Siamo giunti a circa un anno e mezzo dall’avvento della crisi sanitaria mondiale legata al coronavirus. Dopo una gestione molto confusionaria dell’emergenza, dovuta soprattutto a una scarsa competenza nel farvi fronte, a una ingiustificata mancanza di infrastrutture, ancor più a un confusionario metodo di rilevamento, conteggio morti, conteggio positivi, tamponi e quant’altro, ci si chiede come potrebbe proseguire la situazione alla luce di una analisi statistica. Il primo dato statistico che viene fuori dalla letteratura storica delle azioni virali, è senz’altro l’endemia, ossia la tendenza naturale del virus a cercare di convivere “pacificamente” con l’organismo umano, divenendo via via senz’altro più diffuso e persistentemente presente nel tempo, ma sempre meno nocivo. Per di più, il virus, benché abbia fatto comunque del male, non si è mostrato di quelli particolarmente terribili, esso è, di fatto, curabile e questo è oramai appurato con certezza, curabile, per di più, con farmaci spesso anche tradizionali, purché con interventi precoci. Dunque, una prima possibilità per il futuro più prossimo è che il virus, seppur presente, anzi forse ancora più presente di prima, diventi via via meno offensivo e sostanzialmente alla stregua di una normale influenza stagionale. In questo caso, sarebbe inutile e senza senso continuare a monitorare la situazione sulla base dei positivi sui tamponi: questi potrebbero divenire milioni; piuttosto, la situazione andrebbe monitorata sulla base delle criticità che, oltre a diminuire progressivamente per endemia, possono essere ulteriormente evitate con i vaccini e con cure precoci a domicilio. Questi ultimi rimedi e la fisiologica endemia potrebbero porre fine entro un anno e anche meno all’emergenza. Un secondo dato statistico, però, è quello relativo alle varianti. Questo virus, il Sars-Cov-2, della famiglia dei coronavirus, di cui fanno parte anche il virus della Sars e della Mers, è mutante, ossia moltiplicandosi nell’organismo ospite, subisce una o più variazioni (mutazioni) nel suo patrimonio genetico (o genoma) che lo rendono diverso dal virus originario.
Giammai nella storia dei coronavirus si è potuto fare un vaccino efficace proprio perché è difficile rincorrere le mutazioni. Questo è un dato da letteratura: non è stato possibile fare un vaccino una tantum per la SARS né per la Mers, benché tentativi siano stati fatti. Si può, al più, trovare un rimedio verso un ceppo virale, ma se questo muta non si è in grado di fronteggiarlo. Quindi, l’ipotesi sarebbe che a ogni mutazione bisognerebbe fare un vaccino. Questa prassi può anche essere considerata, ma una validità curativa eguale l’hanno, e oramai in forma comprovata e documentata, altri medicinali che possono tranquillamente curare ai primi sintomi, quindi con riconosciuta efficacia soprattutto se assunti precocemente, anche le varianti. Per di più ci sarebbe da considerare altro. Una massiccia campagna vaccinale, e questo lo dicono eminenti virologi riconosciuti come tali al mondo, di cui in testa Didier Raoult, ma anche altri di fama mondiale come Geert Vanden Bossche, ex virologo di Bil Gatesl, Kuldroff, Premio Nobel per la medicina, Montagnier, Premio Nobel per la medicina, Levitt, professore di biologia strutturale alla Stanford University e Premio Nobel per la chimica nel 2013, Robert Malone, virologo immunologo, creatore della tecnologia MRNA, HonJo, Premio Nobel per la medicina, ma lo hanno affermato gli stessi virologi della task force tecnica italiana, come Ricciardi, induce in maniera esasperata le varianti, cioè i vaccini, nel contrastare un virus mutante, finiscono inevitabilmente con il favorire le sue mutazioni e alcuni di questi esperti mondiali, come Malone, hanno sostenuto che i vaccini sono assolutamente insignificanti per i giovani e, anzi, controproducenti per questi. E allora, se la cosa, prossimamente, specie nel semestre più freddo, autunno-inverno prossimi, dovesse peggiorare, magari non ai livelli dello scorso anno, ma peggiorare tenendo presente che si va verso una progressiva fase endemica (che invece dovrebbe portare a un miglioramento e non a un peggioramento), vorrebbe dire che effettivamente l’aver introdotto in maniera massiccia, certamente anche precoce, una campagna vaccinale, avrebbe incentivato le varianti e procrastinato uno stato di emergenza che, altrimenti, si sarebbe potuto evitare. A quel punto, ovviamente, la colpa di complicazioni non potrebbe, per logica, essere attribuita a quella bassa percentuale di non vaccinati che magari in buona parte presenterebbero anche controindicazioni ai vaccini per pregresse patologie. Gli esperti in virologia citati sopra che, lo ribadiamo, sono in buona parte Premi Nobel e tra i massimi esponenti mondiali in materia, non si sono espressi nel senso che i “non vaccinati” potrebbero essere la causa del rinvigorimento delle varianti, invece hanno dichiarato in maniera chiara e inequivocabile che a essere la causa dell’inasprimento di varianti sia senza alcun dubbio una massiccia campagna vaccinale nei confronti di un virus mutante. Per questo, alla luce sempre della letteratura scientifica della storia del coronavirus, sarebbe meglio curare a posteriori subito il patogeno, dato che è curabilissimo con tante cure a domicilio, permettendo a esso di circolare e adattarsi all’organismo, agevolando per di più la fisiologica fase endemica. Operando nel modo in cui si è scelto di operare, invece, si potrebbe protrarre per anni e anni l’attivazione di varianti che, per di più, potrebbero mostrarsi anche persistentemente più pericolose, nel tentativo di farsi strada con più forza, dato l’ostacolo annuale che troverebbero. A questo punto una domanda è legittima: non è che l’eccessivo protezionismo sanitario esclusivamente a mezzo vaccinale nei confronti di un virus mutante non si ponga più come una opportuna scusa per operare restrizioni a oltranza? È sempre più legittimo chiedersi se su questa crisi sanitaria non vi siano innestate sempre più forzanti di tipo geo-politico miranti a perpetuare uno stato di emergenza a sua volta legittimante alcune realtà e ideologie politiche che, altrimenti, non avrebbero motivo, né le basi e né i consensi per essere legittimate. Chi vivrà vedrà.