“Con le conoscenze attuali, il vaccino anti-Covid non va fatto a chi ha avuto la malattia”. Così, in maniera decisa e lapidaria, Nino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica, Cronicità e Continuità assistenziale dell’Asst Ovest Milanese, aveva offerto a dicembre, ai cittadini italiani, la risposta a una domanda che ci si poneva da tempo. Lo stesso Mazzone, nel novembre 2020 si ritrovò ricoverato per infezione da Sars-CoV-2 nel reparto che dirige e aveva rilascaito questte dichiarazioni all’Adnkronos Salute. Ma all’epoca la faccenda era stata relegata in secondo piano, perché da più parti arrivavano indicazioni contrarie. Il test sierologico prima del vaccino non serve, dicevano. In realtà “la probabilità di reinfezione per un guarito da Covid-19 è dello 0,07% a un anno. Meglio del vaccino“, spiega il primario dell’ospedale Civile di Legnano, nel Milanese, ideatore e coordinatore di un lavoro pubblicato oggi su ‘JAMA Internal Medicine’.
“Dopo un anno – riferisce Mazzone, riassumendo i dati chiave dello studio di coorte condotto in un’area della Lombardia fra quelle a più alto carico sanitario – su oltre 122.007 tamponi, di cui 15.960 positivi con 1.579 pazienti ricoverati, appena 5 ex malati si sono reinfettati e nessuno di loro ha sviluppato una patologia clinicamente importante. Solo uno è finito in ospedale e 4 erano persone che, per motivi di lavoro, frequentavano ambienti sanitari, quindi più a rischio di contagio“. Cinque casi ‘di ritorno’ su quasi 16mila positivi. “Un dato che, aggiustato per età, sesso, etnia e area sanitaria – precisa lo specialista, firmatario insieme al suo gruppo di una ‘Research Letter’ sulla rivista dell’American Medical Association – si traduce appunto in un rischio di reinfezione dello 0,07%. L’intervallo medio tra l’infezione primaria e la reinfezione è stato di oltre 230 giorni“.
“Delle 13.496 persone” della coorte “che inizialmente non erano state infettate da Sars-CoV-2, 528 hanno successivamente sviluppato un’infezione primaria. L’incidenza per 100mila abitanti è pari a 1 per le reinfezioni, rispetto a 15,1 per le nuove infezioni”, aggiunge Mazzone. “L’osservazione si è conclusa quando le varianti del coronavirus pandemico hanno iniziato a diffondersi nel nostro territorio, pertanto non possiamo stimare l’influenza di questa variabile sui risultati finali“, precisano gli autori della ricerca, tra i quali anche il presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli), Pierangelo Clerici.? Tuttavia “questi nostri risultati confermano che le reinfezioni sono eventi davvero rari“, sottolineano. “Il nostro studio – concludono – suggerisce che la naturale immunità naturale a Sars-CoV-2 potrebbe conferire un effetto protettivo per almeno un anno, dato simile a quello che risulta vicino alla protezione riportata nei recenti studi sui vaccini anti-Covid”.
Il test per gli anticorpi andrebbe fatto prima del vaccino
La proposta di Nino Mazzone è quella di prevedere un dosaggio pre-vaccinazione degli anticorpi anti Sars-CoV-2, e valutare di non somministrare il vaccino anti-COVID a chi li ha in quantità tali da poter confidare su una protezione naturale contro il coronavirus pandemico.
“Nel corso di questa pandemia ci siamo trovati continuamente di fronte a situazioni nuove, che non avevamo mai sperimentato – riflette lo specialista – Fra queste, la particolare natura di Sars-CoV-2 e le metodologie diagnostiche per evidenziarlo. Ma se una persona avesse già gli anticorpi? Potrebbe ad esempio avere contratto il virus in modo asintomatico. In tal caso, il conteggio degli anticorpi dopo il vaccino darebbe una risposta inutile: come faremmo a sapere se gli anticorpi erano già presenti o se sono stati indotti dal vaccino? Sarebbe quindi di grande utilità eseguire il dosaggio degli anticorpi prima di fare il vaccino e, magari, non somministrarlo a chi già li ha”.
“In questo modo si risparmierebbero moltissime dosi di vaccino“, osserva Mazzone, che però ne fa anche una questione di sicurezza: “Si eviterebbero anche potenziali danni a chi, con già gli anticorpi, dopo il vaccino potrebbe sviluppare una reazione“. Perché “se le reinfezioni sono rare, e uno ha gli anticorpi, è come se fosse vaccinato” naturalmente. Mazzone guarda “con grande tristezza” alla cronaca di queste ore: “Un giudice di Siracusa, su parere di esperti internazionali, si appresta a dare certezza alla nostra ipotesi“. Perché secondo le conclusioni dei consulenti della Procura, ricorda il medico, Stefano Paternò, “il giovane sottufficiale della Marina Militare morto dopo avere ricevuto il vaccino di AstraZeneca, è deceduto perché aveva fatto il COVID senza accorgersene. Aveva gli anticorpi e ha avuto una reazione Ards immunitaria che l’ha ucciso. Nessuna trombosi, nessuna colpa del vaccino, solo troppi anticorpi. Purtroppo inascoltati, l’avevamo detto a dicembre”.