Nuova atmosfera per un pianeta roccioso: scoperte le prime prove di rigenerazione grazie all’attività vulcanica

Nuove osservazioni di Hubble hanno svelato una seconda atmosfera che ha sostituito la prima atmosfera del pianeta GJ 1132 B
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Per la prima volta, gli scienziati hanno trovato evidenze di attività vulcanica che rigenera l’atmosfera di un pianeta roccioso intorno ad una stella lontana. Il pianeta GJ 1132 b ha una densità, un’età e dimensioni simili a quelle della Terra e sembra aver iniziato la sua vita come un mondo gassoso con una spessa atmosfera. Avendo all’inizio un raggio pari a diverse volte quello della Terra, questo pianeta cosiddetto sub-nettuniano ha perso velocemente l’idrogeno e l’elio primordiali della sua atmosfera, eliminata dall’intensa radiazione proveniente dalla sua giovane e calda stella. In un breve periodo di tempo, il pianeta è stato ridotto ad un nucleo spoglio più o meno delle dimensioni della Terra.

Per la sorpresa degli astronomi, nuove osservazioni di Hubble hanno svelato una seconda atmosfera che ha sostituito la prima atmosfera del pianeta. È ricca di idrogeno, acido cianidrico, metano e ammonio e ha anche una foschia di idrocarburi. Gli astronomi ipotizzano che l’idrogeno dell’atmosfera originale sia stato assorbito nel mantello di magna fuso del pianeta e che ora venga lentamente rilasciato dal vulcanismo per formare una nuova atmosfera. Questa seconda atmosfera, che continua a perdersi nello spazio, è continuamente alimentata dalla riserva di idrogeno nel magma del mantello.

Pictured here is the region around the host star of the exoplanet GJ 1132 b.

Questa seconda atmosfera è una finestra nella geologia di un altro mondo”, afferma Paul Rimmer (Università di Cambridge e membro del team dietro la scoperta), che attribuisce a questa finestra una “grande importanza”. “All’inizio pensavamo che questi pianeti altamente irradiati fossero abbastanza noiosi perché credevamo che perdessero le loro atmosfere. Ma abbiamo analizzato le osservazioni esistenti di questo pianeta con Hubble e ci siamo resi conto che c’è un’atmosfera lì”, spiega Raissa Estrela, del Jet Propulsion Laboratory al California Institute of Technology di Pasadena, tra i membri del team.

Quanti pianeti terrestri non iniziano come terrestri? Alcuni potrebbero iniziare come sub-nettuniani e diventare terrestri attraverso un meccanismo in cui la luce fa evaporare l’atmosfera primordiale. Questo processo funziona all’inizio della vita di un pianeta, quando la stella è più calda. Poi la stella si raffredda e il pianeta rimane lì. Quindi si ha questo meccanismo che può far evaporare l’atmosfera nei primi 100 milioni di anni e poi le cose si calmano. E se si può rigenerare l’atmosfera, forse è possibile mantenerla”, spiega Mark Swain, del Jet Propulsion Laboratory e leader del team.

esopianetaIn qualche modo, GJ 1132 b ha diversi parallelismi con la Terra, ma per altri versi è anche molto differente. Entrambi hanno densità, dimensioni ed età simili, avendo circa 4,5 miliardi di anni. Entrambi hanno iniziato con un’atmosfera dominata dall’idrogeno ed entrambi erano caldi prima di raffreddarsi. Il lavoro del team suggerisce persino che GJ 1132 b e la Terra abbiano una simile pressione atmosferica in superficie. Tuttavia, le storie della formazione dei due pianeti sono profondamente diverse. Non si ritiene che la Terra sia il nucleo sopravvissuto di un sub-nettuniano e la Terra orbita ad una distanza confortevole dalla nostra nana gialla, il sole. GJ 1132 b, invece, è così vicino alla sua nana rossa che completa un’orbita intorno ad essa ogni giorno e mezzo. Questa vicinanza estrema mantiene GJ 1132 b in rotazione sincrona, cioè mostrando sempre la stessa faccia alla sua stella, proprio come la nostra luna fa con la Terra.

La domanda è: cosa mantiene il mantello abbastanza caldo da restare liquido e alimentare il vulcanismo? Questo sistema è speciale perché ha l’opportunità di un bel po’ di riscaldamento mareale, spiega Swain. Il fenomeno del riscaldamento mareale si verifica attraverso l’attrito, quando l’energia dall’orbita e dalla rotazione di un pianeta viene dispersa come calore all’interno del pianeta stesso. GJ 1132 b si trova su un’orbita ellittica e le forze mareali che agiscono su di esso sono più forti quanto è nel punto più vicino o più lontano dalla sua stella madre. Almeno un altro pianeta nel sistema sella stella madre esercita un’attrazione gravitazionale sul pianeta. Le conseguenze sono che il pianeta viene schiacciato o allungato da questo pompaggio gravitazionale. Quel riscaldamento mareale mantiene il mantello liquido a lungo. Un vicino esempio nel nostro sistema solare è Io, luna di Giove, che ha un vulcanismo continuo come conseguenza di un braccio di ferro mareale tra Giove e le vicine lune gioviane.

Crediti: RenderArea

Il team crede che la crosta di GJ 1132 b sia estremamente sottile, forse spessa solo poche decine-centinaia di metri, troppo debole per supportare qualcosa che somigli a delle montagne vulcaniche. Il suo terreno pianeggiante potrebbe anche essere fratturato come un guscio d’uovo dalle forze di marea e attraverso tali fratture potrebbero essere rilasciati idrogeno e altri gas.

Questa atmosfera, se è sottile – intendendo, se ha una pressione superficiale simile alla Terra – probabilmente significa che si può vedere fino al suolo a lunghezze d’onda a infrarossi. Questo significa che se gli astronomi utilizzano il James Webb Space Telescope per osservare questo pianeta, c’è la possibilità che vedranno non lo spettro dell’atmosfera, ma lo spettro della superficie. E se ci fossero bacini di magma o vulcanismo in atto, queste aree sarebbero più calde. Questo genererebbe più emissioni e quindi potenzialmente si analizzerebbe la reale attività geologica, il che è emozionante!”, spiega Swain. “Questi risultati sono importanti perché danno agli scienziati degli esopianeti un modo per comprendere la geologia di un pianeta dalla sua atmosfera. Sono importanti anche per comprendere dove si inseriscono i pianeti rocciosi del nostro sistema solare – Mercurio, Venere, Terra e Mare – nel quadro complessivo della planetologia comparativa, in termini di disponibilità di idrogeno rispetto all’ossigeno nell’atmosfera”, conclude Rimmer.

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