L’Etna. Il mastodontico vulcano siciliano che da mesi sta ‘movimentando’ le notti e le giornate dei cittadini che abitano nei comuni etnei, non accenna a voler concludere il suo ciclo di parossismi. Ma l’Etna non è solo movimento, non è solo tremore vulcanico: è lava, è cenere, è lapilli, tutto materiale che ricade sui territori circostanti, spesso attraversando persino lo Stretto di Messina e giungendo fino in Calabria, sia nelle zone marine, sia fin sull’Aspromonte.
Quali sono le conseguenze sul territorio siciliano di questa ricaduta di materiale? E’ un bene o un male? Ci sono più svantaggi o vantaggi? Lo abbiamo chiesto a Salvatore Giammanco, vulcanologo e Primo Ricercatore presso l’INGV-Osservatorio Etneo, Sezione di Catania. “I due terzi del materiale fuoriuscito durante le ultime 47 fontane di lava è finito sul versante orientale, zona martoriata da tempo dalle ricadute delle ceneri“, spiega Giammanco. “La cenere è arrivata fino a Catania più volte negli ultimi mesi, ma non in maniera eccessiva, tanto che l’aeroporto ha subito ben pochi disagi. Abbiamo fatto i calcoli dei volumi eruttati e i valori sono davvero elevati: almeno 50 milioni di metri cubi di lava emessi sotto forma di cenere. Questo valore corrisponde ad un equivalente di lava emessa da una media eruzione di fianco dell’Etna, come ad esempio quella del 2008, che si è protratta fino a luglio 2009 e che ha emesso 70 milioni di metri cubi di materiale”, precisa il vulcanologo ai microfoni di MeteoWeb.
Ma per Catania non è andata sempre bene, come sta accadendo in questi mesi. “Durante l’eruzione del 2002 – racconta l’esperto –, ricadde cenere per tre mesi sulla città: l’Etna ha emesso circa 80 milioni di metri cubi di materiale. Probabilmente questa volta il vulcano non erutterà di fianco, quindi il magma che si era accumulato al suo interno viene emesso sotto forma di cenere e non di lava. E per fortuna, perché un’apertura laterale può provocare danni ben più ingenti di quelli che stiamo vedendo in queste settimane con i cumuli di cenere e lapilli. E’ brutto dirlo, ma bisogna scegliere il male minore, e la cenere per le nostre strade, sui nostri balconi, sulle nostre auto, è sicuramente il male minore“.
“Ovvio – sottolinea Giammanco – che è comunque sempre un disagio. Viviamo su un vulcano molto attivo. L’Etna in passato ci ha sorpresi varie volte: sono stati diversi gli episodi in cui emetteva fontane di lava, e noi pensavamo che avrebbe dissipato così la sua energia, ma poi arrivava nuovo magma ed eruttava in maniera importante. Basti pensare al 2001: sia l’eruzione di quell’anno che quella del 2002 sono dipese da magma nuovo, che si era formato a prescindere dal materiale già dissipato attraverso numerosi parossismi nei mesi precedenti”.
Uno dei maggiori disagi dovuti ai parossismi dell’Etna, in termini di ricadute suoi territori circostanti, riguarda sicuramente la cenere e i lapilli che nei giorni successivi alle fontane di lava, complice anche il vento, ricoprono strade, campi, automobili e cortili. Chi abita nei comuni etnei sa bene quanto sia impegnativo, dopo ogni evento vulcanico, far fronte a tutto questo. Vi sono zone dove per settimane la cenere si accumula e viene raccolta in mucchi difficili da smaltire. Poche persone, però, soprattutto al di fuori della Sicilia, sanno che questo materiale vulcanico apportano numerosi benefici al territorio. “La cenere che cade sui fianchi del vulcano è una benedizione – ci spiega Salvatore Giammanco – perché a lungo termine fornisce nutrimenti necessari al suolo. Dunque, sebbene non sia facile apprezzare quella polvere nera che ritroviamo dappertutto, bisogna pensare che quello che al momento è un disagio, diventa poi benefico per il territorio, soprattutto a lungo termine. E’ nera, è fastidiosa, ma porta tanta vita, tanto nutrimento”.
E proprio Giammanco, insieme ad una equipe di esperti, sta per prendere parte ad uno studio, ideato da INGV e MIUR, che prenderàin esame il possibile impatto delle emissioni vulcaniche ad ampio spettro, sia sull’ambiente che sulla salute umana. Il progetto si chiama HEAVEN, e sarà condotto da vulcanologi e neurologi, proprio per analizzare anche l’impatto sulla salute delle popolazioni dei comuni etnei. Quel che è certo, assicura Giammanco, è che “i lati positivi sono di gran lunga quelli maggiori: il territorio è fertile, è vivo, proprio grazie al vulcano e ai suoi prodotti”.