccezionale a causa della posizione dei focolai piu’ che per il numero di chilometri quadrati bruciati. L’area interessata ha registrato un calo, ma la nuvola di fumo e’ stata tre volte piu’ grande. Gli scienziati hanno descritto il fenomeno come “un nuovo punto di riferimento sull’entita’ delle perturbazioni stratosferiche“. Solitamente in Australia i grandi incendi vengono lasciati a diffondersi nelle regioni settentrionali e occidentali scarsamente popolate. Ma nella stagione degli incendi 2019-20, hanno coinvolto il popoloso Sud-Est, consumando foreste che non erano abituate ad incendi di questa portata. Le aree piu’ danneggiate sono state quelle della penisola di Cape York, nel Queensland, le foreste nei pressi di Sydney, Canberra e Melbourne nel Nuovo Galles del Sud e la Tasmania. Gli incendi hanno provocato la scomparsa di 3 miliardi di animali secondo il WWF e sono dipese dalle temperature record e due anni di siccita’ in molte zone del Sud-Est. Un tale scenario “purtroppo e’ destinato a continuare, con temperature sempre piu’ alte e periodi di siccita’ sempre piu’ lunghi che renderanno i combustibili sempre piu’ secchi e maggiormente in grado di bruciare rapidamente“, ha avvertito Pep Canadell, capo ricercatore al Climate Science Center presso la Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation in Australia.
Per quanto riguarda la California, “la coincidenza di un aumento del materiale combustibile con un clima piu’ caldo e piu’ secco ha certamente contribuito al notevole aumento dell’area boschiva bruciata in alcune parti degli Stati Uniti occidentali”, ha detto John Abatzoglou, professore all’Universita’ della California. “L’acqua sta diventando piu’ scarsa e le foreste si stanno prosciugando piu’ regolarmente durante la primavera, l’estate e l’autunno. Le foreste stanno essenzialmente diventando polveriere di ricchi combustibili, pronte a bruciare piu’ spesso a causa del cambiamento climatico“, ha riferito Matthew W Jones, ricercatore senior presso il Tyndall Center for Climate Change Research dell’Universita’ dell’Anglia orientale.
Dal 2019, sono aumentati gli incendi anche nell’Amazzonia brasiliana, nello Stato del Para’. Il fenomeno e’ legato da un lato alla deforestazione, che usa il fuoco per ripulire il terreno dagli alberi abbattuti; ma anche alle esigenze degli allevatori che incendiano i pascoli per mantenerli sgombri e fertili e infine a quelle degli agricoltori, che usano le fiamme per rinfrescare i terreni. “Il cambiamento climatico ha reso la foresta pluviale amazzonica piu’ secca in alcuni luoghi e molto piu’ calda. Cio’ rende piu’ difficile per la foresta agire da cuscinetto contro il fuoco, diventando invece piu’ vulnerabile“, ha spiegato Erika Berenguer, ricercatrice all’Universita’ di Oxford e Lancaster.
L’essiccazione delle foreste legata al cambiamento climatico ha anche contribuito all’aumento degli incendi nei paesi dell’Europa meridionale, come il Portogallo, in particolare le aree rurali di Agueda, Macao e Braganca. “Il clima mediterraneo ha sempre prodotto incendi nella stagione secca, ma ora questa si sta prolungando. D’altra parte, la vegetazione e i cambiamenti demografici nelle aree rurali contribuiscono alla loro gravita’ e localizzazione“, secondo Jacquelyn Chase, della California State University.