Un team internazionale, guidato dall’astrofisica Mari Polletta dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e con la partecipazione di altri quattro ricercatori e ricercatrici INAF, ha scovato un proto-ammasso di galassie molto attivo nel formare stelle quando l’universo aveva appena 3 miliardi di anni, meno di un quarto della sua età attuale di 13,8 miliardi di anni. I risultati sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista Astronomy & Astrophysics.
Gli ammassi di galassie sono le strutture più massicce nel cosmo tenute insieme dalla gravità, formate da centinaia di galassie, gas caldo ed enormi quantità dell’invisibile materia oscura: i proto-ammassi sono i progenitori di questi giganti cosmici. Il proto-ammasso in questione, chiamato PHz G237.01+42.50 (G237), potrebbe evolversi, nel corso di miliardi di anni, in maniera tale da diventare simile a quello che oggi conosciamo come il Superammasso della Vergine, un immenso agglomerato di galassie di cui fa parte il Gruppo Locale, in cui si trova la nostra galassia, e il vicino ammasso della Vergine.
Il gruppo di ricercatori ha identificato G237 nelle immagini del satellite Planck, che ha osservato tutto il cielo tra il 2009 e il 2013 per realizzare la miglior mappa della radiazione cosmica di fondo, la prima luce emessa nella storia dell’universo. Su questo segnale antichissimo, risalente a quando l’universo aveva solo 380.000 anni, sono sovraimpresse le emissioni di migliaia di strutture cosmiche che si sono formate ed evolute nei miliardi di anni successivi.
Osservando G237 in dettaglio con lo spettrografo LUCI sul Large Binocular Telescope e complementando queste informazioni con altri dati d’archivio, è stato possibile svelare ben 31 galassie al suo interno. Queste galassie appaiono concentrate in due sottogruppi, che si trasformeranno in due ammassi di galassie ciascuno con quantità di materia oscura pari a oltre 500 trilioni di volte la massa del Sole. Altre 32 galassie, oltre a 6 già identificate spettroscopicamente in precedenza, sono emerse dalle osservazioni del telescopio Subaru grazie ad una tecnica che permette di individuare le galassie con formazione stellare appartenenti al proto-ammasso; questi risultati sono descritti in un altro articolo pubblicato quest’anno sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society e guidato da Yusei Koyama dell’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone. Le 63 galassie scoperte producono stelle per un totale di oltre 2200 volte la massa del Sole ogni anno, molto più rapidamente di quanto previsto dalle simulazioni cosmologiche odierne.
“Adesso possiamo comprendere gli altissimi tassi di formazione stellare indicati dai dati di Planck”, spiega Mari Polletta. “Grazie a immagini più dettagliate in lunghezze d’onda submillimetriche, fornite da alcune delle osservazioni più profonde del telescopio spaziale Herschel, e a dati di archivio che coprono gran parte dello spettro elettromagnetico, abbiamo dimostrato che ci sono galassie brillanti lungo la linea di vista che non fanno parte di questo proto-ammasso e che contribuiscono ad aumentare la luminosità registrata da Planck. Tuttavia, anche tenendo conto di ciò, il tasso di formazione stellare totale del proto-ammasso G237 rimane straordinariamente alto – almeno 2200 masse solari all’anno e forse anche il doppio – sulla base del numero stimato di galassie nascoste dalla polvere, che non vengono rivelate dalle osservazioni ottiche”.
Studiando queste galassie, il team ha scoperto che le regioni centrali di G237 non solo sono più dense rispetto al resto del proto-ammasso ma contengono anche galassie che tendono a essere più massicce, a formare stelle più rapidamente e a ospitare 7 volte più buchi neri supermassicci in accrescimento. Questa segregazione tra centro e periferia dà ai ricercatori un’idea dei possibili meccanismi fisici che portano alla formazione delle galassie massicce osservate al centro degli ammassi di galassie maturi.
“Stiamo analizzando ulteriori dati di Planck su questo e altri proto-ammassi per studiare il gas che dà vita a nuove stelle e alimenta i buchi neri supermassicci, con l’obiettivo di determinare la sua origine e spiegare il livello straordinario di attività osservata”, aggiunge Polletta.
Con il telescopio spaziale JWST, che sarà lanciato a dicembre, si potranno ottenere immagini senza precedenti di alcuni di questi proto-ammassi per studiare la morfologia delle singole galassie che li formano e i processi fisici responsabili delle loro caratteristiche. Il satellite Euclid, con lancio previsto tra poco più di un anno, permetterà di studiare queste sorgenti in maniera dettagliata e di scoprirne molte altre per inquadrarle nel contesto generale di formazione ed evoluzione delle strutture nell’universo.