L’isola di Vulcano e le sue attività recenti, dalla lunga eruzione del 1888-90 ai giorni nostri

La lunga eruzione del 1888-90 è l’evento che ha portato all’introduzione del termine eruzione “Vulcaniana”, coniato da Giuseppe Mercalli che ne fu testimone e studioso, come inviato del Governo Italiano.
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Vulcano è un sistema vulcanico attivo situato all’estremità meridionale dell’allineamento Salina-Lipari-Vulcano nell’arcipelago delle Isole Eolie. Da circa 5500 anni ed a tutt’oggi, il centro vulcanico attivo è rappresentato dal cono di tufi di La Fossa che sovrasta l’abitato del Porto di Levante. La sua ultima eruzione è avvenuta tra l’agosto 1888 e il 22 marzo 1890. Fino a circa 400 anni fa, anche il piccolo centro eruttivo di Vulcanello è stato pienamente attivo.

La Fossa e Vulcanello sorgono all’interno di una caldera di origine vulcano-tettonica che si è formata in più fasi e che prende il nome dal cono principale (Figura 1).

Figura 1 – Carta morfotettonica dell’isola di Vulcano

La Fossa ha avuto una intensa attività eruttiva in epoca storica (ultimi 2000 anni), spesso contemporaneamente a Vulcanello e, considerando solo gli ultimi 500 anni, si contano due cicli di eruzioni prolungate (1727-1739; 1888-1890), fra i quali ci sono stati alcuni eventi eruttivi molto brevi riportati dalle cronache storiche (1771, 1786, 1823-24, 1873, 1876, 1878-79, 1886), come esplosioni e emissioni di ceneri e di “grossi massi infuocati” o, soprattutto, boati spaventosi.

La lunga eruzione del 1888-90 è l’evento che ha portato all’introduzione del termine eruzione “Vulcaniana”, coniato da Giuseppe Mercalli che ne fu testimone e studioso, come inviato del Governo Italiano. L’eruzione Vulcaniana ha caratteristiche  riconoscibili in molti altri vulcani del mondo, tanto da essere adottato come termine classificativo per questo particolare stile eruttivo. Si tratta di eruzioni caratterizzate da intenso degassamento, da esplosioni pulsanti, di breve durata e molto tonanti – Mercalli scrisse: “… esplosioni come cannonate a intervalli irregolari…” – con emissione di dense nubi grigio-scure a sviluppo verticale, ricche di ceneri e frammenti di magma destinati a ricadere al suolo sia sotto forma di pioggia di frammenti quasi solidi (prodotti da caduta) sia sotto forma di correnti diluite di gas e particelle (magmatiche) che scorrono al suolo, lungo i fianchi del vulcano. Le fotografie che seguono mettono a confronto una esplosione Vulcaniana del 1889 (figura 2) con una esplosione dello stesso tipo avvenuta nel 2020 al vulcano Sabancaya, in Perù (figura 3).

Figura 2 – Le due foto in alto mostrano le fasi iniziali di esplosioni Vulcaniane con vapori, ceneri e frammenti di magma, e sono state fotografate all’interno de La Fossa nel settembre 1889.
Figura 3 – Esplosione vulcaniana del vulcano Sabancaya, Perù. Fotografia OVI INGEMMET.

Il magma che da origine a queste eruzioni è, di solito, un magma molto viscoso e denso, con una temperatura variabile tra 800-1000 °C a seconda della sua composizione, che varia fra andesitica, dacitica, trachitica e riolitica, contenente sacche di gas che vengono liberate rapidamente ed a intervalli insieme con il magma frammentato. Spesso infatti, questo gas deve rompere una “cupola” di un magma siffatto fermo nel condotto o che forma un duomo e può farlo solo quando raggiunge una sovrapressione. In tal modo, ogni esplosione, o sequenza di esplosioni, è capace di generare un ventaglio di frammenti con dimensioni molto diverse. Fra questi  spiccano i blocchi e le grandi bombe a crosta di pane : scorie o pomici dense, vetrose, con una superficie caratteristica che ricorda quella del pane (figura 4), visibili lungo l’intera area sommitale del cono di La Fossa.

Nell’eruzione del 1888-90 le bombe a crosta di pane non solo ricaddero in area craterica, ma anche ai piedi del cono e, talune, fino alla zona ora occupata da Vulcano Porto. All’epoca non si registrarono vittime poiché l’isola allora era abitata solo da quelli che lavoravano alle attività estrattive di zolfo e allume di James Stevenson, proprietario di quasi tutta l’isola (acquistata dal generale borbonico Vito Nunziante).

Figura 4 – Una tipica bomba a crosta di pane (Foto di G. De Astis, La Fossa di Vulcano – 2021).

Attività 1727-1739 (eruzione cosiddetta “di Pietre Cotte”)

Dopo circa 200 anni di riposo dall’attività eruttiva che causò la formazione dell’istmo che tuttora unisce Vulcano a Vulcanello (1525-1550 ca.) – forse per un’eruzione da La Forgia Vecchia – e da una modesta attività eruttiva di Vulcanello stesso nel XVII sec., La Fossa tornò a farsi sentire nel 1727 dando inizio alla sequenza di eruzioni di “Pietre Cotte”.

L’attività eruttiva di questo periodo è costituita da un ciclo di esplosioni Vulcaniane simile a quello che si verificò nel corso dell’ultima eruzione, di cui si parla più avanti, ma con la differenza di essere alimentato da un magma più ricco in gas e più fluido, che ha portato alla formazione di vari depositi ricchi in pomici o esclusivamente costituiti da pomici (da caduta), come lo spesso strato di bombe (ben visibile lungo i fianchi orientali del cono e al di fuori di esso, sui rilievi della Lentia). Il ciclo di eruzioni si concluse con l’emissione di una colata di lava (“di Pietre Cotte” – Figura 5) nel 1739, evento che non sarà osservato alla fine del ciclo di esplosioni del 1888-90. Un aspetto importante di questa attività, che invece è comune con l’ultima eruzione, è legato alle sue fasi iniziali: i depositi che ci permettono di ricostruirle hanno caratteristiche che indicano la compresenza di due distinti magmi e il verificarsi di processi di interazione tra magma e acqua. Questa interazione, che può essere fortemente esplosiva, è stata resa possibile dalla presenza di un sistema di circolazione idrotermale simile a quello che anche oggi alimenta le fumarole sul bordo craterico.

Figura 5 – Il cono de La Fossa visto da Lentia (ottobre 1996), con la lingua di lava di Pietre Cotte che si estende fino alla base del cono. A sinistra l’abitato di Vulcano Porto. Foto di B. Behncke.

Dopo la fine dell’attività eruttiva 1727-1739, La Fossa attraversò periodi di riposo piuttosto lunghi – principalmente caratterizzati dal degassamento di una bocca situata sul fondo del cratere e di fratture sui bordi craterici – e da brevissimi periodi di attività esplosiva, sempre di tipo vulcaniano. Le cronache storiche segnalano questi eventi negli anni 1771, 1786, 1823-24, 1873 e, per il periodo a cavallo tra 1822 e il 1823, riportano sia un degassamento particolarmente intenso associato a detonazioni sia una debole sismicità avvertibile in area craterica. Nell’intervallo di tempo che  separa il 1873 dall’eruzione del 1888-90, né bollettini né cronache riportano un’attività sismica tale da essere avvertita dai pochi abitanti dell’isola, ma sono frequenti i racconti di forti rombi e boati impressionanti, di fumo più denso e abbondante… fenomeni che si intensificano nel periodo aprile 1886 – luglio 1887.

Attività 1888-1890, ultima eruzione

Il campo fumarolico presente al cratere di La Fossa, descritto da Dolomieu nel 1781 e da Spallanzani nel 1788, doveva essersi già ampliato nei primi decenni dell’800, ma nell’agosto del 1887 si accrebbe ulteriormente cosicché già molti mesi prima dell’inizio dell’eruzione (agosto 1888), i minatori che lavoravano nel cratere per estrarre zolfo, acido borico e allume dovettero spesso rinunciare a recarsi nell’area delle fumarole sia a causa dell’aumento del flusso di calore sia della quantità di gas contenenti zolfo, che rendevano l’aria irrespirabile.

A partire dal 3 agosto, con una fortissima esplosione, ebbe inizio un periodo di quasi due anni di eruzioni (Figura 6). L’attività eruttiva fu un duro colpo per l’economia di Vulcano tanto che l’allora proprietario dell’isola, il gallese James Stevenson, abbandonò la sua casa (“il Castello”), centrata e danneggiata da alcune bombe a crosta di pane, e i suoi vigneti coperti da ceneri e lapilli, lasciando l’isola col suo famoso battello a vapore (il Fire Fay). Anche i pochi abitanti ed operai furono costretti a partire, probabilmente prima.

Quegli anni però dettero vita ad uno dei più importanti lavori di vulcanologia di fine ‘800 e di molti decenni a seguire: “Le eruzioni dell’Isola di Vulcano incominciate il 3 agosto 1888 e terminate il 22 marzo 1890”, volume scritto da Giuseppe Mercalli insieme con Orazio Silvestri, ed il contributo di Giulio Grablovitz e Vincenzo Clerici.

Figura 6 – Foto di A. Silvestri – scattata da Lipari – raffigurante una esplosione Vulcaniana il 20 agosto del 1888: si noti lo sviluppo verticale della colonna eruttiva

Nei depositi piroclastici dell’eruzione del 1888-90 sono riconoscibili numerose unità che rappresentano quanto prodotto dalle nubi eruttive a più alta energia – le “esplosioni fortissime” di cui scrisse Mercalli – mentre le innumerevoli altre esplosioni avvenute nei due anni di attività si ritiene non abbiano lasciato tracce riconoscibili nella successione stratigrafica. L’intera successione dei depositi di questa eruzione è il risultato di molti impulsi di attività da caduta (con la sostanziale componente balistica delle bombe a crosta di pane) alternati ad alcune fasi eruttive alimentate da correnti piroclastiche diluite con formazione di quei sottili strati di ceneri che si vedono bene lungo i fianchi di La Fossa (figura 5).

La cosa interessante da notare è che, come nel caso di “Pietre Cotte”, l’inizio dell’eruzione è registrato da due strati di brecce legate all’interazione fra acqua e magma. In questi depositi iniziali sono infatti presenti abbondanti inclusi litici fumarolizzati e non, come pure si riconoscono frammenti di due magmi distinti man mano che l’eruzione procede. Questi caratteri (dei prodotti) testimoniano la presenza di un sistema idrotermale che al momento dell’eruzione esplode violentemente “ per l’interazione del magma con l’acqua del sistema stesso (eruzione freatomagmatica); ma anche l’interazione fra due magmi a composizione diversa, dove quello più caldo, risalendo da un serbatoio più profondo, può aver innescato l’eruzione di quello più freddo e denso vicino alla superficie (la cupola di cui si è detto nel primo paragrafo).

Al termine di questa eruzione, il condotto vulcanico ed il cratere della Fossa di Vulcano rimangono ostruiti, ed il vulcano entra in una fase di attività caratterizzata solo da periodi di degassamento. Nel corso dell’ultimo secolo, l’intensità del degassamento è stata molto variabile e molto spesso concentrata sul bordo settentrionale del cratere, con flussi più elevati che altrove.

L’attività post 1888-1890 e i recenti episodi di unrest della Fossa di Vulcano

Per almeno un ventennio dopo l’eruzione 1888-’90, l’attività delle fumarole e l’emissione di gas subirono una battuta d’arresto e una forte diminuzione. Ma lo stato del vulcano cambiò ancora, e dall’inizio del secolo scorso sono avvenuti alcuni episodi di unrest (termine usato nel linguaggio internazionale per descrivere uno stato di “agitazione” di un vulcano).

Nel 1916, fu il Prof. Ottorino De Fiore a riscontrare un marcato risveglio dell’attività fumarolica nel settore N-NW de La Fossa, misurando temperature elevate in due diversi punti: 352 °C a cavallo dell’orlo craterico settentrionale (da una una nuova frattura radiale, con andamento N-S) e 416 °C (da un’altra frattura sulla parete craterica interna, sotto la prima, con andamento E-W). Successivamente, le misure di temperatura alle fumarole furono prese sporadicamente dai pochi scienziati recatisi a Vulcano. Fra questi, Ludovico Sicardi che andò sull’isola più volte e molti anni dopo, scriverà che il degassamento era molto diminuito nella sua visita del 1937 e documenterà le misure prese negli anni precedenti (Tabella 1).

Tabella 1 -Le temperature misurate nei primi 30 anni del 1900 da vari autori.

Tra il 1940 e l’inizio degli anni ’70, le attività di emissione dal cratere de La Fossa, rimasero deboli. Una nuova fase di riscaldamento delle fumarole del cratere ebbe inizio alla fine del 1977 e subì una serie di fluttuazioni, associate a variazioni significative del contributo di “gas magmatici”, ovvero quelli direttamente prodotti dal degassamento del magma (CO2, SO2, H2S). Nel febbraio 1980 venne misurata una temperatura relativamente elevata (315 °C), ma nel corso di  quell’anno e fino al gennaio 1984 i geochimici osservarono valori di temperatura in calo e solo lievi cambiamenti nella composizione chimica dei fluidi emessi. Da allora ad oggi, i dati raccolti dalle reti di sorveglianza identificano diverse fasi di incremento dell’attività fumarolica. La più lunga e problematica è stata sicuramente quella compresa fra il 1987 e il 1993.

Figura 7 – Attività fumarolica al cratere de La Fossa, 20 settembre 1989. Foto di B. Behncke

Nel 1988, si verifica il distacco di una frana dal versante settentrionale del cono che finisce in mare e produce, secondo alcune testimonianze, un’onda anomala.

La temperatura delle fumarole sul bordo craterico cresce  a più riprese raggiungendo i 650 °C nel 1991 e 690 °C nel giugno 1993.  Si osserva un aumento della superficie esalante (da 50 m2 nel 1983 a 650 m2 nel 1990), accompagnato da un aumento del tasso di emissione. Il 28 gennaio 1991 si registra un evento sismico di lungo periodo (Magnitudo 2.6). Nel corso degli anni successivi, la temperatura dei gas si è progressivamente abbassata, ma l’attività esalante ha continuato ad avere periodi di maggior intensità ed estensione areale nel 2004-2005 e nel 2009.

La situazione attuale e le variazioni del sistema in corso

A partire dal mese di luglio 2021, ed in particolare  dai primi di settembre, i sistemi di monitoraggio dell’INGV hanno messo in evidenza la variazione di alcuni segnali geofisici e geochimici, in particolar modo quelli legati all’attività del sistema idrotermale che alimenta le fumarole del cratere della Fossa e l’area degassante di Grotte dei Palizzi, posta alla base meridionale del cono.

In particolare, sono stati osservati un aumento della temperatura di queste fumarole e una variazione nella composizione dei gas, con un maggior contributo di componenti direttamente legati al degassamento magmatico (CO2 e SO2). L’aumento del rapporto isotopico dell’He (un tipico indicatore  magmatico), registrato dalla Sezione INGV di Palermo  è coerente con questa variazione.

La temperatura dei gas fumarolici è aumentata fino a valori massimi di 340°C (figura 8), con punti sul fianco interno del cratere dove la crescita ha superato i 100 °C. È aumentato anche il degassamento diffuso lungo il bordo meridionale del cratere.

Figura 8 – Registrazione automatica delle variazioni di temperatura (°C) nelle fumarole sull’orlo del versante Nord del cono La Fossa (dal Bollettino di monitoraggio geochimico isola di Vulcano, Agosto 2021).

Le caratteristiche di questi gas suggeriscono un’origine a partire dal degassamento di un magma di composizione latitica che si ipotizza esistere a profondità comprese fra 3.5-4 km (altri episodi di unrest avvenuti nel 2004 e nel 2009 sembrano associate a corpi magmatici leggermente più superficiali).

Alla base del cono de La Fossa, temperatura e salinità delle acque di falda misurate in continuo in un pozzo termale sono entrambe aumentate, così come il degassamento diffuso dai suoli in alcuni siti (e.g. Grotta dei Palizzi, Camping Sicilia). Non si osserva invece un incremento significativo del degassamento diffuso, né anomalie nella falda termale, nelle aree dell’abitato di Vulcano Porto e più distanti dal cono stesso.

Dal punto di vista sismico, a partire dal 13  settembre si è osservato un aumento significativo della microsismicità nell’area del cratere La Fossa (figura 9). Questa sismicità di bassa energia, in genere localizzata entro il primo chilometro di profondità sotto il cono, è legata sia a fenomeni di risonanza dei condotti che a processi di fratturazione in ambiente idrotermale, dove le  rocce alterate hanno scarse proprietà meccaniche.

L’attuale fase di incremento è stata caratterizzata anche dalla presenza di eventi sismici (denominati VLP, Very Long Period events) con un contenuto in frequenza minore di quello osservato per le microscosse tipicamente registrate alla Fossa. Questi segnali sismici non sono mai stati registrati negli ultimi 15 anni (da quando è stata installata una rete “broadband” capace di identificarli), e la loro presenza è compatibile con un incremento dei fluidi che induce una pressurizzazione dei condotti e conseguenti fenomeni di risonanza. Queste osservazioni sono coerenti con quanto evidenziato dai dati di geochimica. Per quanto riguarda la sismicità da fratturazione (terremoti) legata alla dinamica delle strutture tettoniche presenti nell’area di Vulcano, non ha mostrato variazioni significative e si mantiene su un livello molto basso.

Relativamente alle deformazioni del suolo, a partire dalla metà di agosto le misure GPS hanno evidenziato una modesta dilatazione dell’area del cono della Fossa. Questo processo ha subìto un’accelerazione a metà settembre, ed è ancora in corso, con spostamenti massimi fino ad 1 cm (verso nord, sul lato settentrionale del cono). Tale deformazione del suolo sembrerebbe confermata anche dalle misure INSAR effettuate dal CNR-IREA, che indicherebbero uno spostamento verticale di circa 1 cm.

I livelli di allerta 

Come per altri vulcani italiani, la gestione dell’emergenza vulcanica prevede l’utilizzo di 4 livelli di allerta – verde, giallo, arancione e rosso – che consentono alle autorità di Protezione Civile nazionali e locali l’attivazione di misure di mitigazione del rischio adeguate allo stato di attività del vulcano in sintonia con i dati del monitoraggio e le osservazioni disponibili.

Lo schema generale dei Livelli di allerta a 4 colori descrive, per ciascun colore, le fenomenologie osservate e probabili del sistema vulcanico monitorato, in funzione del suo progressivo allontanamento da una condizione di base, considerata di equilibrio (colore “Verde”). Il livello di allerta “Giallo” è un livello di attenzione e determina, come nel caso di Vulcano, un potenziamento delle attività di monitoraggio e sorveglianza, un raccordo informativo costante tra la comunità scientifica e le varie componenti e strutture operative del Servizio Nazionale della Protezione Civile, un aggiornamento dei piani di protezione civile ed un’ampia attività di informazione verso la popolazione residente sull’isola ed i turisti, con specifico riferimento all’innalzamento del livello di rischio.

In generale, i dati e le osservazioni raccolte dalle reti di monitoraggio, insieme alle valutazioni di pericolosità elaborate dall’INGV, sono tempestivamente trasmessi, secondo procedure concordate e ben definite, al Dipartimento della Protezione Civile (DPC), alle Autorità Regionali e Comunali di protezione civile, alle Prefetture competenti e agli altri Centri di Competenza eventualmente coinvolti. Sulla base di queste informazioni, il DPC definisce il livello di allerta da assegnare al vulcano. Il sistema di allertamento che il DPC ha predisposto in collaborazione con lo stesso INGV e con altri Centri di Competenza, esprime quindi, in modo semplificato, lo stato di attività del vulcano e la sua possibile evoluzione a breve termine, contemplando gli scenari plausibili e la loro rilevanza, a scala locale o nazionale.

Tuttavia, occorre tenere ben presente che alcune fenomenologie vulcaniche sono del tutto imprevedibili e che pertanto, anche con il livello di allerta “Verde”, il rischio non è mai da considerarsi nullo. Per maggiori informazioni sul rischio vulcanico si trovano sulla pagina del DPC dedicata a Vulcano.

Possibili sviluppi

Come potranno evolvere questi fenomeni? Cosa ci aspettiamo possa accadere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi?

Purtroppo non possiamo rispondere con certezza a queste domande, poiché lo studio attento degli episodi di unrest passati ci insegna che nelle prossime settimane/mesi le anomalie dei diversi parametri oggi osservate potrebbero acuirsi oppure attenuarsi per tornare ai valori registrati negli scorsi mesi/anni.

È importante evidenziare che l’isola di Vulcano, già in condizioni ordinarie ossia con livello di allerta Verde, presenta una certo grado di esposizione a fenomeni pericolosi quali gas tossici o asfissianti rilasciati dalle fumarole e con temperature elevate in diverse aree del cratere e di Vulcano Porto e Spiaggia di Levante, ed in generale per la grande vicinanza del principale centro abitato al centro attivo di La Fossa. Va sottolineato poi che l’emissione di gas non avviene esclusivamente nelle zone dove ci sono fumarole ben visibili. La propagazione del gas può avvenire infatti anche in modo diffuso, attraverso il suolo, e senza che ci siano segni evidenti a segnalarne la posizione, come i caratteristici depositi gialli di zolfo che si notano sul bordo craterico. Queste emissioni diffuse possono essere particolarmente insidiose proprio perché non si notano e possono causare accumuli al suolo di gas, talvolta privi di odore e colore. Questi gas invisibili sono più pesanti dell’aria e possono facilmente saturare avvallamenti o luoghi chiusi, sostituendosi all’aria respirabile. Per questo occorre la massima cautela in prossimità delle zone di emissione (a terra o a mare), in zone sottovento, in aree topograficamente ribassate e in luoghi chiusi. In questa nuova fase caratterizzata dal Livello di allerta Giallo, tali fenomeni potrebbero intensificarsi con conseguente aumento del rischio.

Al momento in cui scriviamo (inizio ottobre 2021), i fenomeni e le anomalie osservati riguardano solamente la parte sommitale de La Fossa, ma non si può escludere che in prossimo futuro si possa rilevare un ulteriore aumento dei parametri monitorati e un allargamento dell’estensione areale di queste anomalie anche nelle aree più distanti da La Fossa, a terra e a mare.

L’esistenza di un sistema idrotermale così attivo presenta inoltre la possibilità di eruzioni freatiche, innescate cioè non dal magma ma dai fluidi idrotermali. La circolazione di fluidi idrotermali si accompagna spesso alla deposizione di concrezioni di vario tipo. Quando questo avviene all’interno dei condotti fumarolici, si possono creare delle ostruzioni che impediscono o  limitano la circolazione dei fluidi. In questi casi, la pressione all’interno del sistema idrotermale può aumentare in modo considerevole, fino a causare la frammentazione delle rocce, e dunque un’esplosione che avviene anche in assenza di magma. Dal momento che non coinvolgono movimenti di grandi corpi magmatici, le eruzioni freatiche generalmente non sono accompagnate da quei segnali attesi prima di un’eruzione magmatica, e questo le rende ancor più pericolose.

Il personale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è costantemente impegnato nelle attività di monitoraggio e sorveglianza, in particolare con il proprio personale dell’Osservatorio Etneo e della Sezione di Palermo e con il coordinamento del Centro per il Monitoraggio della Isole Eolie, per osservare i fenomeni in corso e cogliere eventuali nuove variazioni, seppur piccole, dei parametri monitorati. Per questa ragione, l’INGV sta provvedendo al potenziamento delle reti di monitoraggio e sorveglianza esistenti. Da circa due  mesi sono attive 6 nuove stazioni di misura di flusso di CO2 dal suolo e concentrazione in aria nell’abitato di Vulcano Porto. Inoltre, negli ultimi giorni, l’Osservatorio Etneo ha installato nuove stazioni sismiche a integrazione di quelle esistenti sull’isola e ha progettato la sistemazione di una nuova telecamera termica che inquadri l’area fumarolica del cratere. Nelle prossime settimane, sono previste ulteriori campagne di misura ed a metà ottobre sarà effettuata la campagna annuale di misure GPS tra le isole di Vulcano e Lipari.

Sul fronte dell’informazione, l’INGV è impegnato con frequenti comunicazioni su tutti i propri canali, e sta dedicando particolare attenzione agli abitanti di Vulcano e ai turisti presenti sull’isola, mantenendo aperto il Centro Informativo del Porto di Ponente (Centro Marcello Carapezza), dove sarà possibile avere informazioni aggiornate sui fenomeni in corso.

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