Da capelli di 4.000 anni fa trovati in Groenlandia, ottenuto il Dna umano antico più completo

Da un ciuffo di capelli, aggrovigliati intorno a un pettine di osso di balena trovati nel terreno ghiacciato della Groenlandia, è stato possibile ottenere la mappa più completa di Dna umano antico
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Da un ciuffo di capelli di 4.000 anni fa e’ stato possibile ottenere la mappa piu’ completa di Dna umano antico. La scoperta è frutto dello studio dei ricercatori dell’Universita’ britannica di Cambridge, coordinati dal biologo evoluzionista Eske Willerslev, insieme ai colleghi dell’Universita’ danese di Copenaghen e della Southern Methodist University americana. Le analisi sull’antico Dna umano, attraverso moderne tecniche di sequenziamento, mostrano che i capelli, aggrovigliati intorno a un pettine di osso di balena trovati nel terreno ghiacciato della Groenlandia, appartenevano a un uomo della cultura Saqqaq, i primi abitanti della Groenlandia.

Grazie a queste analisi e al confronto con altre indagini genetiche condotte nell’ultimo decennio, anche sugli odierni Nativi Americani, gli autori dello studio sono riusciti a ricostruire la storia genetica del popolamento delle Americhe. Le analisi, spiegano gli esperti, mostrano ad esempio che le sequenze di Dna antico esaminate sono piu’ strettamente correlate ai Nativi Americani contemporanei che a qualsiasi altra popolazione in ogni altro luogo del mondo. “Le analisi del Dna antico ci stanno insegnando cosa significa essere umani”, ha spiegato Willerslev. “Cio’ che ci ha sorpreso e’ quanto questi nostri antenati fossero resistenti e capaci: riuscivano a occupare ambienti molto diversi e spesso li popolavano in un intervallo di tempo breve. Ci e’ stato insegnato a scuola – aggiunge lo studioso – che i nostri antenati erano spesso soliti fermarsi in un territorio fino a quando la popolazione non cresceva a un livello tale da esaurire le risorse. Le analisi del Dna antico – conclude Willerslev – mostrano, invece, che spesso si diffondevano in altre regioni solo per esplorare, scoprire e vivere avventure”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature.

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