Circa 14mila anni fa, i paesaggi aperti ed erbosi che si estendevano a est dalla Francia attraverso l’ormai sommerso Mare di Bering fino allo Yukon in Canada furono trasformati dalla rapida diffusione degli arbusti. Allo stesso tempo, la presenza umana aumento’ significativamente e diverse specie di mammiferi si estinsero. Questa associazione ha portato gli archeologi a sospettare che la caccia da parte delle popolazioni umane avesse contribuito all’estinzione della megafauna, ma ora un nuovo studio, condotto dagli scienziati dell’Universita’ di Southampton e dell’Universita’ di Alberta, suggerisce una realta’ differente.
Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, l’estinzione dei grandi mammiferi alla fine dell’era glaciale e’ stata guidata dal riscaldamento climatico e dall’espansione della vegetazione, che ha generato habitat difficili e poco adatti alla sopravvivenza animale. I ricercatori hanno esaminato i record di polline fossile conservato nei sedimenti lacustri in Alaska e Yukon per migliaia di anni. Concentrandosi su determinati criteri di datazione, il team ha potuto individuare con precisione i tempi dell’espansione degli arbusti nella regione. Secondo i dati del gruppo di ricerca, gli arbusti di salici e betulle iniziarono ad espandersi in Alaska e Yukon circa 14mila anni fa, quando i grandi mammiferi erano ancora abbondantemente presenti nella zona.
Questi risultati, spiegano gli autori, hanno importanti implicazioni per le proposte volte a prevenire lo scongelamento dei suoli nell’Artico tramite la reintroduzione di animali come bisonti e cavalli. “Il nostro studio – afferma Mary Edwards dell’Universita’ di Southampton – utilizza un chiaro test predittivo per valutare due ipotesi opposte sugli animali di grandi dimensioni negli ecosistemi della tundra antichi e moderni. Abbiamo scoperto che alla fine dell’ultima era glaciale, un importante passaggio a condizioni piu’ calde e umide ha trasformato il paesaggio in un modo che era altamente sfavorevole per gli animali“.
Dallo studio, emerge, quindi, che il cambiamento climatico e’ stato il principale motore del cambiamento negli ecosistemi settentrionali. “Gli esseri umani potrebbero aver contribuito al declino della popolazione – aggiunge Edwards – ma il cambiamento della vegetazione dovuto al clima e’ stato il motivo principale per cui i mammiferi sono scomparsi. Questo dato ha importanti implicazioni per il prossimo futuro dell’Artico“. Con i cambiamenti climatici in atto, infatti, si tende spesso a porre l’accento sull’importanza di una forma di ripopolamento dell’Artico, che potrebbe invertire la tendenza all’aumento della copertura arbustiva e favorire la fissazione del carbonio nel suolo. “Esperimenti di rewilding su scala di recinti locali – conclude Duane Froese dell’Universita’ dell’Alberta – mostrano che i megaerbivori possono alterare il loro ambiente, guidare i cambiamenti nella vegetazione e anche la temperatura del suolo, ma si tratta di densita’ animale molto piu’ elevata rispetto a quella associata agli ecosistemi del Pleistocene. Il nostro studio suggerisce che la reintroduzione della megafauna nell’Artico potrebbe non sortire gli effetti sperati nel desensibilizzare gli ecosistemi ad alta latitudine al riscaldamento causato dall’uomo“.