Clima: sottostimati i benefici di un calo nella domanda di petrolio

Su Nature studio che connette la produzione di 1933 campi petroliferi con la loro redditività e scopre che uno shock, anche lieve, taglierebbe prima i barili a maggiore intensità di carbonio
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Una moderata riduzione della domanda mondiale di petrolio, ad esempio in seguito a una rapida diffusione dei veicoli elettrici, potrebbe portare a un calo delle emissioni di CO2 superiore a quanto finora previsto. I campi petroliferi, infatti, producono greggio con diversi livelli di resa ed emissioni di carbonio. Secondo uno studio appena pubblicato su Nature da ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Stanford, Pittsburgh, Ford, Aramco e German Aerospace Center, le compagnie petrolifere potrebbero ridurre la produzione con intensità di carbonio (quantità di emissioni per ogni barile estratto) superiore alla media.

Lo studio connette le emissioni di CO2 dovute all’estrazione di petrolio di 1933 campi petroliferi, che costituiscono circa il 90% della produzione mondiale di greggio, con la loro profittabilità. A tale scopo, i ricercatori hanno stimato un modello dinamico di offerta di petrolio a livello di compagnia petrolifera. In questo modo, hanno potuto capire quali produttori ridurranno i volumi estratti ed in che misura in conseguenza di uno shock alla domanda mondiale di petrolio.

I nostri risultati mostrano come uno shock negativo alla domanda mondiale di petrolio induca un taglio della produzione non lineare – spiega Valerio Dotti, ricercatore al Dipartimento di Economia di Ca’ Foscari – I barili non estratti avrebbero un’intensità di carbonio dal 24 al 54% superiore alla media a seconda delle specifiche del modello e dell’entità del calo della domanda. Questo implica che anche una modesta riduzione della domanda mondiale di petrolio (ad esempio -2,5%, -5% e -10% nella nostra analisi) ha un effetto considerevole sulla riduzione delle emissioni di CO2 dovute al settore petrolifero”.

La spiegazione sta nella redditività della produzione. E’ razionale aspettarsi, infatti, che i produttori, sia i grandi cartelli che le compagnie minori, tendano a privarsi prima dei barili meno profittevoli, che sono appunto quelli a più alta intensità di carbonio. Il greggio a bassa o media intensità di carbonio è il più redditizio. Secondo i ricercatori, inoltre, le politiche dovrebbero tenere in considerazione la struttura del mercato: i produttori non sono tutti uguali e anche i più marginali potrebbero essere relativamente poco colpiti da un calo della domanda.

Questo risultato ha notevoli implicazioni per il design di politiche pubbliche volte a mitigare il riscaldamento globale – conclude Dotti – Ad esempio, implica che l’introduzione di tecnologie volte a ridurre il consumo di combustibili fossili ha un effetto sulla riduzione delle emissioni di CO2 superiore a quanto precedentemente creduto sulla base dei valori delle emissioni medie per barile estratto”.

Lo studio:

Carbon implications of marginal oils from market-derived demand shocks

Mohammad S. Masnadi, Giacomo Benini, Hassan M. El-Houjeiri, Alice Milivinti, James E. Anderson, Timothy J. Wallington, Robert De Kleine, Valerio Dotti, Patrick Jochem & Adam R. Brandt

https://www.nature.com/articles/s41586-021-03932-2

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