Covid, Remuzzi: “Aifa ha condiviso il nostro protocollo per cure domiciliari. La tachipirina non serve, ci vogliono anti-infiammatori”

Le cure domiciliari del professor Remuzzi allo studio dell'Aifa: “Preveniamo l'iper-infiammazione che causa la morte” e la Tachipirina non serve a questo scopo
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Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri, ospite del programma di La7, In Onda, ha spiegato, in riferimento al bollettino quotidiano Covid, che “Non c’è una grande differenza tra il sapere i numeri giorno per giorno od ogni settimana. L’importante è la tendenza e i grandi studi internazionali che ci fanno vedere che i casi di infezioni cominceranno a scendere da noi tra la fine di gennaio e primi di febbraio. Pubblicare tutti i giorni i dati aiuta a capire che la malattia sta passando”.

Nel corso del talk show si è parlato poi di cure domiciliari, in riferimento al lavoro messo in atto dall’istituto di Remuzzi, al quale è stato concesso dall’Aifa uno studio approfondito sul protocollo per le cure domiciliari studiato dal suo staff: “Sulle cure domiciliari c’è stata tanta emotività e anche un po’ di confusione. Il virus è già presente in noi prima che arrivino i sintomi. In chi si ammala in forma grave c’è un’eccessiva risposta del nostro sistema immunitario a cui segue un’eccessiva infiammazione. Ci può quindi essere l’esito drammatico o la guarigione, come accade nella maggior parte dei casi. Noi – spiega l’esperto – ci siamo chiesti come potevamo agire nei primi giorni in cui normalmente le persone non fanno nulla. Abbiamo pensato di fare cose molto semplici per prevenire questa iper-infiammazione, da cui dipendono la severità della malattia e della morte. Abbiamo trattato i pazienti subito dall’inizio dei primi sintomi con anti-infiammatori, cosa che si fa con tutte le malattie delle vie alte respiratorie di natura virale. Questo ha dato risultati importanti e poi abbiamo fatto uno studio dando anti-infiammatori al primo sintomo, che ha dato il risultato di una riduzione del 90% della necessità di ospedalizzazione, ma non era uno studio perfetto, fatto nella seconda e nella terza ondata”.

“La tachipirina non è un anti-infiammatorio – precisa ancora il professore -, può essere usata per ridurre la febbre se uno ce l’ha. Gli anti-infiammatori sono l’aspirina, l’indometacina, l’ibuprofen, l’aulin, che è il nimesulide. Noi abbiamo visto che non è una questione di un anti-infiammatorio piuttosto che un altro, il nostro protocollo prevedeva di cominciare prima con nimesulide e poi di proseguire con aspirina e poi ibuprofen se uno era intollerante ai primi due. Ma l’importante era iniziare subito la terapia con un anti-infiammatorio. Abbiamo fatto poi un secondo studio per prevenire l’ospedalizzazione. Su 108 pazienti si è ridotta del 90% la necessità di ricorrere all’ospedale. Anche questo studio non è perfetto. Non è sbagliato che l’Aifa e il ministero della Salute abbiano preso questi studi per dare indicazioni ai medici su come curare i pazienti. I nostri due studi non sono così forti da essere utilizzati per dare raccomandazioni. Adesso però – precisa Remuzzi – dopo un po’ di trattative e un po’ di fatica siamo riusciti ad arrivare ad avere un protocollo condiviso con Aifa. Ci sono 600 e oltre pazienti per gruppo, con gli anti-infiammatori da una parte e dall’altro quello che ritengono di dover fare i medici. Avere 600 pazienti per gruppo non dovrebbe richiedere tanto tempo vista la contagiosità di Omicron, anche se sembra brutto dire di dover reclutare i pazienti. A quel punto avremo una risposta definitiva sull’approccio delle nostre cure domiciliari e se sarà la chiave di volta per la pandemia. Le cure domiciliari non sono alternative al vaccino”, conclude l’esperto.

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