Coronavirus, analisi sui dati ufficiali di mortalità dell’Istat: le reali anomalie del 2020

Coronavirus, statistiche e riflessioni sui dati ufficiali forniti dall'Istat sui morti del 2020
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Circa i numeri in termini di morti della pandemia 2020, non siamo molto lontani da quelli stimati in altre considerazioni da questa redazione. L’Istat sancisce definitivamente, proprio oggi, che le morti complessive in Italia, per tutte le cause, sono state nel 2020 oltre 700.000. Nel 2015 ne sono state 653.000, quasi 650.000 nel 2017 e quest’anno 720.000 circa. Si consideri che nel periodo precedente il 2015, il numero di morti medio oscillava tra i 550.000 e i  600.000. Dunque, nei 6 anni dal 2015 al 2020, vi è stato un incremento di morti rispetto ai 6 anni 2010/2015, di oltre 100.000 in più. In precedenti nostre osservazioni, abbiamo ampiamente addotte le motivazioni di questo incremento di morti negli ultimi 5/6 anni, naturalmente come in Italia, così nel resto del mondo, a nostro giudizio attribuibili essenzialmente al cambiamento climatico, in termini di esasperazione più calda, con deterioramento dei bassi strati per maggiore umidità e mitezza invernale, più pressanti alte pressioni nel semestre freddo, più nociva concentrazione di materiali inquinanti nei bassi strati e anche più aggressiva azione di patogeni stagionali. Per di più, avevamo anche considerato una morbosità-mortalità in crescendo via via che il ciclo caldo avesse avuto una maggiore influenza e persistenza. In quest’anno 2020, il più caldo di sempre da quando esistono le osservazioni, l’Istat stabilisce che le morti sono state circa 84.000 in più rispetto al quinquennio 2015/2019. Sulla popolazione intera italiana saremmo sullo 0,14% di morti in più rispetto alla media, un dato da attenzionare ma, di per sé, non particolarmente grave. E’ come se in un comune di 2000 abitanti, fossero morte 2/3 persone in più rispetto alla media, evenienza compatibile con una stagione caratterizzata da patogeni un po’ più aggressivi, ma non certo da “peste nera”.  Tuttavia, l’Istat stesso afferma che non si hanno elementi per attribuire gli 84.000 morti in più direttamente al covid, per i criteri abbastanza confusi adottati ai fini della classificazione morti covid: sostanzialmente è poco chiaro se una morte sia stata causata direttamente dal covid o da altre patologie pregresse, presenti prima del covid. Né, d’altro canto, tornano i conti tra le percentuali di terapia intensiva sui positivi e i morti, presumendo che la maggior parte dei morti abbia riguardato le persone più gravi, appunto in terapia intensiva. Nella prima ondata, fino a maggio, era stato calcolato più o meno un 4/5% di terapie intensive rispetto ai positivi e, ammesso che fossero morte tutte le persone in terapia intensiva, ( ipotesi comunque piuttosto improbabile) i decessi complessivi entro maggio avrebbero dovuto raggiungere 30/35.000 casi, come effettivamente sono stati dichiarati, a fronte di circa 650.000 positivi. Però, il dato delle terapie intensive nella seconda ondata, fine ottobre, novembre-dicembre, si è attestato intorno allo 0,5/1% a fronte di un aumento considerevole dei positivi, fino a 2 milioni e mezzo. Se anche fossero morte tutte le persone in terapia intensiva nella seconda ondata, a un tasso di 1% su 2 milioni di persone nuove positive, al più si sarebbero dovuto avere 20.000 morti in più. Stando, quindi, alle percentuali medie di terapia intensiva rispetto al numero dei positivi, i morti complessivi finali dovrebbero essere intorno ai 50.000/55.000 e non oltre. Il dato di 84.000 morti in eccesso può essere concreto, ma decisamente irreale se lo si attribuisce direttamente al covid. Sicché molti organi di analisi e osservazione, sono stati indotti a considerare che almeno 30/34.000 persone siano morte per cause indirette rispetto al covid, ma non per concausa covid, ossia non perché il covid sia andato ad esasperare malattie pregresse e abbia ucciso le persone che avevano queste malattie pregresse, piuttosto perché questi malati di altre malattie sono stati sistematicamente trascurati, a causa dell’emergenza covid. Nella sostanza, si stima che siano morte 30/34.000 persone almeno, malate di tumore, diabete, malattie cardiache e quant’altro,  perché non curate in ospedali i quali erano saturi e tutti presi dall’emergenza covid. In più si calcola che molti infarti o molte urgenze legate a malattie pregresse, abbiano avuto esito fatale poiché chi ne è stato colpito ha ovviato o evitato di recarsi in ospedale per paura di contagiarsi di covid negli ambienti ospedalieri.

Insomma, di queste 84.000 morti in eccesso quasi la metà sarebbero state dovute a cause di negligenza sanitaria -ospedaliera, legate alla paura e di contorno al covid. Queste analisi, assolutamente realistiche, spiegherebbero anche il numero eccessivo, fuori ogni portata, di morti italiane, rispetto all’incidenza covid sugli altri paesi. Non sarebbero poi escluse anche conteggi volutamente esagerati nel numero di positivi e magari anche di morti, evidentemente morti per altra causa, come molte registrazioni di dialoghi tra funzionari delle innumerevoli Asl in giro per l’Italia hanno evidenziato, al fine di rientrare nei parametri per beneficiare di sussidi finanziari specificamente covid, e questa sarebbe una tipicità tutta italiana, tutt’altro che impossibile. Alla fine di queste considerazioni, rimane inconfutabile il dato di un anno particolarmente morboso. Certamente morti in più rispetto alla media quinquennale, ma in maniera non esagerata e, piuttosto, compatibile con un cambiamento climatico che sta interessando l’intero pianeta da cinque anni a questa parte. Non riteniamo numeri compatibili, questi del 2020, invece, con un vero virus killer la cui portata in termini di morti finali e la cui incidenza in tasso di letalità sui positivi (come dimostrano altri casi storici in cui vi è stata la vera azione di “virus Killer” come la Spagnola e il Vaiolo) hanno inciso in maniera decisamente più pesante con percentuali del 20/30% di letalità. A validare ancora di più il criterio climatico-ambientale alla base delle morti in più di quest’anno e negli ultimi 5,  è la territorialità delle morti: in Italia, ad esempio, il 60% e oltre di tutte le morti in più è concentrato su quattro regioni del Nord, guarda caso lì dove più esasperata e impattante è l’azione ciclica calda, umida, stagnante degli anticicloni invernali e dove vi è il più alto tasso europeo di concentrazione di inquinanti. Queste sono considerazioni per dati di fatto e non per sensazionalismi. Siamo, infine, consci che su un chiaro problema di natura climatica ambientale, si siano innestati molti opportunismi di natura geopolitica, nonché anche speculazioni economiche in termini di cura e forniture sanitarie. Si spera che almeno si provveda a rinforzare di fatto le strutture e il personale sanitario e a pianificare metodologie di intervento compatibili con impatto climatico-ambientale e non tanto con azione virale killer, quindi con diversi criteri di intervento, poiché il problema potrebbe persistere o ripresentarsi negli anni futuri e ciò anche a prescindere dalle vaccinazioni, stante un trend climatico caldo che potrebbe durare ancora qualche anno, si spera il meno possibile.

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