Misurati per la prima volta i rifiuti marini nelle profondità del Mediterraneo

Analizzati per la prima volta i rifiuti marini e le microplastiche fino a 2200 metri di profondità nel Mediterraneo: sono le misurazioni più precise finora a tali profondità
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Il mare profondo e’ un’area di notevole accumulo dei nostri rifiuti, con un forte impatto sulla fauna selvatica. Tramite misurazioni avvenute nel settembre 2018 utilizzando il sommergibile Victor 6000, a bordo della nave “Atalante” della Flotta Oceanografica dell’Ifremer, un team di scienziati francesi, monegaschi e italiani e’ stato in grado di analizzare per la prima volta i rifiuti marini e le microplastiche fino a 2200 metri di profondita’ nel Mediterraneo.

Gli scienziati si sono concentrati su un’area a cavallo tra Francia, Monaco e Italia nel Mar Ligure, che comprende sette canyon sottomarini e montagne piu’ al largo della pianura abissale. I risultati mostrano un forte accumulo di plastica di origine urbana, nei canyon davanti a citta’ come Saint-Tropez, Nizza, Cannes o Monaco. Nelle immagini si vedono oggetti molto diversi come tazze, secchielli da spiaggia, palloncini, bottiglie.

Questo rifiuto urbano – afferma Michela Angiolillo, ricercatrice Ispra e autrice principale della pubblicazione – e’ dominato dalla plastica. I canyon fungono da condotto, i rifiuti scendono verso il mare profondo sotto l’effetto delle correnti marine. Piu’ al largo, a livello delle montagne sottomarine, i rifiuti sono di natura diversa, piu’ legati alla pesca, con lenze o reti perse”.

Sappiamo – sottolinea Francois Galgani, ricercatore presso Ifremer specializzato in materie plastiche e tra i principali autori della recente pubblicazione – che ci sono aree di accumulo di rifiuti offshore, ma questa e’ la prima volta che facciamo misurazioni cosi’ precise a tali profondita’ nel Mediterraneo, con video vicino al fondo e campioni prelevati dai fondali”.

Gli scienziati raccomandano di aumentare gli sforzi di prevenzione, poiche’ questo inquinamento e’ impossibile da eliminare in ambienti cosi’ inaccessibili. I dati raccolti sono stati pubblicati in un nuovo studio sulla rivista Science of the Total Environment.

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