Oggi i pazienti affetti da Malattia di Crohn e Colite ulcerosa, le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – MICI, che in Italia colpiscono circa 250mila persone, possono svolgere una vita normale. È il messaggio lanciato dalla nuova campagna della società scientifica IG-IBD “Insieme si può”, nella conferenza stampa online di questa mattina. Sono intervenuti il Sottosegretario alla Salute Sen. Pierpaolo Sileri; il Segretario Generale IG-IBD Marco Daperno, il Prof. Alessandro Armuzzi, Responsabile Comitato Educazionale IG-IBD; il Presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi; la Vice-Presidente AMICI onlus; Noemi Fiumanò, Paolo Genovese; Matilde Gioli; Francesca Merzegora, Fondatrice e Presidente Fondazione Onda; a moderare il giornalista scientifico Daniel Della Seta.
Con l’occasione è stato presentato il nuovo spot girato dal regista Paolo Genovese con protagonista l’attrice Matilde Gioli che sarà trasmesso in tv da Sky dall’11 al 25 luglio: pochi secondi per un messaggio incoraggiante, che permetta alle donne affette da MICI di non scoraggiarsi e di acquisire la consapevolezza che, nonostante queste patologie, è possibile avere figli, viaggiare, condurre vita normale, mangiare e soprattutto sognare.
ATTENZIONE CLINICA E SOCIALE PER LA DONNA – Per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali non vi è una prevalenza di genere, visto che vi è un’equa ripartizione tra uomini e donne colpiti. Ciò significa comunque parlare del 50% dei pazienti. Inoltre, la salute femminile si contraddistingue per le peculiarità che attraversano tutto il suo ciclo biologico, dall’infanzia a dopo la menopausa.
“Le varie fasi della vita della donna, dallo sviluppo, alla fecondità, fino alla gravidanza, all’allattamento, al puerperio, alla menopausa e all’invecchiamento, si intersecano con le MICI e possono orientare determinate scelte terapeutiche – sottolinea il gastroenterologo Marco Daperno, Segretario della Società Scientifica IG-IBD – Per questo è importante creare una sinergia tra diversi specialisti, tanto che abbiamo già sviluppato una sorta di consenso, in corso di pubblicazione, che rappresenta il primo passo per una condivisione di un approccio univoco con le società scientifiche di ginecologia e ostetricia. Oltre alle specificità biologiche, abbiamo tenuto conto anche di un elemento sociale nella scelta di questa campagna. Diverse indagini in Paesi nord europei hanno dimostrato che le assenze lavorative nei soggetti con meno di 40 anni sono significativamente superiori nei pazienti affetti da MICI rispetto alla popolazione generale. È bene ricordare, infatti, che patologie come Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa rendono il paziente abile al 100% per il 90% del tempo, ma nel restante 10% si è totalmente disabili. Un’altra considerazione è che durante la pandemia a patire maggiormente le conseguenze sul lavoro sono state proprio le donne. Da questi due dati si evince che donne e pazienti con IBD hanno più difficoltà in ambito lavorativo: si può pertanto supporre con ragionevolezza che le donne con IBD abbiano più problemi degli uomini in ambito socio-lavorativo. A questo quadro si somma la questione culturale, con le donne spesso relegate anche alle questioni domestiche e ulteriormente penalizzate”.
L’IMPORTANZA DELLE TERAPIE ANCHE IN GRAVIDANZA – La fase più delicata, in cui malattia, terapie e benessere interferiscono è la gravidanza. In quel momento qualsiasi terapia fa paura, visto che si auspica una gravidanza ideale, senza alcun rischio di condizionamento per il nascituro. “Durante la gravidanza la malattia non va né meglio né peggio – evidenzia Daperno – Tuttavia, se la gravidanza inizia con la malattia in fase attiva, vi sono dei rischi che bambino nasca prematuro o sottopeso, ma non sono previste malformazioni. Naturalmente è meglio arrivare con la malattia in fase di remissione, ma al fine di garantire una gravidanza sicura è sufficiente seguire le corrette indicazioni che vengono suggerite da ginecologi e gastroenterologi, figure chiave nella vita della donna affetta da IBD, purché vi sia un approccio condiviso. Talvolta, infatti, i ginecologi mettono in discussione l’uso di alcuni farmaci, ma il nostro impegno è nell’invitare a proseguire le terapie per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali: per la maggior parte di esse, la prosecuzione è più sicura della loro interruzione. Questo è uno dei punti che auspichiamo di condividere con gli altri specialisti. Maggiore attenzione necessitano gli interventi chirurgici, che possono ridurre la fertilità: un ulteriore incentivo a non perdere continuità nell’uso delle terapie, laddove queste siano sufficienti”.
FARMACI BIO-TECNOLOGICI E GRAVIDANZA – Qualche dubbio in più potrebbe emergere a fronte di farmaci bio-tecnologici, che nelle malattie autoimmuni sono sempre più diffusi e sviluppati, ma talvolta indeboliscono il sistema immunitario. In un recente studio emerge che almeno un paziente su 5 affetto da MICI deve essere sottoposto a terapie con farmaci biologici: non è quindi un tema di nicchia. Considerando poi che i trattamenti sono perlopiù in età giovanile, forse la percentuale per le donne in gravidanza aumenta.
“Anche in merito ai farmaci bio-tecnologici, possiamo affermare che sono fondamentali per l’equilibrio dell’organismo e una loro interruzione rischia di avere effetti negativi – spiega Daperno – In particolare, dopo 3-6 mesi di interruzione, la malattia ha almeno il 50% delle probabilità di recidivare, con effetti dannosi sul feto e sul benessere psicofisico della madre. In secondo luogo, come si evince da dati di laboratorio, fino a un certo punto della gravidanza, tra il 4° e il 6° mese, i pori della placenta sono talmente piccoli che gli anticorpi della mamma non possono passare al figlio, né i suoi, né quelli terapeutici: ciò significa che un atteggiamento estremamente prudentemente, frequentemente adottato nel nostro Paese, è quello di trattare la mamma con farmaci anche particolarmente forti fino al periodo che garantisca il non passaggio del farmaco al figlio, quindi fino 4°-5°-6° mese, per poi interromperlo nell’ultimo trimestre di gravidanza, allorquando si valuterà il calcolo rischio-beneficio. Per molti farmaci, come adalimumab e infliximab, ci sono enormi casistiche di donne trattate fino alla fine della gravidanza senza eventi avversi in termini di abortività, sebbene si denoti una correlazione con una nascita precoce”.
IL PUNTO DI VISTA DEI PAZIENTI – “Ogni donna con Malattia di Crohn o Colite Ulcerosa può diventare madre – evidenzia Noemi Fiumanò, Vice Presidente A.M.I.C.I. Onlus “Questo è possibile grazie all’evoluzione del sistema di cura e dei nuovi farmaci disponibili. Affrontare una gravidanza, per una paziente affetta da MICI significa affidarsi al medico e disporre di maggior supporto e informazioni per assicurare una gestazione il più possibile serena. AMICI conferma la necessità di promuovere strumenti di informazione e conoscenza a favore delle pazienti con MICI, affinché il desiderio di avere un figlio possa essere raggiunto con maggiore consapevolezza e serenità grazie alla collaborazione di team multidisciplinari che affiancano le donne nel momento della pianificazione e del percorso di gravidanza”.