Il Prof. Ernesto Pedrocchi è un illustre scienziato di grande fama nazionale, professore emerito dal 2010 dopo oltre 50 anni di insegnamento al Politecnico di Milano. Ha ricoperto diverse cariche in varie istituzioni (Politecnico di Milano, Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero dell’ambiente, CNR, UE). Nel 2019, ha pubblicato il libro “Il clima globale cambia. Quanta colpa ha l’uomo?”, edito dalla Società Editrice Esculapio, di cui ora è stata pubblicata anche una ristampa. Nel libro, Pedrocchi smaschera tutte le bugie divulgate come certezze secondo cui la causa del riscaldamento globale sia di natura antropica (“Antropogenic Global Warming” – AGW).
Nel libro, si legge che “ormai quello del clima è un problema politico. Si dà per scontato che la scienza sia completa”. Ecco cosa pensa il Prof. Pedrocchi del tema del “consenso” degli scienziati sul clima e quindi anche dell’allarmismo che ne deriva. “La scienza non procede per processi democratici, ma per verifiche sperimentali. A dispetto di ciò da parte dei sostenitori dell’AGW si porta avanti una strategia del consenso scientifico che potrebbe anche servire come indicazione, ma che deve essere condotta con grande rigore:
- Scelta corretta del campione da indagare (non si può chiedere ai medici omeopati se le medicine omeopatiche sono efficaci).
- Precisa formulazione del quesito che deve essere chiaro e quantificato.
In generale le analisi fatte e fortemente pubblicizzate dai media (fra cui il famoso 97%) sono risultati di analisi fortemente criticate per mancanza di rigore metodologico, analisi più attendibili danno valori nettamente inferiori di consenso all’AGW. Si è così realizzata la strategia del consenso e la pressante censura del dissenso, dimenticando che la modalità tipica di avanzamento delle conoscenze scientifiche consiste proprio nell’elaborazione dei dubbi e il più grande nemico del progredire della scienza non è l’ignoranza, ma l’illusione della certezza. È inoltre evidente che l’esasperazione del consenso e la censura del dissenso al punto di rifiutare il dibattito è un segno di debolezza”, ha spiegato Pedrocchi in un’intervista concessa a MeteoWeb.
L’anidride carbonica è sempre più indicata come il principale fattore che contribuisce al riscaldamento del clima. Nel libro, si legge che “la CO₂ prodotta da fonti fossili rappresenta meno del 5% della CO₂ immessa in atmosfera. Agli attuali livelli è lungi dall’essere un inquinante”. Ecco cosa ha aggiunto Pedrocchi: “Il contributo antropico alle emissioni totali di anidride carbonica o biossido di carbonio (CO2) era praticamente nullo fino alla meta del XIX secolo ed è poi lentamente cresciuto ed ora è dell’ordine del 5%, si miscela con il contributo naturale ed entra nel bilancio globale dell’anidride carbonica senza che si riesca a distinguerlo. L’anidride carbonica non è un inquinante né un gas tossico anche a concentrazioni molto più alte di quelle attualmente presenti in atmosfera (circa 4 molecole ogni 10.000). A titolo informativo l’aria presente in un locale affollato può essere dell’ordine di 5 volte maggiore e l’aria espirata da un uomo ha un contenuto di anidride carbonica di circa 100 volte maggiore”.
Un altro passaggio del libro molto interessante è il seguente: “Le concentrazioni di CO₂ in atmosfera variano in modo praticamente uguale tra i due emisferi, mentre le emissioni antropiche sono concentrate nell’emisfero nord”, con il quale Pedrocchi sottolinea la mancanza di una correlazione tra le variazioni delle emissioni antropiche e le variazioni delle concentrazioni di CO₂ in atmosfera. “L’aumento di concentrazione di CO2 è praticamente eguale nei due emisferi terrestri, mentre le emissioni antropiche sono fortemente concentrate nell’emisfero nord. È scientificamente accertato, fra l’altro da misure di prodotti radioattivi emessi nell’emisfero nord negli anni ’40, ’50 e ’60 a seguito di test su bombe “atomiche”, che la barriera equatoriale è piuttosto impervia al miscelamento dell’atmosfera tra i due emisferi. Non si capisce quindi se l’aumento della concentrazione di anidride carbonica fosse essenzialmente dovuto alle emissioni antropiche come non resti alcun segno di questa differenza tra i due emisferi”, precisa il Professore. “C’è il forte dubbio supportato da molti dati sperimentali recenti e remoti che ai livelli elevati di concentrazione di CO2 in atmosfera, anche inferiori al livello attuale, essa non abbia più alcun effetto sulla T globale media (Tgm). Diversi rilievi sperimentali relativi alle ultime glaciazioni e interglaciazioni dedotti dall’analisi dei carotaggi di ghiaccio nelle zone polari mostrano che in generale è la temperatura che precede la concentrazione di CO2 e non viceversa”, spiega Pedrocchi.
Ecco il parere dell’esperto sull’Accordo di Parigi, sugli obiettivi stabiliti e sulle loro conseguenze. “L’Accordo di Parigi in termini di limiti di aumento della Tgm è privo di significato perché la Tgm non è un parametro a portata dell’uomo, potrebbe benissimo succedere che sia naturalmente rispettato. Da quando si hanno misure abbastanza attendibili (1850), essa è variata sia in aumento che in diminuzione e alla fine del 2020 era circa 1°C più alta rispetto al valore di riferimento iniziale, ma nei primi sei mesi del 2021 la Tgm è diminuita di circa 0.5°C. L’accordo di Parigi si è poi formalizzato nell’ipotesi della “decarbonizzazione” ovvero la rinuncia all’uso dei combustibili fossili sostituendoli con le fonti rinnovabili in particolare eolico e solare fotovoltaico. Si propongono ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni antropiche di CO2 e in una continua fuga in avanti si è arrivati a proporre che nel 2050 si debba far a meno dei combustibili fossili (Green New Deal). Questo obiettivo pensando di sostituire l’attuale fabbisogno energetico coperto da combustibili fossili comporterebbe o mettere in funzione ogni giorno da ora ad allora 6000 grandi pale eoliche o altrimenti 60km2 di pannelli fotovoltaici. Non c’è neppure speranza di progresso delle rese di questi dispositivi perché potranno un poco migliorare, ma sono già prossime al limite fisico teorico. In termini economici queste fonti rinnovabili sono ancora molto lontane dall’essere competitive con i combustibili fossili, tanto che per svilupparsi devono essere fortemente incentivate tassando i combustibili fossili, nel caso opposto sarebbe il mercato stesso a farle emergere. Va tenuto presente che i paesi in via di sviluppo fra cui India, Indonesia e Africa sub sahariana non possono imporsi limitazioni all’uso dei combustibili fossili altrimenti non si potranno sviluppare. Penso quindi che la decarbonizzazione al 2050 sia assolutamente irrealizzabile”, afferma Pedrocchi.
A questo proposito, mentre il mondo occidentale si sta indirizzando verso politiche green, molti Paesi del mondo orientale puntano su carbone e petrolio per continuare sviluppo e progresso. “Il principale interesse dietro questa strategia dello “stato di paura” legato al cambiamento climatico, associandovi artificiosamente ogni avversità accada sul pianeta, penso sia politico nella speranza di riuscire ad avviare una Governance mondiale con l’obiettivo di realizzare la lotta alla povertà sogno ricorrente nella storia dell’umanità. La lotta alla povertà ha una sua grande valenza importante ed indipendente e deve essere perseguita, ma volerla legare all’AGW, che non ha sicure basi scientifiche, rischia di essere controproducente. Per ora la lotta all’AGW si configura nella penalizzazione di Nord America ed Europa, ma in effetti la decarbonizzazione ha fatto subito sviluppare il settore delle energie rinnovabili (Carbon Free Economy CFE) che risulterà molto costoso a vantaggio di grandi imprese e molto probabilmente della Cina che ha sfruttato l’opportunità di non sottostare a vincoli di emissioni di CO₂. La decarbonizzazione non andrà a vantaggio dei paesi poveri che hanno bisogno di energia sicura, affidabile e a basso costo che devono riuscire a realizzare reti elettriche che coprano tutti i luoghi abitati e disporre di sistemi di trasporto affidabili per poter sperare di raggiungere una discreta prosperità”, conclude il Prof. Ernesto Pedrocchi.