Lo spazio provoca alterazioni nel corpo umano a livello cellulare e organico. Un’ulteriore conferma degli effetti fisici derivanti dalla permanenza nello spazio è arrivata da uno studio condotto dagli scienziati dell’Universita’ del Texas Southwestern sull’astronauta Scott Kelly. Kelly, ormai in pensione, ha vissuto quasi un anno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), per la precisione 340 giorni.
Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Circulation, il cuore dell’astronauta si e’ ridotto di circa 0,74 grammi in media a settimana, nonostante le regolari sessioni di esercizio. I risultati, precisano gli autori, sono paragonabili a quelli riscontrati in Benoit Lecomte, un nuotatore di lunga distanza che ha trascorso quasi sei mesi cercando di attraversare l’Oceano Pacifico. “Nonostante il restringimento – spiega Benjamin Levine, docente di Medicina interna presso l’Universita’ del Texas Southwestern, fondatore e direttore dell’Institute for Exercise and Environmental Medicine (IEEM) presso il Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas – il cuore dell’astronauta si e’ adattato relativamente bene, la funzione cardiaca non risultava compromessa. Credo che questo sia incoraggiante per il volo spaziale di lunga durata”. L’alterazione delle dimensioni dell’organo cardiaco si osserva anche tra pazienti sottoposti a riposo rigoroso, e tendono a stabilizzarsi nel tempo.
Nell’ambito di un altro progetto, l’autore ha esaminato la struttura e la funzione del cuore in 13 astronauti che hanno trascorso sei mesi sulla ISS, rilevando che l’adattamento cardiaco allo spazio variava singolarmente, con le persone meno in forma che tendevano a guadagnare massa muscolare. “Abbiamo scoperto – aggiunge l’esperto – che l’adattamento cardiaco dipendeva fortemente dal lavoro che l’organo compiva nello spazio in relazione a quanto avveniva sulla Terra“.
“Sono rimasto sorpreso dalla perdita di massa muscolare registrata in Lecomte piu’ della diminuzione osservata in Kelly – commenta il ricercatore – il nuotatore ha perso una media di 0,72 grammi a settimana, ma il nuoto di resistenza non rappresenta un esercizio ad alta intensita’, e Lecomte nuotava mediamente sei ore ogni giorno, piu’ del triplo dell’attivita’ svolta dall’astronauta”. “Saranno necessari ulteriori studi – conclude – per valutare appieno questi effetti”. Levine e’ stato coinvolto nella ricerca sugli effetti dei viaggi nello spazio dalla fine degli anni ’80, collabora con la NASA, da cui ha ricevuto sovvenzioni e finanziamenti per monitorare le conseguenze della permanenza nel cosmo sull’organismo ed e’ consulente del Campionato di pallacanestro NCAA, della National Football League e del Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti.