Ad inizio pandemia, si sosteneva che l’impatto del Covid sarebbe stato devastante in Africa, a causa della scarsità dei servizi sanitari e in seguito della scarsa diffusione dei vaccini. Invece, dopo due anni di pandemia, i dati dimostrano che non è stato così. I tassi di mortalità, infatti, sono molto più bassi di quelli dell’Occidente. E la presunta scarsa affidabilità delle rilevazioni statistiche locali è stata smentita da fonti autorevoli che hanno condotto indagini che hanno prodotto risultati comparabili a quelli riscontrati in loco.
Insomma, nonostante una bassa diffusione dei vaccini (circa dodici ogni cento persone), l’Africa non è mai stata travolta dall’ecatombe preannunciata. E ora le prime ricerche suggeriscono cosa potrebbe avere aiutato la popolazione del continente nella lotta con il coronavirus SARS-CoV-2: si tratta di “scudi” di diverso tipo.
Il primo riguarda il Covid stesso, in particolare la presenza di anticorpi nella popolazione, segno che gli abitanti hanno incontrato il virus. Secondo i dati raccolti da Kondwani Jambo, immunologo del Malawi-Liverpool-Wellcome Trust Clinical Research Programme, l’81% degli abitanti di Blantyre aveva già incontrato il Covid-19 nel luglio del 2021. La stessa cosa vale per il 71% degli abitanti di Mzuzu, sempre in Malawi. Inoltre, secondo una ricerca realizzata nel 2021, il 74,1% della popolazione a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, aveva anticorpi contro SARS-CoV-2.
Un altro fattore che è considerato favorevole all’Africa nella lotta al Covid è la sua giovane popolazione. Sappiamo che il Covid è molto più pericoloso per gli anziani e la popolazione africana è molto più giovane rispetto a quella dei Paesi occidentali. Da questo punto di vista, l’ecatombe c’è stata in Italia ad inizio pandemia, quando il virus è entrato nelle case di riposo e in altre strutture per anziani, con effetti devastanti. E la stessa cosa vale in altri Paesi ricchi. In Africa, questo tipo di strutture non esiste e questo ha aiutato a tenere più al sicuro gli anziani. Inoltre, per fare l’esempio del Niger, solo il 2% della popolazione del Niger ha più di 70 anni, ovvero la fascia più colpita da SARS-CoV-2.
Un altro fattore favorevole per gli africani sarebbe rappresentato dall’assenza di quelle patologie che costituiscono un ulteriore rischio di sviluppare forme gravi del Covid o di arrivare al decesso dopo l’infezione. Il cancro, i disturbi cardiovascolari e quelli respiratori sono fattori di rischio importanti per il Covid ma sono rari nella popolazione africana.
Ad aiutare ulteriormente gli africani potrebbe essere anche la prolungata esposizione ad altri coronavirus che circolano a livello globale, che potrebbe aver conferito una maggiore immunità. Si tratta di un’ipotesi avanzata da uno studio condotto da scienziati americani e sierraleonesi. Lo studio, realizzato su campioni di sangue di cittadini della Sierra Leone e degli Stati Uniti, ha dimostrato che l’80% di quelli sierraleonesi vi era già entrato in contatto. L’immunità acquisita, dunque, potrebbe avere un effetto protettivo nei confronti di SARS-CoV-2 e non è escluso che esistano altri coronavirus, sconosciuti e circolanti su larga scala in Africa, in grado di rinforzarla ulteriormente.
Un altro “aiuto” potrebbe arrivare dalla malaria. L’ipotesi è che precedenti esposizioni alla malaria potrebbero offrire uno scudo contro il Covid. Uno studio, presentato all’incontro annuale dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene, ha rilevato bassi livelli di sintomi gravi di Covid tra le persone che si trovano in aree con presenza significativa di malaria in Mali e Uganda. Solo il 5% dei pazienti Covid con una storia di esposizione significativa alla malaria ha sviluppato sintomi gravi oppure è morta mentre nel gruppo di chi non è stato esposto, il 30% dei pazienti ha avuto una forma grave di Covid oppure ha perso la vita.