“Al 31 dicembre 2020, data di riferimento della terza edizione del Censimento permanente, la popolazione in Italia conta 59.236.213 residenti, in calo dello 0,7% rispetto al 2019 (-405.275 individui). Questo calo è attribuibile prevalentemente alla dinamica demografica tra il primo gennaio e il 31 dicembre 2020: infatti, il saldo dovuto al movimento demografico totale (saldo naturale più migratorio), desumibile dalle fonti anagrafiche, ha fatto registrare 362.507 unità in meno“: è quanto ha rilevato l’ISTAT riguardo ai dati del ‘Censimento della popolazione e dinamica demografica 2020’. “Il conteggio della popolazione abitualmente dimorante, effettuato sulla base dei ‘segnali di vita amministrativi’, ha poi determinato un ulteriore aggiustamento statistico pari a -42.768 unità: si tratta di un saldo dovuto alla differenza tra unità conteggiate in aggiunta rispetto alla popolazione iscritta in anagrafe e unità in detrazione. A livello di ripartizione geografica, il saldo dovuto all’aggiustamento statistico censuario è positivo al Centro-nord e negativo nel Mezzogiorno; in particolare, nell’Italia Centrale sono state conteggiate come abitualmente dimoranti quasi 30mila unità in più rispetto alla popolazione calcolata, e 20mila unità in più nell’Italia Nord Occidentale, mentre nel Mezzogiorno oltre 97mila in meno“. Gli stranieri censiti sono 5.171.894; l’incidenza sulla popolazione totale si attesta a 8,7 stranieri ogni 100 censiti. A fronte di una maggiore presenza della componente straniera rispetto al 2019, la popolazione italiana risulta inferiore di 537.532 unità, ha precisato ISTAT aggiungendo che tuttavia il risultato è frutto di “un effetto dovuto prevalentemente alla diversa metodologia adottata per il conteggio 2020 rispetto al 2019 e al 2018“.
La popolazione diminuisce in tutte le regioni
“La distribuzione territoriale della popolazione è pressoché immutata rispetto al censimento del 2019: il 46,3% risiede nell’Italia Settentrionale, il 19,8% in quella Centrale, il restante 33,8% nel Sud e nelle Isole. Più del 50% dei residenti è concentrato in 5 regioni, una per ogni ripartizione geografica (Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia),” ha rilevato l’ISTAT, secondo cui la popolazione diminuisce in tutte le regioni, soprattutto al Sud e nelle Isole. “L’ammontare di popolazione al 31 dicembre 2020 è inferiore a quello del 2019 in tutte le ripartizioni, in particolare nel Mezzogiorno (-1,2% nell’Italia Meridionale e -1% nelle Isole) quasi ovunque, a eccezione delle province autonome di Bolzano e di Trento, a determinare la diminuzione è soprattutto la dinamica demografica recessiva del 2020“. “Tutte le regioni registrano una contrazione di popolazione residente ad eccezione della Toscana, che ha una variazione pressoché nulla rispetto al 2019 per effetto del recupero censuario che ha annullato il contributo negativo della dinamica demografica. I cali maggiori si osservano in Molise (-2,1%), Calabria (-1,8%), Campania (-1,5%) e Sardegna (-1,3%)“.
Si conferma prevalenza delle donne
La prevalenza delle donne, dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione e alla maggiore speranza di vita, si conferma anche nel 2020. Rappresentano il 51,3% del totale, superando gli uomini di 1.503.761 unità. Secondo l’ISTAT, “il rapporto di mascolinità è quindi pari a 95 uomini ogni 100 donne, più equilibrato rispetto al 2011 quando si contavano 93,5 uomini ogni 100 donne Come nel 2019, il rapporto di mascolinità più alto si registra in Trentino-Alto Adige (97,7) mentre si abbassa ulteriormente in Sardegna (95,8 da 96,6) e in Calabria (95,3 da 96). Ci sono però 2.575 comuni dove il rapporto di mascolinità risulta sbilanciato a favore degli uomini (il 32,6% del totale contro il 23,5% del 2011)“. “Si tratta in gran parte di comuni piccoli in cui l’elevato rapporto di mascolinità è dovuto alla prevalenza della componente maschile tra la popolazione straniera. Come nel 2019, il rapporto di mascolinità più alto si registra a Briga Alta in provincia di Cuneo (215,4), quello più basso a Montebello sul Sangro in provincia di Chieti (con appena 63 uomini ogni 100 donne)“.
Si accentua inoltre l’invecchiamento della popolazione. “La struttura per età si conferma anche nel 2020 fortemente squilibrata a favore della componente anziana della popolazione – ha proseguito l’ISTAT – Rispetto all’anno precedente per entrambi i generi scende leggermente il peso percentuale delle classi 25-29, 35-39, 40-44 e 75-79 anni mentre aumenta (sempre di poco) quello delle classi 55-59, 60-64 e 70-74 anni. Di conseguenza anche l’età media si innalza, da 45 a 45,4 anni, pur con una certa variabilità nella geografia dell’invecchiamento“.
La Campania la regione più giovane
“La Campania, con un’età media di 42,8 anni (42 del 2019), continua a essere la regione più giovane, la Liguria quella più anziana (48,7 come nel 2019),” secondo l’ISTAT. “Il comune più giovane è, come nel 2019, Orta di Atella, in provincia di Caserta (età media 35,7 anni), mentre il più vecchio è Ribordone, in provincia di Torino (età media 66,1 anni). Lo squilibrio della piramide per età della popolazione è ben evidenziato anche dal confronto tra la numerosità degli anziani (65 anni e più) e quella dei bambini sotto i 6 anni di età. Nel 2020 per ogni bambino si contano 5,1 anziani a livello nazionale, valore che scende a 3,8 in Trentino-Alto Adige e Campania, e arriva a 7,6 in Liguria“.
La pandemia ha accentuato la recessione demografica
La pandemia ha accentuato la tendenza alla recessione demografica già in atto e il decremento di popolazione registrato tra l’inizio e la fine dell’anno 2020 risente di questo effetto, secondo l’ISTAT. Il diverso impatto che l’epidemia da Covid-19 ha avuto sulla mortalità nei territori – maggiore al Nord rispetto al Mezzogiorno – e la contrazione dei trasferimenti di residenza spiegano la geografia delle variazioni dovute alla dinamica demografica.
“Il nuovo record minimo delle nascite (405 mila) e l’elevato numero di decessi (740 mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese. Il deficit di ‘sostituzione naturale’ tra nati e morti (saldo naturale) nel 2020 raggiunge -335 mila unità, valore inferiore, dall’Unità d’Italia, solo a quello record del 1918 (-648 mila), quando l’epidemia di “spagnola” contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni di decessi registrati in quell’anno“.