“In qualità di Ricercatori e Docenti dei Corsi di Laurea, triennale e magistrale, in Scienze Forestali e Ambientali dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, in un momento particolarmente drammatico per la nostra Regione e di nostra personale costernazione, in cui gli incendi hanno spezzato vite, cancellato attività umane e annientato habitat ed ecosistemi di interesse planetario, devastando, con gravi e permanenti ricadute, la foresta più a Sud del continente europeo e al centro del Mediterraneo, sentiamo l’esigenza di fornire un contributo tecnico-scientifico al dibattito che necessariamente si dovrà sviluppare sul tema”. E’ quanto si legge in una nota pubblicata sulla pagina Facebook del Dipartimento di Agraria, Università Mediterranea Reggio di Calabria.
“Dichiariamo subito – prosegue la nota – che non vi è una ricetta preconfezionata che possa risolvere il problema degli incendi. Se affermassimo ciò, verremmo meno al nostro dovere primario di formare ed informare intorno alla scienza e ai suoi progressi. Il problema è assai articolato e deve essere affrontato attraverso un approccio integrato, attuando un complesso di azioni, misure, interventi ed attività, anche di ordine culturale.
Peraltro, la tendenza al cambiamento climatico su scala mondiale suggerisce come l’argomento “incendi boschivi” non si possa considerare solo come un “problema estivo” ed esiga, semmai, una profonda revisione dei modelli e delle strategie sino ad oggi utilizzati, compresi i nostri atteggiamenti e stili di vita.
Una cosa è certa: gli incendi devono essere prevenuti. Non si affrontano in estate ma a febbraio-marzo. È oramai dimostrato che nessun mezzo antincendio possa riuscire a spegnere un grande incendio forestale che, invece, si estinguerà solo quando non avrà più nulla da ardere. La pianificazione delle strategie e degli interventi è fondamentale: eliminando, ad esempio, una parte del combustibile a terra, su aree individuate con criteri scientifici, si interromperà la continuità verticale del fuoco; ciò ridurrà la probabilità che si possa sviluppare un incendio di chioma, la cui evoluzione è ingovernabile.
Per affrontare meglio il problema è necessario partire dal cosiddetto “paradosso del fuoco”: le statistiche dicono che negli ultimi 20 anni gli incendi sono diminuiti di numero ma, al tempo, sono aumentati gli incendi devastanti, i cosiddetti grandi incendi forestali. La gestione di questi grandi incendi non si affronta solo con la lotta alle fiamme. Questa strategia ha costi elevati e non mette al sicuro da stagioni estreme come quelle del 2017 e come questa del 2021.
Tuttavia, nonostante questi aspetti in ambito scientifico siano noti, la strategia di lotta agli incendi si basa ancora prevalentemente sulla estinzione del fuoco mediante mezzi terrestri ed aerei, mezzi che spesso non sono in grado di contrastare focolai multipli in condizioni metereologiche avverse, come in caso di forte vento. Attualmente, su 100 euro destinati alla gestione degli incendi, 90 vengono destinati allo spegnimento e 10 alla prevenzione. Tale strategia trascura un aspetto fondamentale, ossia le caratteristiche della vegetazione che predispongono ai grandi incendi”.
“Al contrario – precisano i docenti –, un approccio che sia capace di integrare l’estinzione del fuoco con azioni preventive di gestione del bosco, finalizzate a ridurre la continuità e l’infiammabilità della vegetazione in punti critici, secondo i dettami della cosiddetta ‘selvicoltura preventiva’, è senza alcun dubbio il sistema più efficace per mitigare il rischio, consentendo, allo stesso tempo, di rendere il bosco meno suscettibile ai grandi incendi e di far operare in modo più sicuro ed efficace i mezzi di estinzione.
La prevenzione selvicolturale, eliminando gran parte del combustibile radente e di superficie e la trasmissibilità del fuoco alle chiome degli alberi, limita lo sviluppo del fronte di fiamma, rende meno gravi gli effetti del fuoco e più facili le condizioni di estinzione. Un incendio radente o di superficie può essere controllabile, un incendio di chioma è invece incontrollabile.
In un’ottica di moderna pianificazione sarà necessario passare dall’attuale strategia di gestione “fire control”, di tipo estintivo, secondo la quale il fuoco è da contrastare sempre e in qualunque luogo, con mezzi di estinzione sempre più numerosi e potenti, a quella basata sul “fire management”, che coniuga insieme estinzione e prevenzione. Con questa impostazione gli incendi di piccola dimensione possono essere, per un determinato territorio, considerati fisiologici e quindi non dannosi. Si esclude nei loro confronti ogni forma di intervento, e si pone invece particolare attenzione ai grandi incendi forestali, nei confronti dei quali è invece fondamentale la prevenzione. Nessun mezzo aereo e terrestre potrà infatti adeguatamente contrastare l’avanzare delle fiamme e spegnere un grande incendio forestale.
Occorrerà, inoltre, mettere mano ad una oculata pianificazione del territorio agro-forestale che in molte zone del nostro Paese è spesso oggetto di abbandono. Va recuperata la funzione di presidio ambientale operata dagli agricoltori sul territorio. E’ fondamentale costruire nuove occasioni di sviluppo affinché la cura del paesaggio agrario assicuri remunerazione adeguata a chi se ne occupa. L’abbandono di porzioni importanti del paesaggio agrario ha portato allo sviluppo di formazioni ‘post-agricole’ (arbusteti, boscaglie, ecc.) non ordinariamente gestite e assai suscettibili al passaggio degli incendi, spesso costituenti formazioni di frangia tra le aree agricole e quelle forestali ed urbane. Ed oggi, numerosi incendi interessano proprio queste aree di frangia, di interfaccia agricolo/forestale/urbano, i cui effetti nefasti sono noti.
Come docenti dei Corsi di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria ravvediamo la necessità di un cambio paradigmatico nella pianificazione e gestione del territorio rurale (agricolo e forestale). Gestione ordinaria, pianificata e non dettata dall’emergenza del momento.
In quest’ambito, un ruolo centrale lo devono avere le figure del dottore agronomo e del dottore forestale che, in un approccio di pianificazione moderna, rappresentano i professionisti di riferimento per il contrasto ai grandi incendi e per la programmazione delle attività selvicolturali che conferiscono ai sistemi forestali una più elevata resistenza e resilienza al fuoco. Tecnici capaci di individuare e distinguere fra regimi accettabili e regimi non accettabili degli incendi. Nel regime accettabile rientrano tutti quegli incendi che consideriamo eventi fisiologici e non dannosi, che si spengono con relativa facilità con i mezzi aerei e terrestri, da considerare come una imprescindibile caratteristica territoriale e, in quanto tali, da accettare nella pianificazione basata sul concetto del fire management. Nel regime non accettabile rientrano invece i grandi incendi, per i quali bisogna prevedere appositi interventi di PREVENZIONE. Pensare di spegnere questi incendi con i soli mezzi aerei e terrestri è grandemente illusorio, alla stessa stregua del voler frenare un’alluvione contrastando la pioggia.
Le politiche di esclusione totale del fuoco per prevenire gli incendi, insieme all’assenza di prevenzione selvicolturale, stanno determinando un paradosso. Si invocano così interventi speciali o straordinari (anche di tipo militare) e ci si dimentica che la via maestra è costituita dalla prevenzione, intesa in senso ampio a partire da politiche di fire management, selvicoltura preventiva, riduzione dei combustibili, educazione dei cittadini. Noi siamo sempre più convinti che lo sforzo economico e umano debba trasferirsi dal terreno della lotta attiva a quello della prevenzione considerando il fuoco anche come un alleato (per esempio il fuoco prescritto). Purtroppo, sia nei Paesi del Mediterraneo che negli USA, si è programmato negli anni la costituzione di una poderosa macchina da guerra come strumento di lotta contro gli incendi. Ma non funziona. Lo vediamo ogni anno. Nessuna macchina da guerra è un grado si spegnere i grandi incendi forestali.
Riteniamo che la “formula” della prevenzione debba contenere anche una nuova componente che preveda il coinvolgimento di chi vive più intimamente il territorio, attraverso la creazione di una infrastruttura sociale e culturale basata sulla condivisione dei valori della conservazione e della tutela della natura. È una filosofia innovativa quella che noi suggeriamo, coerente anche con la cosiddetta terza missione universitaria, per la quale, sin da subito, forniamo la nostra disponibilità, nella prospettiva di accompagnare un processo di cittadinanza consapevole. Anche questa è prevenzione, poiché si basa sulla creazione di una “trama intelligente” per la salvaguardia di un patrimonio ambientale e naturalistico di inestimabile valore. I risultati di una recente sperimentazione proprio in Aspromonte, ad esempio, ha dimostrato come il coinvolgimento dei Pastori, che da sempre esprimono l’affascinante rapporto uomo-natura, si sia rivelata una strategia di prevenzione su cui varrebbe la pena di investire ancora.
Infine, ribadiamo ancora come che la figura professionale del dottore agronomo e del dottore forestale abbia le conoscenze tecniche necessarie per una oculata pianificazione e gestione dello spazio rurale (agricolo e forestale). Auspichiamo dunque che questa importante figura professionale sia maggiormente rappresentata negli uffici e nelle strutture degli organi territoriali preposti ai vari livelli di governance”.
A firmare la nota i docenti dei Corsi di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali Giuseppe Bombino, Fabio Lombardi, Pasquale Marziliano e Giuseppe Modica.