Covid, l’enorme differenza nell’impatto al Nord e al Sud: alcune molecole rendono più suscettibili all’infezione

L'enorme differenza nell'impatto del Covid tra Nord e Sud Italia potrebbe essere spiegata dalla prevalenza regionale di molecole specifiche che modellano la risposta immunitaria antivirale
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Durante la prima ondata epidemica in Italia, è emerso chiaramente come l’infezione da SARS-CoV-2 abbia colpito molto duramente il Nord Italia, lasciando il Sud ai margini dell’emergenza. Una enorme differenza tra Nord e Sud, dunque, che continua ad essere ancora visibile. Questa differenza potrebbe essere spiegata dalla “prevalenza regionale di alleli specifici dell’antigene leucocitario umano di classe I (HLA), che modellano la risposta immunitaria antivirale”, si legge in uno studio italiano, che vede tra i firmatari Pierpaolo Correale, primario del reparto di Oncologia del GOM di Reggio Calabria, oncologo e specialista in oncoimmunologia e ricercatore di livello internazionale.

Nello studio, è stato analizzato “se un insieme di alleli HLA (A, B, C), noti per essere coinvolti nella risposta immunitaria contro le infezioni, è correlato all’incidenza di COVID-19. Tra tutti gli alleli, HLA-A*25, B*08, B*44, B*15:01, B*51, C*01 e C*03, la cui frequenza è maggiore nelle regioni del Nord, hanno mostrato una correlazione positiva con il tasso di incidenza di COVID-19 fissato al 9 aprile 2020 in prossimità del picco nazionale dell’epidemia, mentre HLA-B*14, B*18 e B*49, la cui frequenza è più alta nelle regioni del Sud, hanno mostrato una tendenza opposta”, si legge nello studio, che rivela “un tasso di crescita del 16% per un aumento di 1% della prevalenza di B*44; e del 19% per l’1% di aumento della prevalenza di C*01”.

Il nostro modello suggerisce che gli individui sani portatori di HLA-B*44 e/o C*01 e, in misura minore, degli alleli HLA-A*25, HLA-B*08, possono essere più suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2” perché “non sarebbero in grado di allestire una risposta immunitaria antivirale rapida ed efficiente. Si può ipotizzare che, in questi pazienti, il virus possa diffondersi liberamente dalle mucose orofaringee, avviando una replicazione più efficiente”, si legge nello studio. “Coerentemente, sia gli alleli HLA-B*44 che C*01, che abbiamo identificato come possibilmente permissivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, sono stati anche associati a malattie autoimmuni infiammatorie note, un fatto che ne evidenzia la capacità di innescare reazioni immunologiche spesso inadeguate. Quest’ultimo risultato merita di essere esplorato in approcci sperimentali diretti volti a indagare se l’espressione di questi alleli HLA è correlata anche con esiti di malattia più aggressivi e con lo sviluppo di polmonite interstiziale”.

Il nostro studio osservazionale identifica gli alleli HLA-C*01 e B*44 come potenziali determinanti genetici per l’identificazione di individui a rischio, il che merita ulteriori indagini. Supponiamo che la genotipizzazione HLA di classe I e II nei pazienti COVID-19 possa essere facilmente ottenuta ed economicamente vantaggiosa e potrebbe fornire la base per l’identificazione di individui ad alto rischio di polmonite interstiziale e tempesta di citochine”, riporta lo studio.

La nostra analisi epidemiologica è fortemente indicativa di un ruolo permissivo di HLA-C*01 e B*44 verso l’infezione da SARS-CoV-2. Questo studio apre una nuova potenziale strada per l’identificazione delle sottopopolazioni a rischio, che potrebbe fornire ai servizi sanitari uno strumento per definire strategie e priorità di gestione clinica più mirate nelle campagne di vaccinazione”, concludono i ricercatori.

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