Il suo nome è iAge, si tratta di uno strumento predittivo in grado di stimare mortalità, malattie cardiovascolari, fragilità ossee e altre complicazioni dovute all’avanzare dell’età con almeno sette anni di anticipo prima che si manifetino. E’ il risultato di uno studio, descritto sulla rivista Nature Aging, condotto dagli scienziati della Stanford University School of Medicine e del Buck Institute for Research on Aging, che hanno realizzato un orologio biologico basato sul funzionamento del sistema immunitario.
“Non tutti gli esseri umani invecchiano allo stesso ritmo – rileva David Furman, autore senior dello studio – principalmente a causa dei diversi tassi di declino del sistema immunitario, che protegge l’organismo da una serie di minacce”. Con il passare degli anni, spiega l’esperto, il sistema immunitario tende a reagire in modo sempre meno preciso agli stimoli, promuovendo la vulnerabilità alle malattie.
L’equipe di Furman ha raccolto campioni di sangue di 1.001 persone sane di età compresa tra 8 e 96 anni tra il 2009 e il 2016. Una serie di test ha permesso alla squadra di ricerca di determinare i livelli di proteine di segnalazione immunitaria, o citochine, lo stato di attivazione di diversi tipi di cellule e di migliaia di geni specifici. I ricercatori hanno così sviluppato una misura quantitativa in grado di esprimere il funzionamento del sistema immunitario, e, di conseguenza, il rischio di insorgenza di complicazioni e malattie. Tra i più efficaci predittori dell’età biologica, i ricercatori hanno individuato un insieme di circa 50 proteine di segnalazione immunitaria.
Nel 2017, gli studiosi avevano preso in esame 30 partecipanti al progetto 1000 Immunomes, tutti di età pari o superiore a 65 anni, misurando la loro velocità nell’alzarsi da una sedia e nel percorrere una distanza fissa, nonchè la loro indipendenza nelle azioni quotidiane. L’età infiammatoria risultante dall’indagine si è dimostrata in grado di predire la fragilità dei partecipanti con sette anni di anticipo. Il team ha poi esaminato i campioni di sangue prelevati da un gruppo di persone eccezionalmente longeve a Bologna, confrontando l’età infiammatoria di questi centenari con quella di individui di età compresa tra 50 e 79 anni.
Secondo i risultati, i romagnoli avevano un’età biologica di circa 40 anni inferiore rispetto a quella anagrafica. In un’altra indagine, gli scienziati hanno poi osservato che i livelli ematici della citochina CXCL9 iniziano a salire precipitosamente dopo i 60 anni. I ricercatori hanno scoperto che l’aumento dei livelli di CXCL9 provoca una diminuzione della capacità delle cellule endoteliali di formare reti microvascolari, di dilatarsi e contrarsi. Esperimenti di laboratori condotti su tessuti di un modello murino e su cellule umane hanno suggerito che la riduzione di CXCL9 ripristinava la funzione giovanile delle cellule endoteliali.
“La capacità del nostro orologio biologico di predire il rischio di sviluppare malattie – conclude Furman – apre anche la strada a possibili applicazioni cliniche di prevenzione. In ambito medico, è sempre più facile prevenire piuttosto che curare“.